Un frame del video diffuso dallo Stato islamico che mostra l'esecuzione dei soldati del regime di Assad

Analisi di un video

Cosa vuol dire il messaggio efferato di al Baghdadi

Daniele Raineri

I volti scoperti dei boia, la tecnica di produzione e il cameo del califfo.

Roma. Due giorni fa la “Fondazione al Furqan” ha fatto circolare su Internet un nuovo video prodotto dallo Stato islamico.
La Fondazione al Furqan è uno dei quattro dipartimenti del gruppo di Abu Bakr al Baghdadi che si occupano della produzione di media e filmati, il suo nome in arabo vuol dire “Il criterio” (per distinguere tra il bene e il male) oppure “L’arbitro”, ed è anche uno dei nomi del Corano. Questo dipartimento media si occupa di solito delle scene più violente, perché è il più antico ed è attivo fin dagli anni della guerra americana in Iraq, e quest’ultimo video è davvero cruento (meglio non vederlo).

 

Si tratta di un filmato lungo sedici minuti in arabo e inglese che ha al centro l’uccisione rituale di 18 ufficiali dell’aviazione siriana catturati nei mesi scorsi nella provincia di Raqqa e alla fine mostra anche la testa mozzata dell’americano Abdul Rahman Kassig, nome da convertito all’islam di Peter Kassig, un operatore umanitario sequestrato nell’ottobre 2013.

 

Ieri ci si chiedeva perché Kassig non pronuncia un messaggio finale, come invece sono stati costretti a fare davanti alla telecamera gli altri ostaggi uccisi dallo Stato islamico. Il suo ex compagno di appartamento a Beirut, il giornalista Mitchell Prothero, sostiene che Kessig in qualche modo è riuscito a intralciare il rituale del boia, l’inglese mascherato “John”. Forse lo ha fatto pregando, il che potrebbe avere distorto la scena in modo insopportabile per il gruppo jihadista.

 

Secondo un amico palestinese citato da un giornalista del quotidiano giordano al Rai, Kassig era “ritornato all’islam” nel 2012 – non esistono conversioni nell’islam, ma ritorni da una condizione errata –  quindi ben prima della sua cattura, e lo aveva fatto dentro un campo profughi libanese, in una moschea (il cui nome è: al Furqan).

 

Il momento della conversione dell’americano è materia di dibattito, perché se è arrivato durante la prigionia (come sarebbe successo secondo i genitori di Kassig) allora farebbe pensare a un trucco per avere salva la vita, ma in questo caso sembra fosse arrivato tempo prima. Kassig era pure stato lodato per il suo operato umanitario in Siria da un capo del gruppo jihadista rivale dello Stato islamico, Jabhat al Nusra, che fu soccorso dall’ex soldato americano in uno dei suoi ambulatori volanti.

 

Secondo alcuni dissidenti anonimi di Raqqa che fanno circolare notizie su Internet, Kassig sarebbe morto in un bombardamento americano su Tal Abyad, e dopo i suoi carcerieri hanno fatto in modo che la sua fineapparisse come una loro decisione, portando la testa – ma non il corpo – sulla collina di Dabiq (la piccola città siriana da dove partirà la battaglia dell’Apocalisse secondo il gruppo di Baghdadi).

 

[**Video_box_2**]La scena dell’uccisione dei siriani è coreografata e ritualizzata con attenzione – con una tecnica di produzione che fa pensare a videomaker molto più sofisticati di quelli che filmavano uccisioni negli anni della guerra con gli americani cominciata nel 2003. Per ogni prigioniero c’è un carnefice, provenienti da luoghi diversi: asiatici, europei, arabi. Si tratta di una scelta deliberata, per ribadire che nello Stato islamico le nazionalità si dissolvono e tutte le identità sono sostituite dall’appartenenza alla Umma, la comunità islamica. In altri video, i volontari stranieri bruciano i loro passaporti, come momento irrevocabile che simboleggia la decisione del non ritorno alle rispettive nazioni.

 

Alcuni degli uomini nel video sono stati identificati. Ci sono due britannici: uno è “John” (dato per ferito di recente, ma il video prova il contrario), l’altro è uno studente di medicina di Cardiff, Nasser Muthanna, riconosciuto dal padre. E ci sono due francesi, uno viene da vicino Parigi e si chiama Maxime Hauchard, nome di guerra Abu Abdallah al Faransi. C’è anche un australiano, ancora senza nome. Per tutti, la scelta di comparire a volto scoperto mentre uccidono i prigionieri equivale al rogo dei passaporti e alla decisione di non tornare più.

 

Il video contiene altri elementi e motivi ideologici che fanno comprendere che cos’è lo Stato islamico, al di là della sua stessa propaganda. C’è un’introduzione con vecchi video che ripercorre la storia dell’organizzazione e dei suoi leader, fin da prima del 2006, quando prese il nome attuale e si vede anche al Baghdadi fare un cameo, ma ha un passamontagna sul volto.

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  • Daniele Raineri
  • Di Genova. Nella redazione del Foglio mi occupo soprattutto delle notizie dall'estero. Sono stato corrispondente dal Cairo e da New York. Ho lavorato in Iraq, Siria e altri paesi. Ho studiato arabo in Yemen. Sono stato giornalista embedded con i soldati americani, con l'esercito iracheno, con i paracadutisti italiani e con i ribelli siriani durante la rivoluzione. Segui la pagina Facebook (https://www.facebook.com/news.danieleraineri/)