Borse più che felici
Da Draghi a Merkel, basta un'eco di “svolta” per giubilare
La Bce antideflazione, Padoan critico su Bruxelles, i silenzi di Weidmann. Le Borse europee hanno festeggiato.
Roma. I più ottimisti hanno il presentimento di una svolta pragmatica in arrivo nella conduzione della politica economica dell’Eurozona. I più realisti ammettono che, con il nostro continente ridotto a fanalino di coda della ripresa globale, ci si appiglia un po’ a tutto per sperare in un cambio di rotta. Fatto sta che ieri, tra un Mario Draghi più possibilista che mai su un intervento espansivo della Banca centrale europea (Bce) e una Banca centrale cinese che taglia i tassi d’interesse per sostenere la crescita, le Borse europee hanno festeggiato. Milano ha chiuso meglio delle altre, a più 3,8 per cento. Non solo: il rendimento dei Btp italiani a dieci anni ha toccato i minimi storici al 2,21 per cento; il differenziale con i Bund tedeschi, considerati più sicuri, ha chiuso a 144 punti.
Draghi, intervenendo a Francoforte allo European banking congress, “in uno dei discorsi più espliciti compiuti fino a oggi” (hanno scritto gli analisti di Barclays), ha delineato i rischi “di un periodo troppo prolungato di bassa inflazione” che diventi parte integrante delle “aspettative”: complicazione dell’aggiustamento relativo di competitività tra i paesi dell’Eurozona, appesantimento del fardello debitorio degli stati della periferia, disincentivo degli investimenti e stretta monetaria. Draghi, oltre a rivendicare dunque le misure prese finora (“non convenzionali” ma tutt’altro che “non ortodosse”), ha prima ammesso che le prospettive di un innalzamento futuro di pil e prezzi peggiorano, poi ha ripetuto per due volte che la Bce è pronta a “modificare in modo conforme il volume, il ritmo e la composizione dei nostri acquisti”. Come dire che per far lievitare il bilancio della Bce fino alla soglia di 3 trilioni di euro raggiunta nel 2012 potrebbero non bastare gli acquisti di covered bond e Abs (Asset backed securities); ecco dunque un’altra apertura del presidente della Bce al possibile Quantitative easing con tanto di shopping di titoli di stato, dopo il riferimento esplicito fatto nei giorni scorsi al Parlamento europeo. Jens Weidmann, governatore della Bundesbank, intervenendo subito dopo il collega italiano, ha evitato di sottolineare ancora una volta il suo dissenso. Di per sé un gesto distensivo, dice qualcuno. Mentre per Jonathan Loynes, analista di Capital economics, “le attuali divisioni nella Bce rimangono un motivo sufficiente per ritenere che il Quantitative easing della Bce, quando arriverà, non sarà sufficientemente potente”.
[**Video_box_2**]Anche dal governo italiano arrivano appelli per una politica monetaria espansiva. Ieri è stato il turno di Pier Carlo Padoan, ministro dell’Economia, intervistato dal Financial Times: “Raccomanderei sicuramente di provare a fare tutto il possibile per velocizzare l’aumento dei prezzi verso il 2 per cento”. Tuttavia il centro dell’intervista era un altro. Padoan infatti, lasciando ad altri parlamentari ed esponenti di governo il battibecco sul possibile sforamento del rapporto deficit/pil al 3 per cento, ormai un evergreen pre e post scrittura della legge di stabilità, ha preferito contestare apertamente i criteri con cui Bruxelles calcola l’aggiustamento fiscale necessario all’Italia. La Commissione Ue ritiene che il pil italiano sia oggi più vicino al pil potenziale di quanto non creda per esempio l’Ocse, e ciò accade per colpa di “un apparato teorico traballante”, dice Padoan. Da qui l’eurorichiesta di dosi di austerity più massicce del dovuto.
Fischer e l’opzione “nucleare” - Padoan – che sempre ieri ha scritto alla Commissione Ue per perorare la causa delle riforme italiane in vista del giudizio sulla legge di stabilità – ha ripetuto pure, sulla scia di varie organizzazioni internazionali, che la Germania può favorire il riequilibrio dell’Eurozona con maggiori investimenti. E’ quanto ha invocato, in un’intervista all’Espresso, anche Joschka Fischer, leader storico dei Verdi tedeschi e già ministro degli Esteri dal 1998 al 2005. La cancelliera Merkel, però, non sembra volerne sapere. Replica Fischer: “Sul conto di Merkel non è ancora detta l’ultima parola. Si fidi del mio istinto: cambierà le sue posizioni e abbandonerà il suo assurdo vangelo dell’austerità”. In ambienti diplomatici italiani si osserva infatti: Merkel opera tatticamente più che strategicamente, e non in maniera ideologica come Weidmann; su un dossier chiave come quello dell’energia nucleare, di cui era convinta sostenitrice, la cancelliera nel 2011 ha cambiato del tutto posizione; oggi non è da escludere che numeri e opinioni cangianti dei suoi consiglieri possano farle mutare approccio al rigore fiscale. E la Borsa va.
Il Foglio sportivo - in corpore sano