Idee per non fare harakiri in Europa
La legge di stabilità italiana non è stata bocciata dalla Commissione europea. Il nostro paese rimane a rischio di “non compliance”, o non conformità. “Draghi e Renzi riconquistano gli investitori. Ora più radicalità”, ci dice il n.1 in Italia della banca d’affari Nomura.
Roma. La legge di stabilità italiana non è stata bocciata dalla Commissione europea che ieri ha reso note le sue valutazioni sui bilanci degli stati dell’Eurozona. Il nostro paese rimane a rischio di “non compliance”, o non conformità, con il Patto di stabilità e crescita, nonostante l’esecutivo abbia già annunciato misure correttive per 4,5 miliardi di euro per avvicinarsi più rapidamente al pareggio di bilancio strutturale. Bruxelles ritiene comunque di dover attendere la primavera del 2015 per un giudizio definitivo su Francia, Italia e Belgio. Matteo Renzi è molto soddisfatto: solo Parigi è accusata di “progressi limitati” sull’aggiustamento fiscale (la stessa reprimenda che nel 2013 fu usata nei confronti di Letta).
Tra cancellerie e addetti ai lavori riparte già il tormentone: i rigoristi fautori dell’austerity tengono il punto, o invece iniziano a franare di fronte all’offensiva dei flessibilisti? Per Renzi, “se oggi in Europa si ritorna a parlare di crescita, di innovazione, e non solo di austerità, è anche un po’ merito dell’Italia”. Chi frequenta per mestiere i mercati si appassiona meno alla disputa ideologica: “Semplicemente, l’economia europea non sta andando come ci si attendeva a Bruxelles. Così ora, pragmaticamente, qualcosa cambia”, dice al Foglio Takeshi Imatoki, presidente in Italia di Nomura, la più grande banca d’affari giapponese oltre che uno dei 20 istituti “specialisti” cui il Tesoro italiano si affida per vendere i titoli del debito pubblico. Di certo l’Eurozona, che le istituzioni internazionali continuano a indicare come il “buco nero” della crescita globale, da giorni pare attraversare una fase di pacato ma autorevole ripensamento. Dalla scorsa settimana, in successione, ci sono state le dichiarazioni del ministro delle Finanze tedesco, Wolfgang Schäuble, favorevole a una rivisitazione dei Trattati costitutivi. Poi il discorso del presidente della Banca centrale europea, Mario Draghi, tra velata autocritica sull’uso fatto finora della politica di bilancio e appello a un cammino istituzionale rapido verso “una più stretta unione”.
[**Video_box_2**]L’Europa sarà in ambasce, ma anche esperimenti di policy anti crisi più radicali non brillano per efficacia. Giappone docet. La pensa diversamente Imatoki, cittadino giapponese di madre serba, una vita passata tra Tokyo, Hong Kong, Regno Unito, Stati Uniti, Svizzera e Italia (con Mba alla Bocconi), intervenuto ieri a Roma all’iniziativa “I Caffè della seta” al fianco di Benedetto Della Vedova (sottosegretario agli Affari esteri) e Kazuyoshi Umemoto (nuovo ambasciatore giapponese in Italia). “Dopo oltre 15 anni di deflazione, il mio paese è profondamente cambiato negli ultimi due anni. E in meglio”, dice Imatoki riferendosi all’elezione a premier di Shinzo Abe e all’avvio delle politiche ultra espansive della Abenomics. In realtà ora Abe, di fronte al calo del pil nel terzo trimestre dell’anno, ha convocato elezioni anticipate. Sarà soddisfatto Jens Weidmann, governatore della Banca centrale tedesca, che salutò ironicamente le scelte fiscali e monetarie straordinarie di Tokyo: “Buona fortuna!”, disse. “L’atmosfera nel mio paese è cambiata – insiste Imatoki in perfetto italiano – Fino a due anni fa si dibatteva solo del ‘rischio cinese’ e si spendeva sempre meno. Adesso abbiamo riconquistato fiducia in noi stessi”. L’Abenomics, come noto, si compone di tre frecce. “La prima, quella monetaria, sta funzionando bene. Due anni fa servivano 100 yen per comprare un euro, oggi ne servono 145”. Con la valuta debole esportare diventa più facile, al punto che si registrano fenomeni di reshoring, cioè il ritorno delle aziende nipponiche che prima avevano delocalizzato. “Il debito giapponese, pari al 240 per cento del pil, in prospettiva va ridotto, non c’è dubbio. Intanto però il Quantitative easing (Qe, o allentamento monetario) prosegue e oggi la Bank of Japan ha in pancia asset pari al 50 per cento del pil. A questi ritmi, a metà del prossimo anno si arriverà al 65 per cento del pil. La Fed americana si è fermata quando i suoi acquisti di asset pesavano quanto il 25 per cento del pil”. La radicalità delle misure in atto è indubbia: “Governo e Banca centrale hanno preferito prima rianimare la crescita – il pil nel 2013 è aumentato dell’1,5 per cento, nei primi due trimestri del 2014 dell’1,3 per cento rispetto allo scorso anno, ndr – Del debito si occuperanno poi. Questo è un approccio sano”. E così sono sistemati Weidmann & Co. “La freccia dello stimolo fiscale, dopo 15 anni di tagli agli investimenti pubblici, è stata scoccata. Sulla terza freccia, le riforme strutturali, il governo ha deluso. Ma dopo il rinvio al 2017 dell’aumento dell’imposta sui consumi, le elezioni saranno un referendum sull’Abenomics. E una vittoria alle urne, come quella che ci attendiamo, darà ad Abe maggiore forza politica”.
L’Abenomics “non è una soluzione magica”, dunque, ma l’Eurozona dovrebbe ispirarsi alla sua “radicalità”. Anche se, sostiene Imatoki, il minore indebitamento delle aziende private e il fatto che le banche abbiano aggredito per tempo il problema dei prestiti non performanti (Npl) pongono l’Europa in condizione migliore rispetto a quella del Giappone d’inizio anni 90. Nomura tornerà a scommettere sull’Italia, dopo aver disinvestito dai suoi titoli di stato nel novembre 2011? “In realtà disinvestimmo da tutta l’Eurozona. Ricordo che si iniziò a parlare di possibile ‘break-up’ della moneta unica – dice Imatoki – Gli impegni di Draghi nel 2012 hanno cambiato tutto. Ora poi i nostri economisti si attendono, dall’aprile 2015, l’inizio di un programma di Qe da parte della Bce”. Ma in Italia? “Nel 2014 abbiamo ricominciato a convogliare investimenti sul debito italiano. Renzi sembra garantire gli investitori sotto due aspetti fondamentali: stabilità politica e forza politica”. Conclude il presidente di Nomura Italia: “Ho ricordi da adolescente di Margaret Thatcher. Poi più maturi di Gerhard Schröder. Anche oggi, con Renzi, a partire dal Jobs Act, il segnale di voler cambiare il paese c’è”.
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