Il Daily Mail, tabloid e british, online è diventato il più letto in America
Il cocktail sta nell’assorbire qualsiasi cosa corra su Internet e vomitarla fuori con un’altra veste”. Sarà così, certo è che la ricetta comunque funziona. Un mix di notizie “serie”, politica e notizie dal mondo, con una selezione agguerrita e bene infornata di gossip su sesso e sport, insaporita dal proverbiale humour ha fatto centro tra gli internauti americani.
Milano. I cocktail, qualche volta, hanno successo anche nel mondo dei media. E’ il caso del Daily Mail, storico tabloid del Regno Unito, secondo solo al Sun di Rupert Murdoch, che ha saputo reinventarsi oltreoceano secondo una formula che, riferisce il Wall Street Journal (controllato dal tycoon australiano), consiste “nell’assorbire qualsiasi cosa corra su Internet e vomitarla fuori con un’altra veste”. Sarà così, certo è che la ricetta comunque funziona.
Il mix di notizie “serie”, politica e notizie dal mondo, con una selezione agguerrita e bene infornata di gossip su sesso e sport, insaporita dal proverbiale humour ha fatto centro tra gli internauti americani. E così, quattro anni dopo lo sbarco negli Stati Uniti (prima a Los Angeles, mecca del cinema, poi a New York a conferma delle priorità della testata) è arrivata la consacrazione: nel mese di ottobre, secondo l’analisi di ComScore, Mail on line, il marchio dell’edizione elettronica inglese, ha registrato 44,2 milioni di visitatori unici in arrivo dagli Stati Uniti, al quarto posto assoluto per quel paese dietro Huffington Post, BuzzFeed e New York Times. Al secondo posto se si considerano le sole versioni online dei giornali tradizionali, nemmeno troppo lontano dal risultato del New York Times (64,2 milioni di lettori online), e assai più avanti dell’altro concorrente inglese, il Guardian (27 milioni di visitatori unici) ovvero la lettura prediletta della sinistra british un po’ radicale.
Un trionfo, ma a caro prezzo. Già, a differenza del cugino nobile politically correct che grazie ai soldi della fondazione che lo sostiene può continuare a perdere milioni a palate, al Daily Mail si sono posti il problema dei problemi nell’età di internet: come trasformare i milioni di clic in dollari sonanti, sufficienti a giustificare gli investimenti, a partire dai 200 giornalisti assunti per la conquista del mercato americano.
[**Video_box_2**]Per raggiungere l’obiettivo, al Daily Mail non hanno pensato a un giornalista o a un manager in arrivo dai media tradizionali, ma si sono rivolti, a giugno, a un “nemico” della vecchia carta stampata: Jon Steinberg, già direttore generale di BuzzFeed, il gigante dell’editoria online (175 milioni di visitatori), pioniere nell’arte di mobilitare i social media, spesso accusato di “succhiare” le notizie altrui. L’analisi di Steinberg è stata immediata: siete bravi, ma con quel nome non vi conosce nessuno. Specie i pubblicitari. Ne conviene pure Martin Clarke, uno dei sopravvissuti della vecchia Fleet Street che ha fatto grande il giornalismo inglese. “Abbiamo un grande traffico ma il nostro brand è debole – riconosce – e per questo molti pubblicitari fanno confusione sul nostro nome: conoscono il Daily Mail, ma non lo associano al sito Mail on line”.
Perciò, ora si cambia. Con obiettivi ancora più ambiziosi, a partire da uno staff dedicato a servire il mercato dell’advertising e dei contenuti editoriali americani. Senza tradire la ricetta che ha permesso al Daily Mail di sbaragliare la concorrenza: Hollywood più football, un occhio alla musica, meno a Wall Street o alla Washington più ufficiale. Popolare, ma mai sguaiato, inglese, ma non troppo, così si conviene a un figlio del vecchio impero, il cui cinquantesimo compleanno nel 1956 venne celebrato da un padrino d’eccezione come Winston Churchill.
Anche al glorioso premier inglese non sarebbe dispiaciuto sapere che il nuovo Daily Mail, opportunamente riverniciato (il nuovo sito DailyMail.com partirà a giorni), è corteggiato pure dai produttori americani per confezionare un programma tv su Hollywood di cui il tabloid conosce vita, morte miracoli e retroscena. La vecchia signora, insomma, sul web (e oltre) se la cava bene: buon sangue non mente. Alla faccia dei convegni sull’informazione in declino o che fatica a reinventarsi.
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