In Francia c'è ancora un modo per salvarsi dal “suicidio” (e parla italiano)
“Il suicidio francese” è il libro del giornalista Eric Zemmour attualmente in alto nelle classifiche in Francia: in 500 pagine l’autore presenta una rilettura degli ultimi quaranta anni di storia indicando una lunga serie di episodi negativi che offrono un ritratto nero della Francia di oggi.
Nizza. “Il suicidio francese” è il libro del giornalista Eric Zemmour attualmente in alto nelle classifiche in Francia: in 500 pagine l’autore presenta una rilettura degli ultimi quaranta anni di storia indicando una lunga serie di episodi negativi che offrono un ritratto nero della Francia di oggi. Le “doléances” sembrano affondare le loro radici nella fine del gollismo e nel ’68, per condurre oggi al declino finale del paese. Questo tipo di opere ultrapessimiste non rappresenta una novità nel panorama francese: già nel 1976 Alain Peyrefitte pubblicava “Il male francese”. Quello che colpisce però nell’opera di Zemmour è la critica costante della politica degli ultimi decenni, non soltanto degli uomini – e quindi dei vari presidenti della Repubblica, Pompidou, Giscard, Mitterrand, Chirac, Sarkozy, Hollande – ma anche dell’affievolirsi della nazione francese, per motivi interni ed esterni (la globalizzazione, l’Europa). Spesso l’autore rievoca la “grande nazione” bonapartista come un’età dell’oro. E’ ovvio che ci troviamo di fronte a una riflessione densa, nutrita, spesso criticabile da un punto di vista storico ma piuttosto efficace sul terreno del saggio giornalistico. Zemmour mette per iscritto una serie di tematiche che costituiscono da vari anni il manifesto dell’antipolitica in Francia, dell’estrema destra ma anche dell’estrema sinistra: la critica delle élite e di un potere parigino ripiegato su se stesso, il rimpianto di una mistica nazionale, la problematica della crescita della sottocultura musulmana prodotta dall’immigrazione, il tramonto della famiglia tradizionale, la fine del modello statale francese.
Questa severa diagnosi tocca ferite aperte della società francese, ma viene anche professata con una lettura che non riesce a non rimpiangere un tempo che fu, dalla gioventù dell’autore all’Ottocento francese, proponendo una versione datata dell’immaginario politico. Zemmour appare come la brillante cassa di risonanza della volontà di tornare indietro di una parte della popolazione francese urtata dalla modernità. Il successo del libro illustra come questi temi abbiano fatto breccia nel dibattito francese, non è roba per estremisti. Viene subito in mente il Front national di Marine Le Pen, tanto è grande la convergenza delle tematiche: la critica all’immigrazione e al ruolo dei musulmani nella società francese, il rifiuto dell’euro, dell’Ue e della Nato, le accuse alla “casta”, quella classe endogena che vanta quasi il monopolio dei gangli decisionali in Francia. Ma nel libro troviamo anche un filone di discussione sulla cultura operaia e sull’importanza dello stato che la sinistra non rinnegherebbe. “Il suicidio francese” appare come il rivelatore delle passioni odierne più che come un’opera maestra. Certo, se prendiamo in considerazione il fatto che sta incrociando nelle classifiche il volume della ex compagna di François Hollande, Valérie Trierweiler, “Grazie per questo momento”, acida cronaca dai letti presidenziali, possiamo considerare l’editoria parigina come la punta dell’antipolitica in Francia.
