Lotta dura e dolce far niente
La minoranza filosindacale del Partito democratico è ancora tramortita dalla martellante campagna mediatica del presidente del Consiglio Matteo Renzi. L’ala filoambientalista incarnata da diversi esponenti del Pd invece ha appena iniziato a intralciare i piani governativi.
Roma. La minoranza filosindacale del Partito democratico è ancora tramortita dalla martellante campagna mediatica del presidente del Consiglio Matteo Renzi. L’ala filoambientalista incarnata da diversi esponenti del Pd invece ha appena iniziato a intralciare i piani governativi.
Oggetto di critiche diffuse è il decreto Sblocca Italia approvato la settimana scorsa al Senato. Il provvedimento aveva acceso qualche speranza negli operatori del settore petrolifero che hanno progetti estrattivi bloccati da anni. Il decreto infatti (all’articolo 38) rimette in capo allo stato centrale, ovvero al ministero dell’Ambiente, la facoltà di decidere sulle autorizzazioni per esplorazione ed estrazione degli idrocarburi depotenziando il potere di veto delle regioni. La speranza di chi fa business è di potere iniziare a estrarre petrolio o gas in tempi ragionevoli, vicini ai 180 giorni previsti per legge, non i tre o sei anni necessari nella pratica. Tutto questo, almeno, in teoria. Le regioni soffrono l’art. 38 come un cappio, vedono superata la loro autorità, ritengono contrasti con il Titolo V della Costituzione e minacciano provvedimenti. Renzi s’aspettava qualche contraccolpo (“io la norma la faccio, c’è la crisi energetica, manca il lavoro: il petrolio non lo tiriamo su per l’opposizione dei comitati locali”), ma ad agitarsi di più sono gli esponenti locali del partito da lui guidato.
In Puglia l’intransigenza della politica locale è vastissima. Una spia allarmante per un governo alla ricerca senza posa di investimenti stranieri (su Ionio e Adriatico operano l’inglese Northern Petroleum, l’irlandese Petroceltic e l’americana Global Med). Lunedì il Consiglio regionale pugliese – con una mozione unitaria – ha impegnato la giunta a impugnare il decreto Sblocca Italia davanti alla Corte costituzionale. Il documento è stato approvato a maggioranza; solo quattro esponenti del Nuovo centrodestra hanno votato contro per non sconfessare un atto del governo che appoggiano in Parlamento (tre astenuti: due socialisti e un Pd). I candidati alle primarie del centrosinistra per le regionali dell’anno prossimo fanno poi a gara a cavalcare gli strepiti dei comitati ambientalisti in vista della contesa del 30 novembre: non passa giorno senza che il segretario regionale del Pd pugliese, Michele Emiliano, l’assessore regionale del Pd, Guglielmo Minervini, e il senatore di Sel, Dario Stefàno, producano interviste per ricordare ai potenziali elettori quanto sia atavico e radicato il loro astio verso le trivellazioni in Adriatico. I dirigenti del Pd salentino, inoltre, organizzano l’opposizione dei comuni rivieraschi, guidano le manifestazioni cittadine “in difesa del nostro mare” come quella andata in piazza a Santa Maria di Leuca domenica scorsa. Manifestazione dal discutibile successo: sia di pubblico, visto che pochini erano i presenti, sia politico, dato che gli esponenti del Pd nazionale erano latitanti.
[**Video_box_2**]Verrebbe da chiedersi se la maggioranza dei cittadini si curi davvero dei rimbrotti ambientalisti o se invece consideri le perforazioni come un’opportunità di lavoro e, magari, preferisca più laicamente negoziare con le compagnie petrolifere forme di compensazione vantaggiose per le comunità locali. Un sondaggio Ispo commissionato da Assomineraria nel 2013 diceva che il 57 per cento degli interpellati a livello nazionale era favorevole all’aumento dell’attività estrattiva, il 32 a lasciarla invariata, il 9 del tutto contrario. “I politici locali sono ferocemente contrari allo Sblocca Italia perché si sentono togliere il potere di veto. Ma se si sgretola questa parte del provvedimento, il governo rischia di vedere depotenziato un importante tassello delle sue riforme economiche. Altro che Jobs Act – dice al Foglio Federico Pirro, docente di Storia dell’industria all’Università di Bari e membro del Centro studi Confindustria Puglia – ci sono in gioco miliardi di investimenti potenziali per il settore degli idrocarburi, rischiamo di perdere una grande occasione industriale”.
Situazione fotocopia in Sicilia: Pd confuso, sindaci col coltello in bocca, aziende in attesa. I deputati siciliani del Pd si sono divisi sullo sblocca Italia alla Camera: due i favorevoli (tra cui il renzianissimo Davide Faraone, da poco nominato sottosegretario al ministero dell’Istruzione), un astenuto e un assente. Molto più battaglieri i piddini a livello locale. I sindaci siciliani, capitanati da Leoluca Orlando, si dichiarano pronti attraverso l’Anci a impugnare il decreto davanti alla Consulta e strattonano il presidente della regione Rosario Crocetta (Pd) affinché si muova nella stessa direzione. Nel frattempo i consigli comunali dell’Isola di Pantelleria e di Marsala hanno approvato risoluzioni contro nuove ricerche petrolifere off-shore con l’appoggio dei rappresentanti locali del partito di Renzi.
Gli endorsement da sinistra non erano mancati. L’ex presidente del Consiglio, Romano Prodi, aveva fornito plurimi assist alla stretegia renziana studiata dal ministro dello Sviluppo Federica Guidi e, mesi fa, il dibattito pubblico sembrava essersi incanalato sugli aspetti più pragmatici della questione: ci conviene raddoppiare l’estrazione di idrocarburi? Ci emanciperemo dalla dipendenza dall’estero?, si chiedeva perfino l’Unità. Ma ora è soprattutto dai rappresentanti del Pd locale che dipende la sorte dell’agenda sviluppista di Renzi.
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