Mirino sul tre per cento
Sforare! Nasce il piano dei renziani per rompere nel 2015 i paletti europei
Le due carte del presidente del Consiglio. Le manovre attorno al piano Juncker. Effetti delle mosse della Bce (20 mld).Prepararsi al 24 novembre.
Roma. L’immagine-titoletto che riproduciamo qui sotto, all’inizio di questo articolo, non è una provocazione creativa della redazione del Foglio ma è una promessa scritta nero su bianco dall’attuale presidente del Consiglio esattamente un anno fa. Quando Renzi era ancora sindaco di Firenze e quando proprio nel novembre del 2013 presentò, con una promessa solenne, la sua mozione congressuale.
Paragrafo numero cinque: “Solo cambiando, l’Italia può acquistare la forza e la credibilità necessarie per chiedere all’Europa di cambiare le sue regole e perfino i suoi paletti. A partire dal parametro del tre per cento nel rapporto deficit/pil; un parametro anacronistico”. Negli ultimi mesi, in realtà, il presidente del Consiglio non ha mai fatto a meno di ricordare (specie in presenza della signora Angela Brrr Merkel) che l’Italia non ha intenzione di violare i patti con l’Europa ma da qualche giorno a questa parte è maturata, più a Palazzo Chigi che al ministero del Tesoro, una convinzione precisa che si lega bene alla promessa fatta un anno fa dall’ex sindaco di Firenze: oggi noi stiamo facendo i nostri compitini a casa ma se l’Europa non metterà in campo delle politiche espansive che possano aiutare anche l’Italia a risollevarsi non avremo altra scelta che seguire l’esempio della Francia e della Spagna e superare il prossimo anno il parametro maledetto. Il tema naturalmente è tabù e non esiste esponente di primo piano del Pd del giro renziano che sia disposto ad ammettere il piano B anche per questioni di opportunità politica: l’Italia non ha ancora la certezza matematica di aver scampato la procedura di infrazione che l’Europa potrebbe aprire sulla manovra e dunque meglio andarci cauti. Ma il superamento dei “paletti” del deficit e la lotta contro il tre per cento sono uno ingredienti della strategia di confronto con l’Europa e rappresentano una delle carte tenute coperte dal presidente del Consiglio per arginare un domani anche il partito trasversale (Lega, M5s, parte del Pd) degli scettici sull’Euro. La prima carta è questa. La seconda è quella che ci spiegano due pezzi grossi del Pd. In ballo ci sono circa 20 miliardi l’anno.
Dice Roberto Gualtieri, presidente della Commissione Economia del Parlamento europeo, uomo chiave in Europa per il presidente del Consiglio: “Non esistono piani segreti. Esiste un percorso chiaro e lineare che credo sia utile riepilogare. Il 24 novembre Juncker presenterà un pacchetto macroeconomico che recherà cospicue tracce dell’iniziativa italiana di questi mesi: il piano relativo ai famosi 300 miliardi di investimenti, la valutazione delle leggi di stabilità, che auspicabilmente non sarà negativa nei confronti della manovra italiana e della flessibilità di cui essa ha fatto uso, la ‘Annual Growth Survey’, cioè il documento di indirizzo del prossimo ‘semestre europeo’, e la review del Patto di Stabilità che conterrà un primo orientamento sul ‘migliore uso’ della flessibilità, che potrebbe anche contenere elementi di novità nel calcolo degli investimenti nel quadro del ‘piano Juncker’ e del finanziamento di possibili nuovi strumenti da esso previsti. In parallelo, proprio lunedì, Draghi, intervenendo nella mia Commissione, ha chiarito che l’espansione del bilancio della Bce di mille miliardi non è solo una blanda ‘aspettativa’, ma che Francoforte è pronta a prendere nuove misure per conseguire quell’obiettivo e per riportare l’inflazione vicino al 2 per cento”.
[**Video_box_2**]La seconda partita è legata agli effetti benefici che potrebbero essere generati dalla promessa formulata due giorni fa da Mario Draghi. Draghi ha annunciato che dal 2015 la Banca centrale potrebbe acquistare titoli di stato dei paesi della zona Euro. A livello teorico tutti sanno che cosa significa: la Bce prova a trasformarsi nella Fed. A livello pratico non tutti sanno cosa vuol dire. “Mettere la Bce nella condizione di intervenire sui nostri titoli – spiega Giorgio Tonini, esponente della segreteria con delega anche sull’Europa – significa avere uno strumento fondamentale per combattere la deflazione e creare anche le condizioni per far scendere di un centinaio di punti lo spread. E portare lo spread da 153 punti base a 50 punti base, ai livelli dell’ultimo governo Prodi, equivarrebbe a risparmiare, a regime, circa 20 miliardi di euro di interessi. Io sono convinto che il governo Renzi resterà nei paletti e non violerà le regole. E sono ottimista perché vedo un’Europa che sta isolando i più duri tra i rigoristi tedeschi e sta costruendo un percorso parallelo in cui l’Italia ha un ruolo importante. E questo nuovo equilibrio si riflette anche all’interno della Bce”. Per l’Europa ci sono dunque due carte. Una scoperta. E l’altra coperta. Con l’impressione che il punto numero 5 della mozione Renzi potrebbe diventare qualcosa in più di un affascinante reperto d’archivio.
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