Disintermediazione su carta

Federico Sarica

La notizia, di pochi giorni fa, è che Airbnb (il sito che permette di affittare appartamenti in giro per il mondo in maniera rapida e anche per periodi limitatissimi di tempo mettendo in contatto diretto proprietari e viaggiatori) inizia a pubblicare una rivista di carta.

La notizia, di pochi giorni fa, è che Airbnb (il sito che permette di affittare appartamenti in giro per il mondo in maniera rapida e anche per periodi limitatissimi di tempo mettendo in contatto diretto proprietari e viaggiatori) inizia a pubblicare una rivista di carta. Lo ha annunciato ufficialmente oggi.

 

Una rivista di carta? Proprio Airbnb, uno dei simboli della ormai celebre disintermediazione e della mai troppo citata disruption digitale? Già, proprio così. Trimestrale, molto curato nella grafica e nei contenuti, il magazine si chiamerà Pineapple, ananas (che in alcuni stati americani è simbolo di ospitalità), sarà distribuito gratuitamente in qualche migliaia di copie negli appartamenti che rientrano nel circuito globale di Airbnb; il resto delle copie sarà in vendita, sia online che in luoghi selezionati. Prezzo alto, dodici dollari. L’obiettivo – così hanno raccontato dall’azienda di San Francisco – è quello di “aumentare il valore del brand raccontando storie e pubblicando approfondimenti che ispirino e motivino la voglia di esplorare dei lettori e degli utenti”. Si insiste molto su un concetto: Airbnb è un colosso digitale, con una comunità in espansione molto attiva e fidelizzata, ma quando tu utente entusiasta arrivi nel tuo bell’appartamento dall’altra parte del mondo, il brand sparisce. Non c’è più. Potresti essere ovunque, e quindi da nessuna parte, men che meno chez Airbnb. Pineapple, spiegano, servirà a questo, a farti sentire dentro la grande casa Airbnb, a fartene respirare l’estetica e misurare il tono di voce, a farti portare a casa un pezzetto di quell’esperienza. Che poi, a pensarci bene, era lo scopo originario delle riviste periodiche. Airbnb non è sola nella scelta: WebMd, leader nella comunicazione medica e scientifica e il portalone di tecnologia CNET, entrambi molto presenti online, hanno recentemente annunciato lo sbarco fisico in edicola. Il perché di questa ritrovata tendenza lo riassume molto bene il direttore di Monocle Tyler Brûlé sull’ultimo numero del magazine, in cui ha pubblicato un vero e proprio manifesto per le riviste del ventunesimo secolo.

 

[**Video_box_2**]Brûlé dice questo sostanzialmente: c’è ancora una fascia di lettori (che spende denaro per le proprie passioni, quindi una fascia potenzialmente molto interessante oltreché interessata) che vuole riconoscersi in quello che legge e, per quanti abbonamenti su tablet uno possa avere, la testata del giornale su cui mi riconosco, se sottobraccio ho un iPad, non la vede nessuno. Il che è un problema per chi fa un certo tipo di prodotti editoriali, in quanto, è risaputo, la prima regola del lettore dell’Economist, per citare un esempio celebre, è di essere riconosciuto come lettore dell’Economist, come parte di quella comunità. Idem per l’entusiasta utilizzatore di Airbnb, smanioso di far sapere ad amici e passanti che lui i noiosissimi hotel e le relative obsolete pratiche di prenotazione le ha disintermediate da un po’. La forza di questo ragionamento va pesata proprio nell’ampio raggio di realtà cui può essere applicata: da Airbnb, un campione dei nostri tempi, fino a un vecchio arnese dell’editoria come New Republic, così vecchio che ha da qualche giorno compiuto cent’anni. Nel numero celebrativo, su queste pagine già ben raccontato da Paola Peduzzi, l’ex direttore Hendrik Hertzberg, nel descrivere come lui da adolescente si innamorò di un certo tipo di periodici, osserva che “quei giornali trattavano i loro lettori con rispetto, li consideravano membri di una comunità selezionata e coinvolta, non semplicemente dei consumatori passivi di un prodotto, un pubblico, un gregge”. Che è esattamente il lavoro che Pineapple cercherà di fare per l’appassionato disintermediatore Airbnb. Niente di nuovo quindi, se non che in molti si stanno accorgendo che non di nostalgia si tratta, anzi: l’argomento in questione è tema ben vivo per fautori di business model sempre più complicati da far quadrare. Nel mio piccolo, dirigendo e avendo contribuito a fondare un trimestrale che si chiama Studio, ho sperimentato tutto questo in prima persona, come giornalista e come piccolo imprenditore. Ieri, sul Corriere della Sera, siamo stati definiti una “rivista-network”. E’ così, o almeno l’ambizione è quella: aggregare la fantomatica comunità di cui scriveva Hertzberg, crescere insieme ai nostri lettori, facendo in modo che ci si riconosca a vicenda sempre di più e sempre meglio. Per questo, ad esempio, da oggi e per tre giorni Studio esplorerà i propri contenuti dal vivo alla Triennale di Milano, attraverso una serie di ospiti e di chiacchierate sui temi a noi cari. Il sito di Studio c’è, ed è il nostro cuore pulsante, la versione per iPad pure. Ma sarebbe un media monco – e soprattutto economicamente non starebbe lontanamente in piedi – senza il trimestrale di carta e gli incontri dal vivo. Sono quelli che ci fanno crescere con criterio e immaginare di poter avere un futuro. Ma del resto, noi lettori e collaboratori del Foglio, i foglianti come noi si ama farsi chiamare, tutte queste cose le sappiamo molto bene, no?

 

Federico Sarica è direttore di Rivista Studio

Di più su questi argomenti: