Juncker l'illusionista
Tutti i dubbi sul piano europeo per rilanciare gli investimenti, tra numeri veri e precedenti flop.
Bruxelles. “I 300 miliardi li troveremo con i road show a New York, Londra, Singapore e Shanghai”. Una fonte comunitaria sintetizza così il piano di investimenti da 300 miliardi che il presidente della Commissione Ue, Jean-Claude Juncker, dovrebbe presentare nei prossimi giorni (forse già lunedì) per risollevare l’economia dell’Unione europea. Soldi freschi non ce ne sono, Juncker ha promesso di non aumentare i debiti pubblici e, quindi, non resta che ricorrere ai buoni vecchi metodi dell’ingegneria finanziaria. Secondo alcune bozze del piano, lo strumento privilegiato è uno Special purpose vehicle analogo alla European financial stability facility (Efsf) che era stata inventata in una notte del maggio 2010 per salvare la Grecia. Del resto, anche il nome potrebbe essere copiato: “Facility” europea per gli investimenti, ma alcuni preferirebbero “Fondo”. La Commissione è convinta che bastino 30 miliardi di capitale per produrre un effetto leva che porterebbe a 300 miliardi di investimenti. Le risorse iniziali dovrebbero venire dalla Banca europea per gli investimenti (Bei) e dagli stati membri, anche tramite garanzie. “Il presidente della Bei, Werner Hoyer, e il capo dell’Efsf, Klaus Regling, hanno gli uffici vicini” in Lussemburgo, spiega al Foglio la fonte comunitaria: “Regling può insegnare a Hoyer come si fanno i road show nelle capitali finanziarie”. Ma l’ottimismo sul piano Juncker appare a molti esagerato: la leva di 1 a 10 rischia di essere sopravvalutata, mentre i precedenti piani di investimento dell’Ue sono stati un flop. Il primo responsabile politico a mettere in dubbio i calcoli della leva finanziaria è stato il ministro dell’Economia francese, Emmanuel Macron: “Temo che il piano possa rivelarsi deludente”, ha detto al Financial Times, chiedendo 60-80 miliardi di “soldi veri”. I 300 miliardi, inoltre, sarebbero il risultato di una doppia moltiplicazione: con i 30 miliardi di capitale la Facility raccoglierebbe sui mercati un centinaio di miliardi che a loro volta andrebbero a cofinanziare progetti per un valore complessivo di 300 miliardi, a cui parteciperebbero altri investitori pubblici e privati.
Il meccanismo in fase di studio del piano Juncker ricorda quanto è stato fatto con la Banca europea per gli investimenti, per dare un po’ di consistenza al “Compact per la crescita” del 2012, che il presidente francese François Hollande aveva preteso appena dopo il suo arrivo all’Eliseo. All’epoca l’Unione europea aveva promesso 120 miliardi di investimenti, per metà riciclando i fondi del bilancio comunitario, e per il resto ricorrendo a un aumento di capitale della Bei da 10 miliardi per far giocare la leva finanziaria. Risultato: nel 2013 la Bei rivendica di aver prestato 21 miliardi in più del 2012 e spera di replicare nel prossimo biennio, portando il totale a 60 miliardi. E poiché la Bei finanzia circa il 35 per cento del costo dei progetti, i 60 miliardi di prestiti aggiuntivi stanno permettendo l’attivazione di 180 miliardi di investimenti in più.
[**Video_box_2**]In realtà, gran parte degli analisti concordano nel ritenere che il “Compact per la crescita” del 2012 sia stato un fallimento. Gli effetti sull’economia reale sono stati praticamente nulli: secondo Daniel Gros, direttore del think tank Centre for european policy studies, con “la caduta del potenziale di crescita dell’area euro” è inutile puntare sugli investimenti. “La ripresa negli Stati Uniti e nel Regno Unito è stata trainata dai consumi”. Ricorda Gros in un recente paper: “Una ripresa negli investimenti è seguita a una crescita nei consumi” e non viceversa.
Nel novembre 2008, dopo il collasso di Lehman Brothers, l’Ue era stata ancora più ambiziosa, con un piano da 200 miliardi: “Una risposta senza precedenti a una crisi senza precedenti”, aveva detto l’allora presidente della Commissione, José Manuel Barroso, annunciando pure flessibilità nell’interpretazione del Patto di stabilità per permettere agli stati membri di investire, salvo accorgersi nel 2010 della crisi del debito. Sei anni dopo, l’Ue rischia di cadere nella stessa illusione.
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