L'ex sindaco di Roma Gianni Alemanno (foto LaPresse)

Roma, i neri, la mafia e io

Salvatore Merlo

Spregiudicata conversazione con Alemanno, sindaco accusato di corruzione e 416-bis. Gli errori, le spiegazioni, le repliche orgogliose al romanzo criminale. “Il fenomeno di corruzione è grave, se provato. Ma non so se tutto questo giustifica il ricorso alla parola mafia”.

Roma. La telefonata con l’avvocato dura più dell’intervista, lui compare e scompare dal salotto con il telefono sempre incollato all’orecchio. L’appartamento della Balduina è luminoso, l’atmosfera dimessa, e a un certo punto Francesco Biava, che è il suo Sancho Panza e fa gli onori di casa, mi confessa con un tono di rimpianto e sommesso rimprovero: “Io gliel’avevo detto di non fare il sindaco. Roma ti stritola”. La signora Isabella ascolta, e si tiene in disparte.

 

Gianni Alemanno finalmente ricompare, si siede sul divano di pelle marrone, porta delle infradito. Con le calze. Il telefono è sparito. “I miei avvocati si sono arrabbiati”, mi dice. “Dopo questa non rilascerò altre interviste. La prego di scriverlo. C’è un’inchiesta in corso e non posso e non voglio interferire”. Indagato per mafia. Occhi bassi. “Il fenomeno di corruzione è grave, se fosse provato. Ma non so se tutto questo giustifica il ricorso alla parola ‘mafia’. E un po’, debbo confessarlo, sorrido di mestizia quando leggo i titoli del tipo: ‘Le mani sulla città’. Mi sembra tutto un romanzo. Il Bilancio di spesa corrente del comune di Roma si aggira tra i 3,5 e i 4 miliardi di euro. Miliardi. Questa storia che raccontano i giornali, questa della ‘mafia capitale’, è invece un giro di qualche decina di milioni. Lo dico solo perché siano chiare le proporzioni. Tuttavia i magistrati che lavorano a questa indagine sono molto seri. Il dottor Pignatone è il massimo esperto di criminalità organizzata in Italia. Allora è probabile che ci sia qualcos’altro. Qualcosa di più grosso. Ma che, ritengo, non riguarda la pubblica amministrazione ma le bande criminali che agiscono sul territorio di Roma”.

 

E Alemanno parla con voce tenue. “Mi rimprovero tante cose della mia sindacatura”, dice. “Per prima quella di non aver dedicato massima attenzione alla creazione della squadra. Ma la mia esperienza di sindaco, purtroppo, è stata tutta una corsa affannosa. Appena insediato nel 2008 venne da me il segretario generale, dicendomi: ‘Sindaco, qui non ci sono i soldi nemmeno per pagare gli stipendi’. E da quel momento in poi è stata tutta un’emergenza: dai bilanci alla neve, dagli incidenti nelle metropolitane ai fatti di criminalità. Questo ha assorbito la quasi totalità delle mie energie. Non ho avuto la lucidità, il tempo, il fiato di capire che la mia priorità sarebbe dovuta essere quella di mettere subito le persone giuste al posto giusto. Dopo questo errore iniziale ho provato a rimediare, ma era una corsa controcorrente: nel tempo ho cambiato quattro capi di gabinetto. Con Magistrati della Corte dei Conti, del Consiglio di stato e della magistratura ordinaria. Ho sciolto e rimpastato più volte la giunta. Ho persino assunto dei cacciatori di teste per trovare i tecnici professionalmente più adatti. Ma in realtà avrei dovuto, da subito, concentrarmi sulla squadra che mi stava intorno. Non l’ho fatto. E ne ho pagato il prezzo”. Allora, però, ricordo ad Alemanno la storia di parentopoli, le nomine discutibili, il licenziamento di Umberto Croppi, lo stipendio stellare di Franco Panzironi (oggi indagato), il capo dell’Ama, della nettezza urbana: 545.287 euro l’anno. “Panzironi per un periodo ha sommato due cariche, per alcuni mesi. Ma il suo stipendio annuo da capo dell’Ama, di trecentomila euro, era  inferiore a quello dei suoi predecessori. La storia di parentompoli è stata brutta. Ma ci vorrebbe un po’ di misura nel raccontarla. Si confonde il numero di assunzioni che ho fatto io con quelle fatte da altri. In tutto le assunzioni oggetto d’indagine della magistratura sono cinquanta su oltre 2.000 nuovi lavoratori. Noi abbiamo ridotto i dipendenti dell’Atac dai 12 mila di Veltroni a 11mila. E anche il personale del comune si è ridotto di 2.000 unità. I dipendenti dell’Ama sono aumentati. Ma quelle erano assunzioni fisiologiche, necessarie e inevitabili per via del forte aumento della raccolta differenziata”.

