Nel 2006 il rapper Dr. Dre ha fondato Beats, il marchio delle cuffie più cool del momento. In America Beats è anche un servizio a pagamento per ascoltare musica online. Apple lo ha comprato e rilancia

La nuova guerra di Apple

Piero Vietti

Come si riconquista il mercato discografico? Gli eredi di Jobs entrano nel grande risiko della musica in streaming (con Beats). Sfida a Spotify e Google. Occhio ai vostri iPhone.

Il 9 settembre di quest’anno milioni di possessori di iPhone, iPad, iPod e Macintosh in generale si sono trovati nel proprio dispositivo l’ultimo dimenticabile album degli U2, “Songs of Innocence”, senza averlo chiesto a nessuno. Sono seguite polemiche, indignazioni, proteste, editoriali piccati contro il Grande Fratello di Cupertino che si inserisce nottetempo nei nostri smartphone per lasciarci in dono musica bollita, scuse ufficiali di Bono e tutto è stato dimenticato nel giro di un mese. Apple però ci ha preso gusto a intervenire sui nostri dispositivi senza chiedere il permesso, e stando a quanto anticipato dal Financial Times sul suo sito martedì sera, si prepara a integrare dal 2015 il servizio di musica in streaming Beats su tutti i device che utilizzano iOS, il sistema operativo dell’azienda fondata da Steve Jobs.

 

Passo indietro. Beats è noto al grande pubblico per essere il marchio delle cuffie musicali considerate le più cool del momento. Fondata nel 2006 dal produttore americano Jimmy Iovine e dal rapper Dr. Dre, Beats Electronics si è inserita nel nuovo e fiorente mercato delle cuffie per ascoltare musica, da oltre un lustro dominato da Bose, iniziando una salutare e battagliera concorrenza che dura ancora (basta guardare cosa hanno in testa i calciatori che scendono dall’autobus prima delle partite, gli hipster e molti adolescenti in tutto il mondo per farsene un’idea). L’intuizione di Dr. Dre è stata lungimirante: dopo avere scritto un capitolo importante nella storia dell’hip hop, a un certo punto si è reso conto che le sue rime non avrebbero più aggiunto nulla a quel genere, ha cominciato a produrre (è lui che ha scoperto Eminem) e ha annusato il mercato capendo al volo che quello delle cuffie e degli altoparlanti per ascoltare musica come mai prima d’ora era uno spazio in cui si poteva guadagnare parecchio. E così è stato con Beats. Negli Stati Uniti, dal 2012 Beats offre anche un servizio di musica in streaming con un abbonamento flat mensile a 10 dollari. Il sistema è analogo a quello di altri servizi simili, il più famoso dei quali è Spotify, lanciato nell’ottobre 2008 dalla start-up svedese Spotify AB e che conta oggi 50 milioni di utenti, di cui quasi un quarto a pagamento. E proprio Spotify sarebbe, secondo gli analisti, il primo “nemico” da abbattere per Apple.

 

Il ceo dell’azienda fondata da Steve Jobs, Tim Cook, quest’anno ha comprato Beats per 3 miliardi di dollari. Una bella cifra, se si considera che, secondo dati citati dal Financial Times, Beats ha attualmente appena 110 mila utenti paganti iscritti. Questa è la seconda grande intuizione imprenditoriale di Dr. Dre: vendere un’azienda cool ma di nicchia a chi, cool e di massa, avrebbe sicuramente saputo rilanciarla. Cedendo Beats ad Apple, Dr. Dre si è assicurato l’ingresso nella società di Cupertino e un volano niente male per il lancio dei nuovi modelli di cuffie, acquistabili su App Store.

 

Nei primi anni del secolo, Apple ha rivoluzionato e salvato l’industria musicale con l’invenzione di iTunes, il sistema per acquistare musica online a prezzi contenuti. A quell’epoca il download selvaggio e l’arrivo di Napster, piattaforma gratuita di condivisione di file, diedero un colpo quasi mortale alle etichette, dato che gli utenti caricavano e scaricavano gratis migliaia di file musicali da tutto il mondo. L’arrivo di iTunes, con la contemporanea diffusione dei primi iPod, diede nuovo respiro all’industria discografica, di fatto cambiandola.

 

Oggi però Apple deve fare i conti con un crollo evidente delle vendite di album e brani (-14 per cento nell’ultimo anno): servizi come Spotify e Pandora (sistema che permette agli utenti di creare una propria radio online virtuale che passa solo i pezzi preferiti) offrono la possibilità di ascoltare musica gratis, seppur con pubblicità e limitazioni, rendendo di fatto iTunes vecchio e troppo costoso.

