Mario Draghi (foto LaPresse)

Giornata particolare (anche per Draghi)

Marco Valerio Lo Prete

L’Ue dimezza le stime di crescita per l'Eurozona a più 0,8 per cento quest’anno e a più 1,1 l’anno prossimo, Renzi sotto tiro tra Juncker e Finanziaria, Bce pure.

Roma. “La ripresa dell’Unione europea appare particolarmente debole, non solo in confronto agli altri paesi avanzati ma anche rispetto ai precedenti storici di altre riprese successive a crisi finanziarie”. Questo ha scritto la Commissione europea, ieri, nelle sue previsioni autunnali, a proposito della situazione economica di tutta l’Ue. Nel mondo industrializzato, c’è solo un luogo dove le cose vanno peggio di così, e quel luogo è l’Eurozona, cioè nei 18 stati (su 28 dell’Ue) che condividono una moneta unica.

 

L’esecutivo di Bruxelles ha tagliato infatti le stime di crescita del pil dell’Eurozona a più 0,8 per cento quest’anno e a più 1,1 l’anno prossimo (da più 1,7 che veniva stimato soltanto sei mesi fa). Il pil della Germania, prima economia dell’area, subisce il taglio maggiore, rispettivamente a più 1,3 (2014) e più 1,1 (2015). Confermata la recessione per l’Italia nel 2014 (meno 0,4) e una flebile ripresa nel 2015 (più 0,6). “Slow recovery with very low inflation”, s’intitola il documento della Commissione; quello della primavera 2010 si chiamava più ottimisticamente “A gradual recovery”. Perché accanto allo sviluppo stagnante, pure il livello dei prezzi tende al ribasso. Con un impatto negativo su consumi, investimenti e smaltimento dei debiti accumulati. Il rapporto tra debito pubblico e pil salirà in tutta l’Eurozona nel 2015, al 94,8 per cento. E in Italia anche di più: l’anno prossimo il nostro debito sarà pari al 133,8 per cento del pil, dal 116,4 del 2011. Soprattutto per Parigi e per Roma le nuove stime possono complicare in prospettiva le trattative con Bruxelles sui tempi del risanamento dei conti (“Vedremo se gli sforzi sono sufficienti”, ha detto il commissario finlandese Katainen). Mentre Berlino continua a sfidare i richiami più blandi su alcuni suoi squilibri macroeconomici, come il saldo delle partite correnti che continua a lievitare “perfino dal 2007”, cioè dall’inizio della crisi, nota la Commissione.

 

[**Video_box_2**]Ieri, proprio a Bruxelles, si è percepito un certo attrito con Roma. Il nuovo presidente della Commissione, Jean-Claude Juncker, ha dichiarato: “Devo dire al mio caro amico Renzi che io non sono il presidente di una banda di burocrati”. A Palazzo Chigi, dalle parti del “caro amico” di Juncker, un po’ si godevano la rispostaccia che certificherebbe il nuovo approccio muscolare con l’Ue, un po’ invece preparavano ancora il terreno per la legge di stabilità. Replica di Renzi: “In Europa ce la stiamo giocando, non l’abbiamo vinta né persa ma stiamo facendo dei gol. In Europa non vado con il cappello in mano”. Sul fronte domestico, le province (ancora loro) hanno dichiarato che il miliardo di tagli in Finanziaria le avvicina al default. Comuni e regioni, che già avevano giudicato “insostenibile” la manovra, ci tengono a precisare che una trattativa è aperta col governo.

 

Una giornata particolare, insomma. E lo è stata pure per un altro italiano, Mario Draghi, presidente della Banca centrale europea. In un informato retroscena pubblicato ieri da Reuters, alcuni colleghi banchieri lamentavano infatti una gestione ben poco collegiale della politica monetaria. Già oggi, riunendosi a Francoforte, i “dissidenti” sarebbero pronti a uscire allo scoperto. Non è tanto questione di bon ton, conferma Reuters, ma piuttosto un avvertimento: ci pensi, Draghi, prima di eventuali e future scelte espansive di politica monetaria.