Israele teme la terza Intifada, ma conserva un alleato al Cairo
Il governo israeliano teme una nuova Intifada in casa, che arriva dai quartieri arabi di Gerusalemme est e mantiene una cooperazione discreta e solida con il governo egiziano di Abdel Fattah al Sisi, che considera Hamas un pericolo esistenziale per il paese a causa del legame con la Fratellanza musulmana.
Roma. Il governo israeliano teme una nuova Intifada in casa, che arriva dai quartieri arabi di Gerusalemme est, allungherà la lista degli attacchi “di strada” culminati ieri nella strage alla sinagoga di Har Nof e potrebbe persino portare a un “riavvicinamento ma guardandosi in cagnesco” di Hamas – che governa la Striscia di Gaza – con la leadership dell’Autorità nazionale a Ramallah, che controlla il resto dei territori palestinesi. La scorsa settimana quattro altre fazioni palestinesi, incluso il Jihad islamico, hanno invitato delegati dei due gruppi maggiori a una riunione comune per parlare del cosiddetto “governo di unità nazionale”, ma l’incontro non ha avuto risultati.
In questo scenario tendente al peggio per tutti, Israele mantiene una cooperazione discreta e solida con il governo egiziano di Abdel Fattah al Sisi, che considera Hamas un pericolo esistenziale per il paese a causa del legame con la Fratellanza musulmana.
L’esercito egiziano applica una pressione pesante su Gaza. Lunedì ha annunciato al giornale di stato al Ahram che raddoppierà la cosiddetta “buffer zone” a Rafah, nel Sinai, al di qua del confine con la Striscia di Gaza. Dopo avere demolito 800 case e altre strutture in una fascia larga 500 metri e lunga 14 chilometri il mese scorso, i militari hanno scoperto che alcuni tunnel per il contrabbando usati da Hamas sono ancora più lunghi, tra gli ottocento e i mille metri, e quindi raderanno al suolo con l’esplosivo ogni edificio a meno di un chilometro di distanza dal confine, cancellando in pratica Rafah.
Sopra i tunnel, il valico ufficiale di Rafah è chiuso ormai da tre settimane, dopo un attacco terroristico contro l’esercito vicino al Arish. Succede sempre più spesso, più a lungo e con scarso preavviso e questo vuol dire che la Striscia controllata da Hamas è quasi isolata anche sul lato egiziano. Il ricasco è disastroso per l’economia di Gaza e sta spingendo Hamas suo malgrado verso l’Autorità palestinese, che invece non è isolata, riceve aiuti dall’esterno e può indirizzare qualche soldo per gli stipendi e l’amministrazione della Striscia.
Dopo la deposizione di Mohammed Morsi e l’arrivo al potere di Sisi, gli analisti dell’intelligence israeliana si precipitarono a studiare ogni genere di materiale che riguardasse il generale egiziano, compresi i suoi scritti, dichiarazioni e conversazioni private, anche risalenti nel tempo. Dal profilo che tracciarono risulta che Sisi è freddo con il governo di Gerusalemme e si considera in missione per conto di Allah, ma che facendo quello che percepisce essere l’interesse nazionale dell’Egitto è di fatto un alleato forte di Israele e un nemico mortale di Hamas.
Il gruppo palestinese prima aveva contatti con il governo del Cairo a ogni livello e ora è costretto a mendicare attenzione attraverso un solo ufficiale, un militare che ha l’incarico di tenere aperto il canale di comunicazione ma ha un’antipatia personale nei confronti di Hamas.
[**Video_box_2**]La consacrazione di questo allineamento è arrivata durante la guerra di luglio, quando Gerusalemme, Gaza e gli egiziani negoziarono tra loro il cessate il fuoco, escludendo dal triangolo Washington – che in qualche caso venne a sapere le notizie da Twitter. In quei giorni il blocco imposto dagli egiziani al confine con la Striscia era così stretto che alcuni analisti del governo israeliano – raccontò il Wall Street Journal – temettero che fosse persino “troppo duro”.
La collaborazione in queste settimane è evidente nella penisola del Sinai, dove l’esercito egiziano sta reagendo alla presenza di un gruppo affiliato allo Stato islamico con manovre militari che includono l’uso di carri armati ed elicotteri da guerra (americani) e sono possibili soltanto grazie all’assenso di Israele, perché in teoria quella sarebbe una zona demilitarizzata in seguito agli accordi del 1979.
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