Mario draghi e Janet Yellen

The new normal

Enrico Cisnetto

Accountability. Parola inglese senza corrispondente traduzione italiana, né tantomeno applicazione pratica, ma il cui significato di “responsabilità politica del governante di fronte all’elettore” sta sfumando anche nel resto del mondo.

Accountability. Parola inglese senza corrispondente traduzione italiana, né tantomeno applicazione pratica, ma il cui significato di “responsabilità politica del governante di fronte all’elettore” sta sfumando anche nel resto del mondo. I banchieri centrali che continuano a invocare invano un po’ di sostegno politico ai loro interventi (lo ha fatto per l’ennesima volta ieri Draghi, la Yellen a inizio mese) e il corso economico che rallenta negli Usa, resta bloccato in Europa e recede in Giappone, sono due elementi che insieme evidenziano un punto di rottura definitivo: sono finiti i giorni in cui l’inattività dei governi nazionali poteva essere coperta dalla supplenza e dall’interventismo delle Banche centrali. 

 

Di fronte alla crisi scoppiata nel 2008, i governi di tutto il mondo occidentale hanno progressivamente delegato poteri e prerogative alle Banche centrali, rendendosi di fatto degli “esecutivi irresponsabili”. Così, poco tempo dopo il crac della Lehman, la Fed è intervenuta prima riducendo i tassi pressoché allo zero e poi irrorando l’esangue economia americana con il siero della moneta fresca di stampa. A stretto giro di posta le stesse operazioni sono state compiute dalla Banca d’Inghilterra, mentre nel 2013 è stata la volta del Giappone. In Europa, invece, la Bce ha ridotto i tassi allo 0,15 per cento solo da pochi mesi, ma il famoso “bazooka” di Draghi ha ancora le polveri bagnate. E non certo per colpa sua. In ogni caso, più passa il tempo e più i governatori delle monete nei loro interventi parlano – oltre che di mercati e tassi di interesse – di economia, di crescita, di occupazione, con le Banche centrali che, de facto, hanno notevolmente ampliato le loro competenze. A sette anni dall’inizio della crisi, l’eccezionalità è diventata “the new normal”, come scrive il Wall Street Journal. Con la conseguenza che i pesanti interventi di espansione monetaria, oltre a essere divenuti “abituali” e “consuetudinari” (definizione di “normale” dello Zanichelli), hanno progressivamente esautorato i governi, più per debolezza della politica che per la forza della tecnocrazia.

 

Certo, questo slittamento della responsabilità dai governi ai governatori (della moneta) non è stato uguale in tutto il mondo. In America e nel Regno Unito, per esempio, si sono prodotti effetti migliori perché alla tempestività delle azioni intraprese si sono sommate sinergie con gli esecutivi, politiche fiscali flessibili e ampiezza dei poteri conferiti. Negli Usa la disoccupazione è così scesa al 5,8 per cento dal 10 per cento di inizio crisi; il pil, dopo il -3,5 tra il 2008 e i primi 6 mesi del 2009, ha subito rimbalzato del 5,4 per cento nella seconda metà dello stesso anno, per poi riprendere prima a camminare con 9 punti di crescita tra il 2010 e il 2013 e due ottimi trimestri nel 2014 (+4,6 e +3,5 per cento nel secondo e terzo trimestre, dopo il crollo nel primo). Londra ha riportato la disoccupazione dall’8,5 per cento al 6 per cento, mentre il pil, dopo 6 punti persi nel biennio iniziale, è cresciuto nei successivi quattro del 5,8 per cento e dovrebbe chiudere quest’anno superando il 3 per cento. In Giappone, la storia è leggermente diversa, sia perché il Sol Levante veniva da 15 anni di deflazione, sia perché la potenza dell’Abenomics è stata scatenata solo nella primavera del 2013. Ma, soprattutto, perché lo scorso marzo Tokyo ha alzato l’Iva dal 5 all’8 per cento per tentare di contenere deficit e debito provocando il crollo del pil del 7,3 e l’1,6 per cento nel secondo e terzo trimestre dell’anno. Un’evidenza empirica che la politica monetaria, da sola, non basta. Tanto è vero che se questa, oltre a non essere sostenuta da politiche fiscali flessibili, agisce isolata dagli esecutivi come avviene nell’Eurozona, può essere solo contenitiva. Come dice Draghi, la Bce non può certo farsi carico da sola della crescita: tutti gli attori politici, sia a livello nazionale che europeo, devono fare la loro parte per la riduzione del debito, l’aumento della crescita potenziale e la solidità dell’euro, anche attraverso un salto di qualità e quantità nella ulteriore condivisione della sovranità.

 

[**Video_box_2**]Insomma, l’errore di fondo è la delega totale che i governi – deboli – hanno voluto affidare, deresponsabilizzandosi, alle Banche centrali. Anche nella migliore delle applicazioni possibili, questa “nuova normalità” di politiche monetarie ultraespansive non è certo la soluzione definitiva alla crisi. Anzi, a lungo andare può generare nuove bolle speculative. Basta ricordarsi che per effetto delle azioni dei banchieri centrali attualmente nel mondo ci sono derivati per 710 trilioni di dollari, oltre 9 volte l’ammontare del pil planetario: il 25 per cento in più della massa esistente al momento della scoppio della grande crisi. Senza contare che sono aumentati i debiti sovrani in quasi tutto l’occidente, con l’alto e ulteriore rischio di assuefazione a questa nuova “normalità”. Tutto ciò non fa che aumentare il pericolo di una nuova e ancor più devastante tempesta finanziaria, con l’aggravante di non aver ancora smaltito, specie in Europa – e in Italia in particolare – le conseguenze, recessive e deflattive, di quella precedente. Errare humanum est, perseverare autem diabolicum.

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