Le follie dell'imperatrice Hillary
In tempi di crisi e ossessiva moralizzazione della vita pubblica i dettagli intorno alle principesche richieste di Hillary Clinton per tenere un discorso pubblico non sono il modo migliore per generare simpatie, ma non c’è nulla di nuovo. Che la donna più potente d’America abbia un tariffario particolarmente oneroso è cosa ovvia.
New York. In tempi di crisi e ossessiva moralizzazione della vita pubblica i dettagli intorno alle principesche richieste di Hillary Clinton per tenere un discorso pubblico non sono il modo migliore per generare simpatie, ma non c’è nulla di nuovo. Che la donna più potente d’America abbia un tariffario particolarmente oneroso è cosa nota e ovvia: sapevamo dei compensi anche più alti di quelli del marito per un discorso e sapevamo anche delle sue preferenze lussuose, corroborate in decenni di viaggi ufficiali di altissimo profilo, sapevamo anche che nel 2001, una volta uscita dalla Casa Bianca, la famiglia Clinton era “dead broke”, come diceva lei, ma i file ottenuti dal Washington Post che documentano i negoziati fra l’agenzia che rappresenta l’ex segretario di stato e la University of California, Los Angeles (Ucla) mostrano con impietosa freddezza il funzionamento della macchina delle relazioni di Hillary. Non sono innanzitutto le cifre a stupire – anche se Ucla ci sarà rimasta male quando, ad agosto, ha scoperto che la University of Nevada l’ha assoldata per soli 225 mila dollari, contro i 300 mila chiesti all’università californiana: e dire che giuravano fosse la tariffa speciale per le università pubbliche – ma il modo maniacale con cui l’agenzia gestisce i desideri molto precisi del segretario.
Sul tavolo del palco vuole acqua a temperatura ambiente con fette di limone, una cassa di scorta dietro le quinte, nei camerini acqua calda per il té, hummus, crudité, frutta tagliata, nella green room non sono consentite mai più di cinquanta foto con i vip; l’agenzia decide per conto di Hillary i colori delle sedie sul palco, il numero e la forma dei cuscini (dietro le quinte devono comunque essercene di scorta, nel caso abbia bisogno di più sostegno per la schiena), la foggia del podio, il modello del microfono, la posizione del teleprompter. Se il contratto prevede foto di gruppo (comunque non più di due), i partecipanti devono aver provato prima la disposizione, segnando sul palco la posizione di ciascuno, ché la signora “non aspetterà certo che la gente si metta in posa”. L’istituzione deve mettere a disposizione un computer, uno scanner e una stampante, acquistati per l’occasione. Alcuni giorni prima dell’evento, gli uomini dell’agenzia si presentano sul posto per una perlustrazione approfondita, un po’ come si fa prima di una visita presidenziale, e a Ucla hanno subito notato che il podio dell’aula prescelta era chiaramente inaccettabile, ed è stato sostituito. A questi dettagli si aggiungono le precondizioni ovvie: Hillary dorme soltanto nelle suite presidenziali degli alberghi – dev’essere un vizio di famiglia – e ha idee molto chiare su quali jet privati fanno al caso suo per raggiungere la destinazione: se l’ospite non mette a disposizione almeno un Gulfstream G450 da sedici posti la trattativa non inizia nemmeno.
[**Video_box_2**]Ora, in America il mercato dei discorsi a pagamento è fiorente, la domanda determina l’offerta e Hillary può pure giocarsi la carta filantropica dicendo che gli emolumenti foraggiano i commendevoli progetti della fondazione di famiglia, ma le ricadute politiche non sfuggono. Hillary non è una signora con una brillante carriera politica alle spalle che vuole mantenere una certa statura nel mondo, è una candidata alla Casa Bianca cui manca soltanto l’ufficialità. Una candidata accusata dalla “sua” sinistra di essere, al pari del marito, totalmente sdraiata sugli interessi di Wall Street, di guidare una macchina politica senza princìpi né scrupoli, interessata soltanto ad accrescere la propria influenza secondo le leggi di un establishment in dissoluzione. Il mondo è cambiato, la middle class si è ritrovata improvvisamente povera, la sinistra parla di sperequazione, la gente legge sui libri di Piketty che il capitalismo è intrinsecamente malvagio, si parla di “war on poverty” e di sussidi, di nuove tasse ai ricchi per riequilibrare la distribuzione delle opportunità: questo dice la sinistra populista dei Bill de Blasio e delle Elizabeth Warren. Che la corrente antisistema abbia ragione o meno, è a quell’elettorato che Hillary deve parlare, deve infiammare la main street delusa da un presidente del cambiamento che si è scoperto un immobilista di professione. Presentandosi come un incrocio fra la principessa Sissi e Michael Jackson infiammerà al massimo Park Avenue.
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