Tutti assicurati contro le catastrofi. Perché no? L'idea di Palazzo Chigi
Dopo un mese di piogge, esondazioni e frane, Graziano Delrio, lunedì ha detto che l’esecutivo sta valutando l’ipotesi di “un’assicurazione obbligatoria per soggetti pubblici e privati contro le catastrofi”.
Roma. Dopo un mese di piogge, esondazioni e frane, polemiche scaricabarile, attribuzioni di responsabilità non impeccabili, richieste di risorse pubbliche per i danni, il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Graziano Delrio, lunedì ha detto che l’esecutivo sta valutando l’ipotesi di “un’assicurazione obbligatoria per soggetti pubblici e privati contro le catastrofi” nel contesto di un “grande piano nazionale” contro il dissesto idrogeologico. L’Italia è tuttora l’unico grande paese europeo a lasciare la decisione alla scelta volontaria dei cittadini, ovvero “chi può si assicuri”, con risultati discutibili. L’assicurazione è obbligatoria in Turchia e Romania o semi-obbligatoria, ovvero un’estensione della polizza antincendio, in Francia, Belgio e Spagna con lo stato a fare da garante. Da noi la materia è discussa da vent’anni.
La prima proposta risale al 1993 a firma del senatore Cesare Golfari (Dc): un’assicurazione obbligatoria per danni a persone e cose da risarcire attingendo al Fondo nazionale per la Protezione civile finanziato attraverso un’aliquota addizionale sulla tassa sulla casa (Ici). Dopo l’insuccesso di Golfari ne seguirono altri. Complici le pressioni delle assicurazioni, la ritrosia della politica e la complessità della materia, le norme sono cadute nel vuoto. La Finanziaria 2005, governo Berlusconi, prevedeva l’istituzione di un fondo di garanzia da 50 milioni di euro per avviare un regime di copertura volontario assieme alla costituzione di una Compagnia di riassicurazioni; le norme attuative non sono mai state emanate. E ancora: all’indomani del terremoto in Emilia del maggio 2012, il governo di Mario Monti – fermo restando il regime volontario – aveva inserito nel decreto di riordino della Protezione civile la possibilità di estendere “ai rischi derivanti da calamità le polizze contro qualsiasi tipo di danno” incentivando la sottoscrizione attraverso la deducibilità, anche parziale, del premio. Veniva poi escluso l’intervento pubblico per i danni subiti dagli edifici; ci avrebbero pensato le assicurazioni. La norma (art. 2) fu eliminata in sede di commissione referente alla Camera con decisione unanime. Il testo aveva vizi sostanziali: troppo “generico” affrontava il tema in “termini affrettati” con “tempi troppo ristretti” per discuterne, serviva “un intervento più meditato”.
[**Video_box_2**]Il governo dei tecnici era stato approssimativo soprattutto quando demandava la stima dei danni alla Protezione civile mentre le assicurazioni hanno l’expertise per farlo. Il breve dibattito suscitato dalla proposta montiana restituisce l’idea della disputa cui si potrebbe assistere oggi: i giornali davano dell’iperliberista a Monti, “amico della lobby assicurativa”, sebbene il mantenimento del regime volontario non incontrasse i desiderata delle assicurazioni – favorevoli al regime obbligatorio o semi-obbligatorio – e l’interventismo pubblico mostrasse limiti oggettivi. La spesa media annua per le ricostruzioni dal 1944 infatti ammonta a 3,5 miliardi di euro ma le comunità colpite spesso non trovano soddisfazione. Gli imprenditori dell’Emilia che invece avevano assicurato i loro capannoni sono stati in massima parte risarciti a sei mesi dal sisma. Istituire un regime obbligatorio per gli edifici privati era considerato “improcrastinabile” già nel 2012 dalla banca inglese Lloyd’s. Tuttavia tale ipotesi è “vissuta dai cittadini come una tassa aggiuntiva”, ha scritto Antonio Coviello in “Calamità naturali e coperture assicurative” (Dario Flaccovio Editore), motivo in più perché la proposta allo studio dell’esecutivo sia innanzitutto spiegata con cura per avere successo.
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