L'ossessione del rischio zero
Non ci sarà nessuna polemica sull’eccesso di allarmismo, questa volta, perché l’acquazzone a un certo punto è arrivato. Sapientemente ribattezzato “bomba d’acqua”. Ma siamo una società paralizzata dal principio di precauzione. Ecco perché.
Roma. Non ci sarà nessuna polemica sull’eccesso di allarmismo, questa volta, perché l’acquazzone a un certo punto è arrivato. Sapientemente ribattezzato “bomba d’acqua”, ha impressionato tutti, stupiti come bambini nel vedere a novembre nuvoloni neri, un po’ di grandine e qualche strada e stazione allagate a causa di tombini pieni di foglie e scarsa manutenzione. Il resto del lavoro lo ha fatto il principio di precauzione, applicato con zelo e paraculaggine da prefetto e sindaco in onore della Prevenzione, divinità moderna nel cui nome amministratori pigri di tutto il mondo impongono una loro idea a scopo di bene. Beninteso, con una cittadinanza che non sa come comportarsi, un comune che non sa come agire, e strutture non adatte ad affrontare simili eventi, meglio andarci cauti ed eccedere in precauzione, dice al Foglio Simona Morini, professoressa di Teoria delle decisioni razionali e dei giochi e Filosofia della scienza all’Università Iuav di Venezia e fresca autrice per Bollati Boringhieri del saggio “Il rischio, da Pascal a Fukushima”. Il problema semmai è all’origine.
Viviamo in una società che con l’obiettivo di eliminare ogni rischio perpetua ansie preventive per il futuro, dai terremoti alle catastrofi naturali passando per i disastri nucleari. “E’ una cultura deleteria – dice Morini – un modo per togliersi la responsabilità. Obiettivamente ci troviamo ad affrontare nuovi rischi con un approccio e delle istituzioni vecchie. Per questo ormai si preferisce allarmare la popolazione: se poi non succede niente, poco male”. Un mettere le mani avanti figlio della tendenza a sanzionare legalmente qualsiasi comportamento, spiega Morini, con un esempio: “In molte scuole i bambini non possono più usare le forbici perché se qualcuno di loro si fa male i genitori possono rivalersi sugli insegnanti”. Nel suo libro racconta la condanna per omicidio colposo plurimo di tutti i membri della commissione Grandi rischi per avere eccessivamente rassicurato la popolazione dell’Aquila prima del terremoto: un precedente che spingerà i nuovi membri della commissione ad allertare la popolazione a ogni potenziale pericolo. Servirebbe un cambiamento culturale, dice Morini: “Pur di non finire nei pasticci si usano cautele eccessive, con la conseguenza che al quarto allarme senza riscontro si smetterà di prendere precauzioni”. Si tende sempre più ad affidarsi al giudizio salvifico degli esperti, secondo la formula del “paternalismo libertario” tanto caro all’ex consulente della Casa Bianca Cass Sunstein, per cui gli individui devono essere influenzati dall’alto a prendere determinate decisioni sulla salute, il risparmio, l’ambiente, eccetera. “Ma questa strategia alla lunga deresponsabilizza l’individuo”, chiosa Morini. Poi c’è la paura, sentimento che accompagna l’uomo dall’inizio dei tempi, su cui chi ha potere gioca generandone su alcuni temi e smorzandola su altri. “L’unico antidoto è una maggiore educazione e informazione. Lo sviluppo tecnologico ha creato paure nuove, spesso ingiustificate, di cui ci riempiamo la vita: siamo ossessionati dal cibo biologico eppure viviamo in un mondo in cui si campa fino a novant’anni. Perché?”.
[**Video_box_2**]E’ la società del maniglione antipanico, dice Morini con un’immagine efficace: siamo immersi nella paura di correre rischi continui e pensiamo di prevenire le disgrazie con le uscite di sicurezza, il tutto all’interno di un sistema che sanziona qualsiasi errore: “E’ una perversione burocratica che toglie responsabilità” e tocca ogni aspetto della vita: “Le persone non prestano più attenzione alle cose, così si inventano sensori che spengono la luce al posto nostro”. La volta in cui il sensore si guasterà saremo in grado di trovare l’interruttore?
Il primo capitolo del libro di Simona Morini parla di rischio come avventura: “In questo momento di cambiamento abbiamo bisogno di avventurieri – dice – Servono persone che provano a fare le cose, che abbiano il coraggio di rischiare”, ma siamo stati disabituati a farlo. “Non si possono prevenire tutti i disastri, adottando misure ridicole in preda alla mania di sicurezza. Un attore non può accendersi una sigaretta su un palco durante uno spettacolo senza il permesso dei vigili del fuoco, ma poi un teatro brucia per un cavo difettoso”. Il rischio zero è un’utopia deleteria. “La gente deve imparare a difendersi da sola, compito delle istituzioni deve essere quello di informare per tempo ed educare”.
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