Ecco dov'è la “Nuova Cina”
Da qualunque punto lo si guardi, il dominio cinese sull’Asia sembra inevitabile. La Cina da sola è più che un continente, la sua economia si appresta a diventare la più forte del mondo, il suo esercito è ancora lontano dalla potenza di quello Americano, ma Pechino sta investendo miliardi per colmare il divario.
Da qualunque punto lo si guardi, il dominio cinese sull’Asia sembra inevitabile. La Cina da sola è più che un continente, la sua economia si appresta a diventare la più forte del mondo, il suo esercito è ancora lontano dalla potenza di quello Americano, ma Pechino sta investendo miliardi per colmare il divario, e ha adottato una strategia di sviluppo di armi particolarmente letali.
Ma all’ascesa inevitabile della nuova èra cinese, dicono gli esperti, ci sono molti antidoti. L’India, la potenza dormiente il cui nuovo leader, Narendra Modi, ha in mente una politica più muscolare. Le vecchie tigri come il Giappone e la Corea del sud, che hanno un’economia da raddrizzare ma dei trattati fortissimi di protezione militare con gli Stati Uniti. Ma la “Nuova Cina”, scrive Leslie Norton sulla storia di copertina del magazine Barron’s di questa settimana, è il sud-est asiatico. Per Norton più che guardare alle riforme della Modinomics, ai dati del pil giapponese o ai pivot obamiani sul Pacifico, chi cerca un contrappeso alla potenza cinese dovrebbe guardare ad alcuni paesi finora considerati minori nel continente dominato dai giganti, come il Vietnam, la Cambogia, il Laos e la Birmania.
La definizione di “Nuova Cina” non è casuale. A livello economico e demografico, le condizioni di questi paesi ricordano quelle della Cina all’inizio degli anni Novanta, quando Pechino si stava preparando a diventare una potenza globale: economie in forte espansione, trainate soprattutto dalle esportazioni, popolazione giovane e bassissimo costo della forza lavoro. Sono alcune delle condizioni che hanno reso possibile il miracolo cinese, e sono le condizioni che la Cina sta perdendo. Le esportazioni nei paesi della nuova Cina sono cresciute del 20 per cento negli ultimi quattro anni, quelle della Cina appena dell’8 per cento. La popolazione della Cina invecchia, anche a causa della dannosa politica del figlio unico, e i salari medi si aggirano intorno ai 700 dollari al mese, mentre la popolazione della Nuova Cina è giovanissima, e i salari non raggiungono i 200 dollari al mese (250 per il Vietnam). C’è un dato che definisce plasticamente il concetto per cui la Nuova Cina è sulla pista di decollo proprio come la Cina negli anni Novanta. La produzione economica annuale dei paesi del sud-est asiatico è oggi agli stessi livelli di quella di Pechino vent’anni fa, 641 miliardi di dollari.
Oltre alle condizioni di partenza, i paesi della Nuova Cina condividono una generale propensione alle riforme. Molti di essi erano governati (fino a pochissimo tempo fa, nel caso della Birmania) da dittature feroci, che avevano imposto un’economia di stato. Ora le cose sono cambiate, e dal Vietnam alla Cambogia i governi stanno aprendo i loro mercati per renderli più propizi agli investimenti. E gli investimenti stanno arrivando, come dimostrano gli accordi economici internazionali. Il Vietnam, che è il più avanzato dei paesi della Nuova Cina, firmerà l’anno prossimo un accordo di libero scambio con l’Europa, e sarà un partner privilegiato del Trans Pacific Partnership obamiano. Il paese sta facendo enormi investimenti nel settore tecnologico, quest’anno i telefoni hanno superato i vestiti come maggiore esportazione del paese e l’anno prossimo, predice Intel, l’80 per cento dei chip per computer sarà prodotto in Vietnam. In Cambogia il tasso delle esportazioni aumenta a doppia cifra, in Birmania si stima che gli investimenti stranieri raggiungeranno i 100 miliardi di dollari per il 2030. Una Nuova Cina che diventa potenza economica preoccupa la Cina anche a livello geopolitico. Ci sono già scontri e scaramucce, diplomatiche e non solo, tra Pechino e il Vietnam per gli ampi giacimenti del mar Cinese, e tutto il sud-est asiatico è conteso tra la Cina e l’America per i loro opposti trattati multilaterali di libero scambio.
Nel continente dei giganti in crescita, considerare i tanti e diversi paesi del sud-est asiatico come un’unica entità è rischioso, e chiamarli Nuova Cina è provocatorio. Ma è un buon promemoria di come quello che è iniziato non sarà necessariamente un secolo cinese, e non solo perché la potenza americana non ha intenzione di lasciare terreno libero a Pechino. Se la leadership del mondo si sposterà davvero, allora sarà un secolo asiatico, e la Cina avrà molti rivali (in buona parte democratici) con cui fare i conti.
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