Benedetto XVI (foto LaPresse)

Perché (e quando) B-XVI ha cambiato idea sull'ostia ai divorziati risposati

Matteo Matzuzzi

Che il professore cattedratico a Ratisbona Joseph Ratzinger, quaranta e più anni fa, la pensasse come Walter Kasper sulla misericordia da usare nei confronti dei divorziati risposati, non è una novità.

Roma. Che il professore cattedratico a Ratisbona Joseph Ratzinger, quaranta e più anni fa, la pensasse come Walter Kasper sulla misericordia da usare nei confronti dei divorziati risposati, non è una novità. Il saggio in cui il futuro Pontefice scriveva che “nel caso in cui il secondo matrimonio avvenga dopo diverso tempo e sia vissuto nello spirito della fede, e siano rispettati obblighi morali nei confronti dei bambini e della nuova moglie”, è noto da decenni, presente sugli scaffali delle biblioteche nella sezione teologica e brandito come fosse il libretto rosso maoista dai principali gruppi progressisti d’Europa, primo fra tutti Noi siamo chiesa. La novità è che quella frase, Benedetto XVI, prima di farla stampare nel quarto volume della sua opera omnia ora in uscita in Germania, l’ha riscritta da cima a fondo. “Se la Chiesa rilevasse come un matrimonio fosse nullo a causa di una immaturità psicologica, le nuove nozze sarebbero ammesse. Anche senza questo procedimento un divorziato potrebbe inoltre essere attivo nelle comunità ecclesiastica, e poter diventare padrino di un battezzato”, recita la nuova formulazione. La questione, dunque, cambia radicalmente, e nella versione redatta dal Ratzinger Papa emerito l’accento si sposta sulla validità del sacramento. Un processo di maturazione datato, che risale agli anni Ottanta, quando il futuro Benedetto XVI s’insediò nel palazzo del Sant’Uffizio e fece studiare alla congregazione il problema del sacramento contratto senza fede. E’ sempre stato questo il punto fondamentale da cui partire, per il teologo bavarese. Non certo l’adeguamento allo spirito dei tempi della dottrina o l’aggiornamento della pastorale alle mutate esigenze della società contemporanea.

 

Già nei primi anni Novanta, Ratzinger corresse pubblicamente la posizione aperturista messa nero su bianco a Ratisbona nel 1972, allorché rispedì al mittente – con il placet di Giovanni Paolo II – la richiesta dei vescovi Kasper, Lehmann e Saier di permettere ai divorziati risposati di comunicarsi. Il prefetto bavarese, citando la Familiaris Consortio e il Catechismo della chiesa cattolica, scriveva che “la dottrina e la pratica della chiesa precludono ai cattolici risposati civilmente di ricevere la comunione, dal momento che la loro condizione di vita oggettivamente contraddice l’unione d’amore tra Cristo e la chiesa”. Non era quello dell’ostia ai divorziati risposati, il cuore del problema, per Benedetto XVI. In uno dei suoi ultimi discorsi da Pontefice, nel gennaio 2013, all’inaugurazione dell’Anno giudiziario della Rota romana, si soffermò sul principio del bonum coniugum: “Non intendo certamente suggerire alcun facile automatismo tra carenza di fede e invalidità dell’unione matrimoniale, ma piuttosto evidenziare come tale carenza possa, benché non necessariamente, ferire anche i beni del matrimonio, dal momento che il riferimento all’ordine naturale voluto da Dio è inerente al patto coniugale”. “I cambiamenti scritti da Benedetto XVI si possono leggere come una risposta a Kasper”, ha scritto la Süddeutsche Zeitung, commentando la revisione operata da Ratzinger sui suoi vecchi saggi teologici, aggiungendo che “il Papa emerito pare aver rotto la sua promessa di non intromettersi negli affari correnti della chiesa cattolica”. In realtà, la frase sulla comunione ai divorziati Ratzinger l’ha riscritta molto tempo fa, ben prima che i padri sinodali si riunissero a Roma a discettare di dottrina e prassi pastorale da aggiornare.

  • Matteo Matzuzzi
  • Friulsardo, è nato nel 1986. Laureato in politica internazionale e diplomazia a Padova con tesi su turchi e americani, è stato arbitro di calcio. Al Foglio dal 2011, si occupa di Chiesa, Papi, religioni e libri. Scrittore prediletto: Joseph Roth (ma va bene qualunque cosa relativa alla finis Austriae). È caporedattore dal 2020.