Chi comanda nel governo Renzi
Quanto pesano i burocrati? Esistono contrappesi? Cosa è cambiato con il passato? Quali mandarini resistono? Chi è stato rottamato? Storia di un documento inedito.
Il pallino rosso indica il ministero.I pallini celesti indicano gli enti di affiliazione. Più è grande il pallino celeste e più questo pesa all’interno della rete. In basso a destra il calcolo statistico di quanto pesano gli enti a cui ha attinto il governo per assegnare le cariche dei capi di gabinetto e dei capi dell’ufficio legislativo. L’indicatore misura numericamente quanto un soggetto è centrale all’interno del sistema di relazioni. Il documento, di cui il Foglio è entrato in possesso, è stato elaborato per alcune importanti multinazionale da un famoso studio legale (FB & Associati)
La domanda in fondo è semplice ed è una questione che bisogna porsi dopo nove mesi di governo e dopo che tutte le caselle sono state riempite: con i ministeri riorganizzati, le nomine completate, gli staff composti, le sostituzioni realizzate, i capi di gabinetto rodati, i burocrati ridimensionati, i politici in molti casi premiati. Si tratta di un problema elementare ma tuttavia ancora oggi piuttosto appassionante. Potremmo metterla così: ma chi comanda davvero nel governo Renzi? Esistono dei contrappesi che possono bilanciare lo straordinario potere che Palazzo Chigi si è attribuito all’interno di questo esecutivo? E, andando nel dettaglio, nella formazione del sotto governo Leopolda che differenze esistono tra il metodo Renzi, il metodo Letta, il metodo Monti, il metodo Prodi e il metodo Berlusconi? Finora abbiamo tutti ragionato per ipotesi, teorie, intuizioni, interpretazioni, idee spesso generiche sul tentativo renziano di accentrare il potere a Palazzo Chigi, di sbarazzarsi dei burocrati, di ridimensionare il peso dei magistrati. Oggi possiamo dire che esiste un calcolo scientifico sul metodo Renzi, e il metodo è ben raccontato all’interno di un documento inedito, di cui il Foglio è entrato in possesso, commissionato da alcune importanti multinazionali a un famoso studio legale romano (FB & Associati) e con il quale, in modo appunto scientifico, si dà una risposta alla domanda iniziale: chi comanda davvero nel governo Renzi?
Le multinazionali cercano da mesi un quadro completo dei pesi e dei contrappesi e delle centrali di potere del governo per potersi orientare meglio nei nuovi equilibri dell’éra Leopolda e il risultato dell’indagine sul peso reale dei grand commis di stato all’interno dell’esecutivo (“La guerra di posizione tra élite politiche e burocratiche nel governo”) è decisamente significativo. Esiste effettivamente una grossa discontinuità tra il governo Renzi e gli ultimi governi. In sintesi: i consiglieri di stato non hanno più un grande peso, Renzi ha scelto di affidare le chiavi dei ministeri ad alcuni uomini e donne della Pubblica amministrazione, i magistrati non sono più il potere intorno al quale gravita l’attività di sotto governo, Palazzo Chigi è diventato come poche volte nella storia recente della Repubblica l’orbita unica intorno alla quale ruotano tutti gli altri ministeri, l’unico dicastero che per composizione (vedremo perché) costituisce un contro potere reale all’universo di Palazzo Chigi è quello dell’Economia, e se un tempo la radiografia dei governi si presentava come se fosse un insieme di grandi grumi intorno ai quali si andavano a condensare nuclei di potere oggi l’immagine del sotto governo è più simile a una serie di microscopici nodi di piccola consistenza – e che da soli, evidentemente, non sono in grado di potersi configurare come dei reali contrappesi al principe di Palazzo Chigi.
