L'astutissimo calcolo politico di Shinzo Abe
"E' la mancata consistenza dell’opposizione (quindi di alternative) a contare, non tanto l’appeal di chi sta al governo". Il premier riformista indice elezioni anticipate, ma non è un segno di debolezza. I molti punti in comune con l’Italia.
Il Giappone è ufficialmente in recessione, e la decisione del primo ministro Shinzo Abe di sciogliere la Camera bassa della Dieta e tornare alle elezioni a metà dicembre, con un paio di anni di anticipo, non è piaciuta granché ai giapponesi. Secondo un sondaggio pubblicato oggi da Kyodo News, il 60 per cento degli elettori non è d’accordo con la decisione di Abe. Il giornale d’opposizione Asahi shimbun (che certo ha i suoi problemi con il governo) rimprovera al primo ministro di andare alle elezioni senza aver fatto prima la riforma della legge elettorale (pure lui!). I dati del pil giapponese di lunedì hanno scatenato il dibattito sugli effetti dell’Abenomics – l'aggressiva politica fiscale e monetaria decisa dal liberale Shinzo Abe, tornato al potere alla fine del 2012 (leggi per esempio “The failure of Abenomics” sul Wall Street Journal, “Abenomics’ direction uncertain after GDP shock” sul Financial Times, ma anche “The West Can Only Dream Of Japan's Level Of 'Failure'” su Business Insider, "Japan’s Abenomics may unravel under recession" sul South China Morning Post).
Ma se le opinioni sull’Abenomics sono ancora contrastanti, perché indire le elezioni anticipate? “Si tratta di un astutissimo calcolo politico”, spiega al Foglio Stefano Carrer, corrispondente da Tokyo del Sole 24 ore e autore di un interessante “processo all’Abenomics”. “Il lieve calo del pil nel terzo trimestre fa il gioco di Abe, consentendogli di presentarsi agli elettori impostando il voto come risposta-referendum alla seguente domanda: approvate o no che io vi abbia risparmiato per 18 mesi un aumento delle tasse già previsto in modo bipartisan? Più tasse o meno tasse? Così spiazza un’opposizione che stava cominciando a ricompattarsi solo ora”, dice Carrer. E in pratica le elezioni anticipate entrano a far parte ufficialmente dell’Abenomics, delle riforme, una specie di “quarta freccia” delle tre che costituiscono il nuovo corso economico inaugurato dal governo.
Le elezioni arrivano subito prima di un suo ulteriore indebolimento “e di una solida ripresa di fiducia dell’opposizione. Inoltre Abe potrà procedere a un nuovo rimpasto di governo ‘annullando’ quello fallimentare varato alcune settimane fa. Senza elezioni, Abe sarebbe stato rosolato a fuoco lento. Con una nuova manovra di stimoli fiscali, inoltre, potrà affrontare meglio le elezioni amministrative di primavera anziché perderle di sicuro”. In questo scenario le somiglianze con la situazione politica italiana non sono poche. Per esempio, come mai l’opposizione (in Giappone è il centrosinistra) è ancora così debole contro la coalizione di centrodestra? “Dopo l’esperienza triennale al governo condotta e finita male, il Partito democratico è ancora sostanzialmente in crisi”, dice Carrer: “E' la mancata consistenza dell’opposizione (quindi di alternative) a contare, non tanto l’appeal di chi sta al governo. Suona familiare, no?”. Shinzo Abe, infatti, gode ancora di un certo consenso e viene votato anche se molte sue politiche sono assai impopolari: “Si prendano ad esempio in considerazione il rialzo dell’Iva di aprile, il cambiamento dell’interpretazione della Costituzione per consentire la difesa collettiva, la legge restrittiva sui segreti di stato, il piano di riapertura delle centrali nucleari…”.
[**Video_box_2**]La spinta riformista di Shinzo Abe rimane comunque ancora un’alternativa all’austerità europea, ma cosa chiedono i giapponesi? Cosa vuole “il paese reale”, come si dice qui da noi? Carrer dice che “come gli italiani non si rendono ancora conto di quanto si siano impoveriti perché la forza del cambio dell’euro li fa sentire ricchi quando vanno all'estero, così al contrario il giapponese medio si sente impoverito perché all'estero deve spendere il 40 per cento in più rispetto a due anni fa. Il paese reale non capisce perché l'arrivo dell'inflazione e il crollo dello yen debbano essere una festa. Inoltre i giapponesi non sono abituati né a percepire che a ogni acquisto una parte consistente dei loro soldi vada al fisco (attraverso l'Iva) né alla crescita dei prezzi nominali. I loro salari non sono aumentati o sono saliti comunque meno dell'inflazione (che con l’effetto-Iva è del 3 per cento e oltre, non di quel 1 per cento preso a riferimento da analisti e Banca centrale escludendo questo effetto). L'inflazione percepita è anche superiore. Il giapponese medio pensa che l’Abenomics favorisca la Borsa e le grandi aziende e, di fatto, lo penalizzi. Abe, per esempio, ha alzato in aprile le imposte indirette (che gravano su tutti) e ha promesso alle aziende una riduzione della corporate tax”.
Ma allora cos’è che manca all'Abenomics? La risposta è chiara: “Trecentomila consumatori l’anno. Nel 2014 la popolazione del Giappone diminuirà all'incirca in questi termini. Sparisce un’intera città all'anno, insomma. E Abe non vuole cambiare seriamente la politica restrittiva sull'immigrazione” – il Giappone infatti non apre le frontiere e il declino demografico inarrestabile provoca la mancanza di forza lavoro oltre che di potenziali consumatori. “Quando si confrontano i dati sul pil – è l’idea di Carter – bisognerebbe considerare quello pro capite più che quello generale. Il confronto indistinto con paesi che crescono di milioni di persone l’anno mi pare una faciloneria”.
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