Beppe Grillo e Matteo Salvini (foto LaPresse)

La vera partita politico-populista è tra Salvini e Grillo

David Allegranti

Sorpresa, c’è un altro Matteo che vuole essere più anti establishment del presidente del Consiglio. Si chiama Salvini, fa il segretario della Lega nord ed è lui che potrebbe prendersi i voti degli incazzati sociali, ora che Matteo Renzi siede nel Palazzo. Parla il politologo Marco Tarchi, ordinario di Scienza politica all’Università di Firenze.

Roma. Sorpresa, c’è un altro Matteo che vuole essere più anti establishment del presidente del Consiglio. Si chiama Salvini, fa il segretario della Lega nord ed è lui che potrebbe prendersi i voti degli incazzati sociali, ora che Matteo Renzi siede nel Palazzo. Ma quanto è temibile il leader leghista? “Gli avversari veri Renzi per ora li ha dentro il suo partito e alla sua sinistra”, dice al Foglio il politologo Marco Tarchi, ordinario di Scienza politica all’Università di Firenze.

 

Il modo in cui Renzi ha liquidato la classe dirigente proveniente dal Pci-Pds-Ds “gli ha attirato il provvisorio consenso di molti elettori del centrodestra sfibrati dalle disavventure pidielline, che non lascerebbero certo l’enfant prodige, soprattutto ora che Berlusconi e Alfano gli offrono sostegno e ulteriore legittimità. Le cose cambieranno se e quando emergerà, dietro l’abilità comunicativa, un’efficacia di governo dell’attuale presidente del Consiglio. Ma in questo caso Salvini riscuoterebbe suffragi non come potenziale leader del centrodestra, bensì in qualità di portavoce della protesta anti establishment”. Adesso, spiega Tarchi, non bisogna scambiare il successo della Lega alle regionali emiliano-romagnole per un “soprassalto dell’alleanza di governo dei tempi bossiani: Salvini i voti li ha presi proprio perché è tutt’altro rispetto a Berlusconi, al Pdl, al moderatismo in salsa centrista”. Salvini, infatti, si mischia con quelli di CasaPound. Ma con la “LegaPound” non si rischia di far scappare i voti moderati? “Non parliamo di LegaPound. Il leghismo – sottolinea il professor Tarchi – appartiene al filone populista, che con l’estrema destra ha alcune contiguità ma anche molti motivi di differenziazione. Ormai in tutta Europa si sta affermando quello che è stato definito il ‘populismo patrimoniale’: una reazione alla crisi delle tradizionali classi politiche che mescola la difesa di uno stile di vita a quella di un livello di vita. Sul primo versante, il nemico è la (presunta) minaccia all’identità culturale legata ai comportamenti che l’immigrazione di massa, soprattutto dai paesi islamici, porterebbe con sé”. E sul secondo? “I nemici sono le politiche dell’Unione europea, l’euro, la finanza ‘liquida’ e ingorda. Si può dissentire, eccome, da questa visione delle cose, ma i dati elettorali dimostrano che fa sempre più presa sulla pubblica opinione. A questo punto, come insegna Marine Le Pen, a che giova inseguire le enclave moderate se le praterie dell’inquietudine e della protesta sono spalancate? Purché, certo, non si ecceda: se nell’elettorato l’immagine di Salvini coincidesse con quella di Borghezio, i consensi si restringerebbero”.

 

[**Video_box_2**]Ancora, comunque, siamo in fase di costruzione e consolidamento di una leadership alternativa a quella oggi al governo. Ma Grillo e Berlusconi devono preoccuparsi di Salvini? “Altroché! Per Grillo – riprende Tarchi – è già una minaccia in atto. Ma, in questo caso, il problema non è il ‘garante’ del M5s, il cui discorso, populista a pieni carati, continua a essere appetibile ai molti scontenti in cerca di rappresentanza, ma il movimento legato al suo nome. Che invece, su punti qualificanti (immigrazione, ius soli, unioni omosessuali), pare orientarsi verso quella ‘sinistra 2.0’ cui taluni suoi sostenitori esterni vorrebbero da sempre vederlo approdare. Con il risultato prevedibile di dover rinunciare a un buon terzo, se non alla metà, dei voti raccolti nel 2013 e di doversi accontentare di contendere a Sel e a future ipotetiche aggregazioni landiniane quel tanto o poco di elettorato piddino che potrebbe concedersi, in odio a Renzi, una libera uscita (ma per quanto tempo?)”. Quanto a Berlusconi, profetizza Tarchi, “se continuerà la politica suicida dell’ultimo anno, il vuoto che lo sfaldamento di Forza Italia lascerà potrebbe essere senz’altro riempito in parte dalla Lega. Che si limiterebbe a raccogliere i frutti degli errori altrui senza dover compiere alcuno sforzo di adeguamento o imitazione dell’ex alleato, che è in forte perdita di credibilità nell’elettorato in precedenza conquistato”. Insomma, c’è una parte dei cittadini che potrebbe vedere in Salvini un capopopolo credibile. “L’elettorato c’è. Grillo – dice Tarchi – lo ha dimostrato. E fra Grillo e Salvini potrebbe giocarsi la partita decisiva se Renzi si dimostrasse un bluff. Berlusconi è elettoralmente fuori gioco, checché si affannino a strillare i suoi fedelissimi. Per questo cerca di spendere le ultime carte sul terreno meramente istituzionale della scelta del nuovo presidente della Repubblica”.

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  • David Allegranti, fiorentino, 1984. Al Foglio si occupa di politica. In redazione dal 2016. È diventato giornalista professionista al Corriere Fiorentino. Ha scritto per Vanity Fair e per Panorama. Ha lavorato in tv, a Gazebo (RaiTre) e La Gabbia (La7). Ha scritto cinque libri: Matteo Renzi, il rottamatore del Pd (2011, Vallecchi), The Boy (2014, Marsilio), Siena Brucia (2015, Laterza), Matteo Le Pen (2016, Fandango), Come si diventa leghisti (2019, Utet). Interista. Premio Ghinetti giovani 2012. Nel 2020 ha vinto il premio Biagio Agnes categoria Under 40. Su Twitter è @davidallegranti.