Amministrazione in difesa
Hagel lascia il Pentagono logorato dalla guerra con i pretoriani di Obama
L’ex senatore non era “up to the job”, dicono alla Casa Bianca, ma opporsi all’attendismo in Siria non ha aiutato. La fine del “team of rivals”?
New York. Il New York Times aveva nel cassetto un articolo pronto, ché la dipartita di un segretario della Difesa non si improvvisa. Da settimane il capo del Pentagono, Chuck Hagel, discuteva con il presidente i termini e la tempistica delle dimissioni, e ieri mattina è arrivato l’annuncio ufficiale. Nel linguaggio prudente del Times la decisione è arrivata in seguito al “riconoscimento che la minaccia dello Stato islamico richiede una serie di qualità diverse da quelle per cui Hagel era stato nominato”, ma la frase che circola con più insistenza è quella di un anonimo funzionario della Casa Bianca: Hagel non era “up to the job”, non era in grado di affrontare le sfide militari che l’America si trova di fronte. Un modo alternativo per descrivere la feroce lotta interna al team della Sicurezza nazionale, dove Hagel si è trovato quasi sempre dalla parte opposta rispetto all’esclusivo club dei pretoriani di Obama, l’inner circle che nel tempo ha alzato muri invece di aprire spazi interni di dialogo. Dettaglio significativo: durante i briefing con il presidente e il team della Sicurezza Hagel spesso taceva, per timore di leak, e aspettava che tutti se ne fossero andati per dire la sua al presidente. Non proprio un clima di fiducia e collaborazione. In due anni da segretario della Difesa ha avuto scaramucce e incomprensioni con molti colleghi della Casa Bianca, e su diversi dossier delicati – dalla strategia in Siria allo Stato islamico – si è trovato in disaccordo con il cerchio magico di Valerie Jarrett e il consiglio per la Sicurezza nazionale di Susan Rice, inamovibili pilastri del team Obama. Un recente ritratto di Jarrett apparso sulla rivista New Republic descrive in termini vivaci il senso di terrore che pervade chiunque si trovi a coltivare anche soltanto un pensiero critico nei confronti dell’amica, confidente, consigliere, stratega e protettrice della famiglia Obama. Hagel non era un segretario allineato né avrebbe potuto esserlo, e la logorante frizione è sufficiente a spiegare che quello andato in scena ieri è un licenziamento, non un amichevole ritiro.
Nemmeno l’ascesa dell’attivissimo Denis McDonough al ruolo di capo di gabinetto e sommo “gatekeeper” dell’Obama pensiero ha fatto bene a Hagel, ultimo rappresentante di un “team of rivals” che tradizionalmente tende a espandersi, non a contrarsi, nella fase finale della presidenza, specialmente se l’inquilino della Casa Bianca deve addomesticare un Congresso ostile. I rivali interni dell’Amministrazione sono stati invece progressivamente esclusi. Nelle dichiarazioni ufficiali di ieri Obama ha fatto intendere che l’esperienza di Hagel al Pentagono è arrivata alla sua fine naturale: Hagel era stato assunto con il duplice compito di guidare la transizione in Afghanistan e sforbiciare il budget del Pentagono, compiti impopolari presso la gerarchia militare che sarebbero riusciti con più naturalezza a un veterano di fede repubblicana (e tuttavia critico sulla guerra in Iraq) che a un funzionario del clintonismo come il predecessore, Leon Panetta, o a un insider politico di analogo curriculum. Una volta compiute queste missioni il ruolo di Hagel si è esaurito.
[**Video_box_2**]Questa versione omette tutti i casi in cui Chuck Hagel si è trovato in disaccordo con la linea attendista prevalente a Washington su Siria e Stato islamico – dove ora il presidente Obama chiede “una serie di qualità diverse” – cosa che paradossalmente lo ha avvicinato alle posizioni più interventiste espresse al dipartimento di stato. Da segnalare anche l’ascesa, sotto la sua egida, della figura del capo delle Forze armate, Martin Dempsey, che spesso si è espresso pubblicamente in vece del segretario.
La terna di nomi per la successione è fatta di insider: Michèle Flournoy (sarebbe la prima donna a capo del Pentagono), Ash Carter e il senatore Jack Reed hanno avuto esperienze nell’apparato della difesa e hanno pedigree graditi a Barack Obama e al circolo presidenziale. Peter Beinart, citando fonti della Casa Bianca, dice che c’è anche un candidato “rivale”: Stephen Hadley, ex consigliere per la Sicurezza nazionale di George W. Bush che i democratici stimano più di quanto siano disposti ad ammettere.
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