 

Con l’installazione “forzata” di Beats su tutti i dispositivi, Apple dichiara apertamente guerra a Spotify, Pandora, Soundcloud e tutta una serie di altri servizi che al momento superano di gran lunga la creatura di Dr. Dre.

 

Per capire se la mossa di Tim Cook avrà successo c’è bisogno di una breve contestualizzazione: Spotify è appena uscito malamente da una lite con Taylor Swift. La cantante americana diventata nuovo fenomeno planetario (un esempio? Nella prima settimana il disco “1989” ha venduto un milione e trecentomila copie, il 22 per cento dell’intero mercato mondiale) ha ritirato tutta la sua discografia da Spotify, reo di offrire gratis o a prezzi da lei considerati troppo bassi la possibilità di ascoltare tutta la musica che si vuole, compresa la sua. La ripicca della Swift potrebbe fare da apripista per altri artisti, e costringere Spotify a rivedere la registrazione gratuita al servizio. Negli stessi giorni YouTube ha stipulato un accordo con le maggiori etichette di musica indipendente e si appresta a lanciare Music Key, un suo servizio di musica in streaming a pagamento.

 

[**Video_box_2**]Che Apple stesse preparando qualcosa di grosso dopo l’acquisto di Beats era nell’aria: da settimane sui siti specializzati si vociferava di un pressing continuo sulle etichette discografiche proveniente da Cupertino, con l’obiettivo di trattare sui prezzi e offrire un servizio più economico di quello dei competitor attualmente più avanti di Apple sul mercato dello streaming musicale. A ottobre il sito di notizie tecnologiche Recode scriveva che il vicepresidente della divisione Internet Software and Services di Cupertino, Eddy Cue, stava lavorando a una proposta di abbonamento flat per la musica in streaming attorno ai 5 dollari al mese. Il New York Times scriveva ieri che, sul prezzo, le case discografiche stanno ancora battagliando, ma se le indiscrezioni circolate in queste ore verranno confermate dai fatti, già da marzo Apple occuperà i nostri smartphone e tablet con Beats, facendolo passare da servizio di nicchia per pochi appassionati con tendenza al fighettismo a un prodotto di massa con un prezzo talmente accessibile da rischiare seriamente di danneggiare Spotify. Per capirci: comprando un nuovo iPhone, o aggiornando il sistema operativo, tra le tradizionali icone “native” (foto, messaggi, mappe, meteo, calcolatrice…) ci sarà anche Beats (probabilmente con un nome cambiato, forse unificato con iTunes, suggeriva il Financial Times, ma la sostanza non cambia). Non male, per un’app che oggi è appena la nona più scaricata tra quelle musicali. Nessuno sarà costretto a usarla, chiaramente, e potrà essere accantonata in una sottocartella assieme ad altre app native come Game Center, Suggerimenti e la Borsa. C’è da scommettere però che molti cominceranno ad aprirla: il tanto criticato esperimento dell’album degli U2 ha comunque portato 26 milioni di download in un mese.

 

Apple è una delle poche aziende al mondo che può permettersi ancora per un po’ esperimenti di questo tipo: nel 2013 ha lanciato, senza troppo successo, iTunes Radio, e ha da poco presentato il metodo di pagamento veloce Apple Pay. Ora con Beats può dare vita a un combinato disposto di radio online, sistema di pagamento rapido, download con iTunes e streaming che darebbe agli utenti un’offerta che nessun altro è attualmente in grado di presentare. Tanto da far pensare – lo scriveva ieri il Guardian – che il vero avversario da sconfiggere per Apple non sia in realtà Spotify, bensì il più potente e storico rivale Google: con Google Play e YouTube Music Key installati automaticamente sui prodotti Android, infatti, Google potrebbe raggiungere ancora più utenti di Apple. E guadagnarci di più. La battaglia è appena cominciata.

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  • Piero Vietti
  • Torinese, è al Foglio dal 2007. Prima di inventarsi e curare l’inserto settimanale sportivo ha scritto (e ancora scrive) un po’ di tutto e ha seguito lo sviluppo digitale del giornale. Parafrasando José Mourinho, pensa che chi sa solo di sport non sa niente di sport. Sposato, ha tre figli. Non ha scritto nemmeno un libro.