Matteo Renzi e Silvio Berlusconi (foto LaPresse)

La crisi era un calesse

Il patto del Nazareno scricchiola? Rassegna delle recenti follie

Salvatore Merlo

Renzi e Berlusconi, quando si mette in moto una situazione immobile. Tutti abbiamo peccato di credulità. Una gran perdita di tempo a mezzo stampa. Titoli e note politiche che cambiano di settimana in settimana, che anticipano ciò che non c'è per poi affermare l'ovvio.

Dice il Corriere: “Funziona il patto Pd-5 stelle”, e dunque ecco subito l’intervista grillesca a Luigi Di Maio, per dieci giorni così onnipresente da sembrare lui stesso un salottino ambulante: “Pronti all’accordo anche per il Colle” . Risponde Repubblica: “Lo scatto di Matteo. Ora basta ricatti da Forza Italia”. Conferma il Manifesto: “Renzi ha aperto il forno a 5 stelle”. Maramaldeggia il Giornale: “Renzi e Grillo, ecco il patto dell’ebetino”. Funamboleggia la Gazzetta del Mezzogiorno: “Renzi e Berlusconi, il patto piange”. Rincara il Secolo XIX: “Renzi avvisa Berlusconi”. Si preoccupa Libero: “Nei due forni di Renzi si prepara la trappola per il centrodestra”. Tutta una settimana così. Il patto scricchiola. Scricchiola il patto. Il Nazareno è perduto. Uno spettacolo di salti, piegamenti, contorsioni, smorfie, giravolte, semiconvulsioni. E il cliente-lettore-consumatore si ritrova in coda con gli altri, anche lui con il suo bravo vassoio di articoli e retroscena in mano: ecco subito l’urletto di Brunetta, la reazione imbronciata di Lotti, l’intervista minacciosa di Toti, la diplomazia abile di Verdini. Dunque è gelo, giallo, bufera, scintille. Ed ecco l’incontro che salta, slitta, schizza, pattina; ecco l’insalata delle soglie di sbarramento, il pasticcio del premio di maggioranza, lo stracotto della riforma, la preoccupazione del Quirinale, il salto del Grillo, la gioia dell’Alfano, il rutto del Salvini… Il povero lettore-consumatore diffida di questi piatti ambigui, cucinati da premiati cuochi, sospetta si tratti di avanzi, di rifritture, ma si guarda intorno, vede che nessuno protesta, e allora si rassegna, si serve a caso qua e là, e si riempie anche lui il vassoio, fiducioso.

 

Fino a ieri. Quando, improvvisamente: “Così l’intesa Renzi-Berlusconi” (Corriere); “Renzi Berlusconi, il patto c’è” (Repubblica); “Intesa Renzi-Berlusconi confermata” (la Stampa); “Renzi-Berlusconi, nuovo patto” (Messaggero). Ed ecco dunque ancora salti, piegamenti, contorsioni, smorfie, giravolte, semiconvulsioni. I giornali – e chi non ha peccato scagli la prima pietra – non lasciano praticamente passare un giorno senza mettere su una nuova piroetta, una capriola temeraria, un acrobatico esercizio, pur mantenendo la più totale immobilità. Ecco ancora le note politiche, i retroscena, i titoli, la cronaca: lo sfrecciante Cavaliere si ferma sotto l’androne rivale, scende di macchina, viene gravemente introdotto nello studio, e bevendo un caffè o una spremuta dice per alcune ore cose che ha già detto. Renzi, che le ha già sentite, gli dà risposte che l’altro già conosce.  Si stringono la mano ed è tutto come prima. Amici, alleati, sodali, quasi consanguinei. Gira il vin santo, circolano i cantuccini ad addolcire esagerazioni e rinfacciamenti, a sciogliere qualche superstite asprezza polemica.

 

[**Video_box_2**]Così il Fatto può tornare a scrivere, felice, che tutti questi sbaciucchiamenti sono per via di Mike Bongiorno, insomma sono colpa della “Ruota della fortuna”, praticamente sono un inciucio dello zio di Renzi amico del Cavaliere-Caimano. Eppure, mentre i giornali gorgheggiano intorno alla politica, spandendo altre nuvole di gas, qualcuno resta perplesso. E’ infatti straordinario e insieme commovente osservare questa folla di carta mentre sviluppa via via le sue complesse costruzioni concettuali, che si chiamano crisi e aperture, tutto un teatro (teatrino, stavo per dire) in cui i protagonisti politici – loro che i giornali li usano e li riempiono di scricchiolanti veline – si abbracciano e si respingono in base a sfumature imperscrutabili, a misteriosi e repentini impulsi e a tale ritualità si attengono con vera passione, con ammirevole zelo partecipativo, come se tutto fosse sempre nuovo, fresco, appena cominciato. Ma di fronte a tanti scogli, bassi fondali, e traversate nella tempesta di Palazzo, il cittadino di terraferma ha al contrario una confusa impressione di stabilità e prevedibilità inesorabile, di tempestoso bicchier d’acqua dove tutti, alla fine, finiamo per naufragare. Per dieci giorni pensavamo fosse crisi, invece era un calesse.

  • Salvatore Merlo
  • Milano 1982, vicedirettore del Foglio. Cresciuto a Catania, liceo classico “Galileo” a Firenze, tre lauree a Siena e una parentesi universitaria in Inghilterra. Ho vinto alcuni dei principali premi giornalistici italiani, tra cui il Premiolino (2023) e il premio Biagio Agnes (2024) per la carta stampata. Giornalista parlamentare, responsabile del servizio politico e del sito web, lavoro al Foglio dal 2007. Ho scritto per Mondadori "Fummo giovani soltanto allora", la vita spericolata del giovane Indro Montanelli.