Kevin Spacey è il protagonista della serie tv americana "House of Cards"

House of Renzi

Paola Peduzzi

Il thatcheriano Michael Dobbs dice al thatcheriano premier di infilarsi stivali chiodati e mettersi in marcia, infischiandosene del consenso. Il bigliettino con la battuta british e “il compito erculeo” del governo.

Milano. La politica è una marcia, bisogna essere attrezzati, e se lo dice Michael Dobbs, autore di “House of Cards” (il libro, uscito nel 1989, adattato nella miniserie tv della Bbc del 1990, quattro episodi con protagonista Francis Urquhart, cui s’ispira la versione americana in cui Kevin Spacey interpreta mostruosamente bene il mostruoso Frank Underwood), noi gli crediamo. Lord Dobbs ha lavorato per anni con Margaret Thatcher, ci ha anche litigato, lei lo ha cacciato e, nell’esilio temporaneo, a lui è venuto in mente di scrivere un bestseller ambientato a Westminster in cui protagonista è la brutalità della politica (chi non si adatta al sistema rischia di venir spinto dalla terrazza del Parlamento e finire spiaccicato su un’automobile parcheggiata giù di sotto): Dobbs ha visto, Dobbs sa. Negli anni, in Inghilterra, la politica è stata letta attraverso la lente di “House of Cards”, cercando intrighi e trovando nei politici più spietati un riflesso di F. U. (come è chiamato Francis Urquhart): il più citato, come alter ego, è Peter Mandelson, ovvio, il signore delle tenebre del blairismo che più volte è sembrato spacciato ed è sempre risorto. Oggi Dobbs spiega che il suo libro è “puro intrattenimento, non è un manuale di istruzioni”, come ha fatto sapere anche a Matteo Renzi, premier italiano che ha acquistato una copia di “House of Cards” in una libreria romana ad aprile: Dobbs gli ha inviato alcune copie del libro firmate, e nel bigliettino, evocando il Machiavelli fiorentino e le arti oscure della politica, suggeriva, con ironia british, di non prendere nulla alla lettera, non è un breviario, “House of Cards”. Il tuo è “un compito erculeo”, concludeva Dobbs augurando buona fortuna a Renzi.

 

Il senso della marcia però resta intatto. E’ una marcia, col clarinetto, la sigla che apre e chiude la serie tv della Bbc in cui F. U. (sapete cosa sembra l’acronimo in inglese, sì?) amministra il potere con ambiziosa ferocia, ed è la marcia la metafora che Dobbs sceglie per dare suggerimenti a Renzi, come ha fatto due giorni fa in un incontro a Roma: “Tutto quello che so sulla politica l’ho imparato lavorando al cospetto di Margaret Thatcher, che teneva nell’armadio un paio di stivali chiodati, ed è con quelli che ha marciato nella sua carriera politica. E allora il mio consiglio a Renzi è di tirare fuori dal cassetto i suoi stivali, dargli una bella lucidata e di mettersi in marcia”. Un thatcheriano doc dice al premier accusato di thatcherismo dai sindacati italiani di non badare troppo all’amore degli altri, al consenso, l’importante è essere rispettati e sapere in che direzione si marcia, “se è chiara la tenacia, la spietatezza con cui vuoi perseguire quell’obiettivo, la gente sarà sempre con te”.

 

C’è chi mormora che Renzi non abbia bisogno di lezioni di spietatezza, ma non c’è solo il thatcherismo con gli stivali chiodati, nel mondo, c’è pure un modello politico-televisivo più inspirational, un Obama che guarda “Homeland”, i buoni che danno la caccia ai cattivi, anche se lui è sempre intento a masticare Nicorette.

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  • Paola Peduzzi
  • Scrive di politica estera, in particolare di politica europea, inglese e americana. Tiene sul Foglio una rubrica, “Cosmopolitics”, che è un esperimento: raccontare la geopolitica come se fosse una storia d'amore - corteggiamenti e separazioni, confessioni e segreti, guerra e pace. Di recente la storia d'amore di cui si è occupata con cadenza settimanale è quella con l'Europa, con la newsletter e la rubrica “EuPorn – Il lato sexy dell'Europa”. Sposata, ha due figli, Anita e Ferrante. @paolapeduzzi