Il grafico indica il peso dei funzionari della Pubblica amministrazione (linea rossa) e quello dei consiglieri di stato (linea blu) negli ultimi cinque governi
Questo dunque il quadro generale. Ma andando a sfogliare il documento si scoprono alcune differenze e alcune propensioni naturali del governo Renzi che vale la pena ricostruire. Il documento è tarato sugli ultimi cinque governi avuti dal nostro paese – il Prodi II (2006-2008), il Berlusconi IV (2008-2011), il Monti I (2011-2013), il Letta I (2013-2014) e il Renzi I. Analizza tutti i tredici ministeri con portafoglio più la presidenza del Consiglio (Mef, Difesa, Giustizia, Interno, Affari esteri, Istruzione, Lavoro, Infrastrutture, Mise, Salute, Beni Culturali, Ambiente Politiche Agricole). Prende in considerazione i capi di gabinetto e i capi degli uffici legislativi di questi ministeri. E studia i corpi istituzionali da cui provengono i soggetti che nei governi hanno ricoperto queste cariche (Quanti consiglieri di stato? Quanti militari? Quanti funzionari della Pubblica amministrazione? Quanti avvocati? Quanti magistrati?) Shakeriamo tutti i dati a disposizione e scopriamo così che dal 2006 a oggi questi incarichi sono stati ricoperti per il 22,1 per cento da consiglieri di stato, per il 16 per cento da funzionari della Pubblica amministrazione, per l’11,4 per cento da magistrati ordinari, per l’8,0 per cento da magistrati del Tar del Lazio, per il 7,5 per cento da magistrati di Tar non del Lazio, per il 7,4 per cento da magistrati della Corte dei Conti, per il 6,8 per cento da avvocati di stato, per il 5 per cento dall’esercito, per il 4,3 per cento da diplomatici, per il 3,8 da funzionari o membri del Parlamento, per il 2,5 dal mondo accademico, per il 2,1 da prefetti, per l’1,4 per cento da militari dell’aviazione, per lo 0,7 per cento da militari della Marina.
Il grafico indica quali sono stati gli enti di affiliazione che hanno pesato di più all’interno degli ultimi cinque governi (Prodi, Berlusconi, Monti, Letta, Renzi). Più il pallino celeste è grande e maggiore è stato il peso che quell’ente ha avuto nel sottogoverno
Scorrendo i numeri si scoprono altri dati interessanti. E si scopre che il governo Renzi oggi ha quasi tutte le percentuali in continuità con le varie voci storiche tranne due. I consiglieri di stato presenti nei ruoli di vertice dei ministeri oggi sono appena l’8,9 per cento: con Letta erano il 30,4 per cento; con Monti erano il 25 per cento; con Berlusconi erano il 17,9 per cento; con Prodi erano il 28,6 per cento. E gran parte dei posti che sono stati sottratti ai consiglieri di stato sono stati assegnati a funzionari della Pubblica amministrazione: con Prodi erano il 5,4 per cento, con Berlusconi erano il 19,3 per cento, con Monti erano il 21,4 per cento, con Letta erano il 12,5 per cento, con Renzi siamo tornati al 21,4 per cento. Da questo punto di vista, dunque, il governo a cui somiglia più l’universo renziano non è quello di Romano Prodi, di Enrico Letta e di Mario Monti ma è – seppure con qualche differenza statistica – l’ultimo di Silvio Berlusconi). Nel documento sono presenti poi anche alcuni dati curiosi su quali sono stati gli unici mandarini di stato a essere stati confermati negli ultimi governi. Gli unici ad aver mantenuto l’incarico con Berlusconi, Monti, Letta e Renzi sono Paolo Carpentieri, gruppo Tar non del Lazio, capo ufficio legislativo ai Beni Culturali, e Gerardo Mastrandrea, Consiglio di stato, capo ufficio legislativo. Gli unici a essere stati confermati con Monti e Letta dopo essere stati nominati da un governo Berlusconi sono Giuseppe Procaccini (capo di gabinetto del ministero dell’Interno, area Pubblica amministrazione) e Salvatore Mezzacapo (Tar del Lazio, capo ufficio legislativo del ministero dell’Agricoltura). I grand commis protagonisti sia nel governo Letta sia nel governo Renzi sono Mario Alberto Di Nezza (Tar del Lazio, capo di gabinetto del ministero della Salute); Domenico Carcano (magistrato, capo ufficio legislativo del ministero della