La rappresentatività inesistente
Il Front national è diventato la prima forza politica alle europee della primavera scorsa e il suo leader, Marine Le Pen, ha un’elevata probabilità di superare il primo turno nelle presidenziali del 2017. Di fronte a questo scenario i vari Nicolas Sarkozy, Alain Juppé o François Hollande si stanno già posizionando per risultare il candidato che sarà eletto presidente: hanno capito che chi sopravviverà nei prossimi due anni rischia di farcela. E tutti pensano che una volta al potere le acque si calmeranno, oppure che troveranno il modo di ricomporre le attuali fratture. Nessuno però offre una risposta sistemica/sistematica all’attuale crisi, che è anche e forse soprattutto una crisi del presidenzialismo alla francese. Il primo partito uscito dalle urne, il Front national, può contare attualmente su un totale di 4 parlamentari nazionali (2 deputati e 2 senatori), una sottorappresentazione provocata dalla legge elettorale francese. La non rappresentanza in Parlamento delle voci critiche nei confronti del sistema mostra il carattere poco democratico del parlamentarismo francese, ma pone soprattutto un problema politico: se i rappresentanti dell’antipolitica non accedono al Parlamento, allora la critica antisistema viene tenuta fuori dalle istituzioni e può così prendersela con una classe politica di destra e di sinistra colpevole di uno scippo alla democrazia. In modo più preoccupante, i rappresentanti di questi movimenti non hanno possibilità di confronto nell’ambito del lavoro parlamentare e politico. Da questo punto di vista l’ingresso in Parlamento del M5s italiano e la ricomposizione del gioco politico con l’emergere di Matteo Renzi come risposta all’antipolitica rappresenta un caso sul quale i francesi dovrebbero meditare.
L’altro punto dolente delle istituzioni francesi è appunto nel presidenzialismo. Come si comprende anche dal libro di Zemmour, le istituzioni della Quinta Repubblica sono state cucite su misura per De Gaulle nel 1958. Da quel momento in poi, si può dire che le varie presidenze siano lentamente decadute. Tra l’altro, la riforma costituzionale del 2000 che ha ridotto il mandato presidenziale a un quinquennio ha per certi versi razionalizzato il mandato, facendolo corrispondere temporalmente a quello legislativo, ma ha prodotto anche un’involuzione istituzionale, riducendo di fatto il ruolo del primo ministro che fino a quel momento era capo del governo e della maggioranza. Da quel momento il presidente della Repubblica francese è diventato anche più forte istituzionalmente, il che rappresenta una pericolosa fuga in avanti, un nonsense storico, ma d’altro canto ha perso la sua funzione di garante super partes. Il presidente francese è stato spesso descritto come un monarca eletto, il che significa anche che il sistema politico è paragonabile a un gioco di corte intorno al monarca. Oggi questi meccanismi di cerchi concentrici del potere hanno raggiunto un livello di rimarcabile inadeguatezza nel contesto dell’integrazione europea, riflettendo anche la realtà di una casta parigina richiusa in se stessa. Ma va anche sottolineato che la trasparenza mediatica ha messa a nudo i comportamenti personali degli ultimi presidenti, una serie di scandali a sfondo amoroso o sessuale piuttosto ridicoli, che costituiscono un ulteriore tassello dolente del puzzle politico francese.
[**Video_box_2**]Molti osservatori sostengono che la Francia abbia raggiunto un limite e che, come spesso avvenuto nella storia, la piazza si rivolterà. Abbiamo assistito negli ultimi anni a una serie di movimenti come quelli dei bonnets rouges, la Manif pour tous, oppure ai vari oppositori della realizzazione di infrastrutture come l’aeroporto di Nantes che, dalla destra alla sinistra, organizzano proteste a volte violente fuori dai partiti tradizionali. Contadini, piccoli imprenditori e artigiani, famiglie cattoliche conservatrici oppure no global si succedono in un continuo di proteste. Per la Francia niente di più normale di una vivace serie di sollevamenti contadini e di piccole battaglie con le forze dell’ordine. Ma se osserviamo che alcune categorie più moderate si mobilitano, allora questo costituisce un ulteriore segno del disagio del paese.
Gli argomenti passatisti
Dobbiamo allora essere d’accordo con Zemmour quando parla di “suicidio”? Sì e no. Alcuni punti sono condivisibili, ma l’idea di suicidio nazionale sviluppata da Zemmour si articola su riferimenti passati, per non dire passatisti. La Francia politica è stretta fra le sue contraddizioni interne e la sua incapacità di ritrovare un margine di azione a livello europeo. Ciò significa però che ci sono soluzioni. Già alcuni, come il primo ministro Manuel Valls, stanno ragionando a voce alta su una maggioranza aperta ai centristi, con una possibile successiva spaccatura della sinistra, il che sconvolgerebbe il bipolarismo francese. Si tratterebbe in prospettiva di un’italianissima soluzione al “mal francese”.
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