Quando la libertà è una procedura schifosa e comoda di annientamento
Si fanno progressi. Internazionale, rivista di successo e di tendenza in particolare tra i ragazzi e i piacioni del giornalismo collettivo, ha strillato in copertina un saggio intitolato “libere di abortire”.
Si fanno progressi. Internazionale, rivista di successo e di tendenza in particolare tra i ragazzi e i piacioni del giornalismo collettivo, ha strillato in copertina un saggio intitolato “libere di abortire”. Scaricare un bambino indesiderato e classificarlo tra i “rifiuti ospedalieri” va considerato il comportamento normale, dice il saggio, di cui non è nemmeno lecito discutere. Discutiamo invece della spennatura illegale delle oche. La pillola dei “quattro giorni dopo” sta per essere venduta dietro l’angolo. Come quella Ru486 abortiva, il darling farmaceutico delle Regioni italiane progressiste e del loro mercato riproduttivo. A occhio e croce dovrebbe essere il trionfo della libertà, della privacy, della misericordia (concetti paralleli, a quanto pare).
Tutto era cominciato con la lotta farlocca allo scandalo dell’aborto clandestino. Era la “tutela sociale della maternità”, come reca la legge d’autorizzazione italiana. L’aborto era un dramma, ricordate, e i pro life non erano capaci di intenderne tutta la pregnanza, la tragicità, l’irrimediabile complessità dentro storie individuali, dentro scelte obbligate socialmente, in mezzo a compromissioni che tiravano in ballo qualunque cosa tranne la responsabilità di chi prende quella decisione e la conduce a “buon” fine aspirando, frantumando e poi gettando nell’immondizia il risultato di un atto di amore non collimante con il desiderio del momento, con le condizioni del tempo esistenziale dato. La ragazza di nome Juno, nel bel film di cui era vietato dire che fosse antiabortista dall’intellighenzia puttana d’occidente, provava schifo per la procedura, per la clinica abortista, per le istruzioni “femministe”, per le facce che le rappresentavano e le voci che le dicevano e i formulari che fissavano lo statuto legale di un delitto, l’insieme burocratico omicida che ora si vuole libero e ordinario, ci trovava qualcosa di eccezionalmente sordido, si ribellava, faceva il figlio e lo dava in adozione.
Sembra l’uovo di Colombo. Una soluzione come la ruota dei conventi, modernissima nella sceneggiatura hollywoodiana e antichissima nella realtà della pietà religiosa e laica in tutti i tempi. Ma non va bene. Gli apparati antinatalisti sono ricchi, esprimono su scala planetaria il lavoro e la convinzione morale libertaria di lobby potenti, estendono la loro giurisdizione dall’aborto alla riproduzione artificiale, il rifiuto e l’accoglienza sono varianti della decisione umana. Le balle spietate raccontate per anni e travestite di pietà per le donne, le balle molto maschili di una società maschile, lasciano il campo alla verità del diritto di abortire. Non una politica pubblica sensata è intervenuta a cercare di raddrizzare le gambe del cane che morde, azzanna ed elimina il bambino cromosomicamente unico, irripetibile, il tuo tu o il tu io di un tempo originario, che per comodità chiamiamo feto. In Spagna un ministro della giustizia consapevole, Gallardón, è uscito dalla politica umiliato e sconfitto dopo avere sperimentato che società e Parlamento, cultura e opinione pubblica, rigettano come follia la limitazione normativa e la regolamentazione di casi speciali, rari e sicuri, di aborto terapeutico, con esclusione di tutto il resto. E’ ormai interdetto anche il discorso antiabortista, salvo le sacche di resistenza popolare, devota, che continuano a insistere nella piazza pubblica, ma anche quella è destinata a subire limitazioni, magari nel silenzio ostile e molto misericordioso della chiesa cattolica che ama e perdona e non giudica, la chiesa i cui prelati dannano e perfino deridono chi dice il rosario per la salvezza delle anime degli abortisti e degli abortiti davanti alle macellerie della libertà riproduttiva.
[**Video_box_2**]Trionfano fecondazione eterologa e utero in affitto, con un occhio alla condizione single e alla coppia gay. Trionfa l’aborto come diritto. E’ la filosofia dell’infertilità come libertà e della libertà come infertilità: faccio figliare chi non può, rendo libero di uccidere un figlio chi non vuole averlo senza riguardi per elementi di contorno come il figlio stesso. In tutto questo il Papa conferma il segretario speciale del Sinodo sulla famiglia, Bruno Forte, vescovo e filosofo del pensiero debole che ha cercato di indurre quell’ultimo consesso di saggi a trovare del magisteriale e del santo in questo mondo totalmente impazzito, generosamente indulgente con sé stesso e colpevole verso l’altro da sé, accogliente per ideologia e catastrofico nella realtà dell’annientamento seriale.
Ho il netto ricordo degli insulti e delle bastonate non solo metaforiche che ricevemmo nella campagna laica antiabortista dl 2008, dell’isolamento civile e politico, e della sequenza di calunnie che ci colpì. Ma ricordo ancora più nitidamente l’ordinaria sapienza popolare che indusse tutti gli elettori tranne centotrentamila tra loro a votare Berlusconi e Veltroni e a schifare la lista pazza nel 2008: ma scusa, se una ragazza e un ragazzo fanno l’errore di concepire, perché devi imporre loro anche di generare il frutto del concepimento? E’ l’argomento di Obama che non vuole punire le sue figlie con la prospettiva di un figlio se incorrano nell’errore di concepirlo.
E’ qualcosa che non si può criticare e combattere con le armi della ragione, su queste questioni c’è stata in fondo anche l’abdicazione di un Papa e di una linea evangelica della vita che aveva radici profonde nell’uscita dal cuore di pietra del paganesimo. Verità e realtà sono dimensioni che la cultura postmoderna mette tra virgolette. Ogni tanto mi sorprendo a sognare che questa libertà venga sommersa dal sacro islam, in mancanza di argomenti migliori. E non escludo, io che non ho una fede confessionale, che finisca proprio così, in uno scontro di assoluti in cui l’assoluto dell’io soccomba di fronte all’assoluto di Dio. In bocca al lupo, uomini e donne liberi d’occidente.
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