Giustizia); Giuseppe Chinè (Tar del Lazio, capo ufficio legislativo del ministero della Salute); Giacomo Aiello (avvocato di stato, capo di gabinetto del ministero delle Infrastrutture); Paolo Romano (esercito, capo ufficio legislativo del ministero della Difesa); Bruno Frattasi (Pubblica amministrazione, capo ufficio legislativo del ministero dell’interno); Luciana Lamorgese (prefetto, capo di gabinetto del ministero dell’Interno); Ferdinando Ferrara (Pubblica amministrazione, capo di gabinetto del ministero dell’agricoltura); Marco Caputo (provenienza parlamentare, capo ufficio legislativo del ministero dell’Agricoltura); Carlo Magrassi (aviazione, capo di gabinetto del ministero della Difesa). Ma oltre a questi dati statistici (che ci dicono che le riconferme complessive corrispondono al 30 per cento dei casi, che solo un terzo delle riconferme riguarda i capi di gabinetto, che le riconferme si concentrano in corrispondenza dei ministeri isolati nel network generale, come Difesa e Giustizia, e che segnalano comunque una continuità tra il governo Letta e il governo Renzi che dovrebbe far riflettere il presidente del Consiglio) c’è un elemento di fondo che si legge in controluce nel documento e quell’elemento lo si può osservare in un grafico preciso (lo trovate in questa pagina nella foto grande) che costituisce il dna del sottogoverno renziano. I dati tengono conto di un indicatore utilizzato nel campo delle scienze sociali che misura quanto un soggetto è centrale all’interno di un determinato sistema di relazioni e questi dati mostrano bene come l’idea di Renzi sia in linea con il principio della disintermediazione applicato dal presidente del Consiglio in molti ambiti: nella battaglia contro il sindacato dei lavoratori, contro il sindacato degli imprenditori, contro il sindacato dei magistrati e più in generale contro i famosi corpi intermedi. E così anche nella scelta dei ruoli da affiancare ai ministeri il principio è sempre lo stesso: nessuno può pensare di muoversi come se fosse un corpo intermedio alternativo al corpo supremo che ovviamente è quello della politica. Con una sola eccezione: l’unico ministero in cui (per volontà di Giorgio Napolitano e per volontà di una serie di persone che hanno storicamente un peso in questo mondo: da Massimo D’Alema a Enrico Letta passando per Giuliano Amato e Franco Bassanini) la presenza di un contro potere alternativo a quello di Palazzo Chigi è ben presente è il ministero dell’Economia, e non è certo un caso se a Palazzo Chigi considerino a torto o a ragione Roberto Garofoli, consigliere di stato e capo di gabinetto di Padoan, uno dei principali frenatori del governo Renzi (che poi Garofoli, lettiano di ferro, sia pugliese come Raffaele Fitto, pugliese come Francesco Boccia, pugliese come un pugliese d’adozione come Massimo D’Alema, ovvero come alcuni tra i principali nemici di Renzi e del patto del Nazareno è una storia a parte che merita di essere raccontata con calma).
Il documento poi, scorrendo le pagine, si occupa di un altro aspetto da segnalare: quali sono i partiti che storicamente, all’interno dei governi, si sono mostrati più inclini ad affidare gli incarichi all’interno dei ministeri ai magistrati, agli avvocati, ai consiglieri di stato e alla Pubblica amministrazione. Il centrosinistra, in tutte le sue forme, sia in quelle più recenti (Pd) che in quelle meno recenti (Ds e Margherita), ha sempre puntato su tre grandi tipologie: magistrati, consiglieri di stato, Corte dei conti. Il centrodestra ha puntato prevalentemente su magistrati ordinari, Pubblica amministrazione e Tar del Lazio. L’estrema destra, infine, sull’esercito, la marina, l’aviazione. Con Renzi lo schema è cambiato e oggi non c’è un solo consigliere di stato che sia ai vertici di un ministero a guida Pd (si preferisce più il Parlamento o la Pubblica amministrazione). “I ministri di centrosinistra – leggiamo dal documento – hanno maggiori legami con la magistratura amministrativa, quelli di centrodestra con Pa e magistratura ordinaria”.
Da chi hanno attinto i ministri e i presidenti del Consiglio degli ultimi cinque governi per assegnare incarichi ai capi di gabinetto e ai capi degli uffici legislativi? Nel grafico le percentuali presenti negli ultimi cinque esecutivi. In rosso sono cerchiati gli affiliati da Pa e Consiglio di stato
Il testo offre al cronista molti spunti di riflessione ma tra i tanti ve ne proponiamo tre. Forse i più importanti. Non c’è dubbio che Renzi sia riuscito a rottamare una categoria di burocrati di stato che negli ultimi vent’anni hanno avuto un peso eccessivo e che in diverse occasioni sono stati degli ingredienti più di conservazione che di cambiamento dei vari governi. Ma non c’è dubbio che la fine dei vecchi mandarini di stato tolga a Renzi un alibi niente male: con quale credibilità il presidente del Consiglio può dire oggi che i burocrati di stato sono un ostacolo insormontabile per il cammino del governo Leopolda?
Lo schema spiega quali sono stati i capi di gabinetto e i capi degli uffici legislativi che hanno avuto un peso maggiore durante gli ultimi cinque governi. La voce “Cencelli” indica in base a un calcolo matematico il peso dei ministeri nei quali i soggetti sono stati impiegati
Infine gli schemi presenti nel documento e che riportiamo in questa pagina dimostrano in modo scientifico che la ultra mega disintermediazione portata avanti da Renzi ha dato alla presidenza del Consiglio un potere che forse nessun premier ha mai avuto negli ultimi anni. Oggi Palazzo Chigi è insieme il luogo in cui il capo del governo indica il percorso dei suoi ministri ma è anche il luogo in cui si è scelto di accentrare tutti o quasi i più importanti fuochi dell’esecutivo. I dossier sul lavoro passano prima tra le mani del consigliere per il lavoro di Renzi (Filippo Taddei) che tra le mani del ministro del Lavoro di Renzi (Giuliano Poletti). I dossier sulla spesa pubblica e più in generale sulle finanze passano spesso prima tra le mani del consigliere economico di Renzi (Yoram Gutgeld) che tra le mani dello staff del ministro dell’Economia. I dossier sull’Europa passano spesso prima tra le mani del sottosegretario agli affari Europei (Sandro Gozi) che tra le mani dei vari vertici della Farnesina. I dossier sulla Giustizia, sulla Difesa e sull’Interno passano prima tra le mani dei sottosegretari di Renzi (Delrio e Lotti) che tra le mani dei ministri competenti. E le anime e le competenze del governo sono ormai così ben presenti all’interno di Palazzo Chigi che anche le storiche frizioni che un tempo vi erano tra la presidenza del Consiglio e i vari ministeri oggi si possono trovare riprodotte tra i singoli collaboratori del presidente del Consiglio. Renzi, dopo averlo fatto con il suo partito, ha rottamato uno storico apparato (il Consiglio di stato) che nel bene e nel male ha fatto la storia degli ultimi governi. Ma la cartina di tornasole del governo Leopolda ci dice ancora una volta che il segretario del Pd, alla fine dei conti, ha un solo vero nemico. Una sola persona che può permettere al capo del governo di non raggiungere i suoi obiettivi. Dipende tutto da lui. E da quello che decide di fare. Inutile girarci attorno: l’unico vero avversario di Matteo Renzi oggi si chiama proprio Matteo Renzi.
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