 

[**Video_box_2**]A questo punto leggo ad Alemanno un trafiletto del Corriere della Sera che riguarda le indagini in corso: “Nella sua ordinanza il giudice evidenzia come le ‘erogazioni di utilità verso Alemanno’ siano sempre successive a una decisione favorevole all’organizzazione di Buzzi e Carminati. Oltre a un ‘pagamento di 75.000 euro per cene elettorali’ si ricostruisce cosa avviene durante la sua permanenza in Campidoglio. ‘Il 22 novembre 2012 Salvatore Buzzi inviava un sms ad Antonio Lucarelli (capo della segreteria del sindaco ndr), Luca Gramazio e Gianni Alemanno: ‘Problema risolto per il nuovo campo grazie’, ricevendo in risposta da Alemanno il seguente messaggio: ‘Ok’”. Il 27 novembre Buzzi prenota due tavoli da 5 mila euro l’uno ‘per una cena elettorale in favore di Alemanno, per il giorno 6 dicembre’. Quello stesso 6 dicembre ‘a pochi giorni dall’approvazione dell’assestamento di bilancio 2012-2014, dai conti correnti delle società riconducibili a Buzzi, venivano effettuati ulteriori bonifici per complessivi 30.000 euro in favore della ‘Fondazione Nuova Italia’. E il 17 aprile 2013 risulta effettuato un bonifico di 15 mila euro in favore di Fabrizio Pescatori, mandatario elettorale di Alemanno”.

 

L’ex sindaco di Roma ascolta, ci pensa un attimo. Poi: “Se io facessi davvero parte di un’organizzazione criminale, secondo lei avrei preso i soldi attraverso bonifici bancari? E’ assolutamente normale che Buzzi avesse partecipato, come tanti altri, alle mie cene elettorali comprando uno o più posti a sedere. Quei soldi, tutti rendicontati, in chiaro, venivano da una persona accreditata dentro le istituzioni. Buzzi era, ed è, a Roma, la figura più importante della Legacoop. Aveva collaborato prima con Francesco Rutelli, poi con Walter Veltroni. Il suo consorzio di cooperative sociali, tra cui molte di ex detenuti, è il più grande della capitale e forse il più grande d’Italia. Per me è sempre stato un interlocutore istituzionale, che ha finanziato me, come ha finanziato Ignazio Marino e come ha partecipato anche alle cene di Matteo Renzi. Un uomo sempre lodato per il suo lavoro. E infatti sono molto sorpreso da quello che ho scoperto leggendo le carte. L’idea che Buzzi fosse socio e sodale di Massimo Carminati, in un’associazione criminale di stampo mafioso, mi sconcerta persino”.

 

E gli sms? “Buzzi gestiva soltanto il campo Rom di Castel Romano, uno solo dei quindici esistenti. In ogni caso, rispetto al precedente periodo di centrosinistra, la mia amministrazione ridusse gli spazi economici di Buzzi e del suo consorzio. Era un po’ nelle cose, visto che il business di Buzzi era cresciuto a dismisura, anche grazie alla sua collocazione a sinistra. Per questo Buzzi cercava di avere contatti con noi, come con gli esponenti dell’opposizione, per difendere le opportunità di lavoro, le sue come quelle di tutta la cooperazione sociale di Roma. Non voleva licenziare nessuno. In queste cooperative, che sono composte da ex carcerati, la gente guadagna pochi soldi. E sono intere famiglie, persone che tentano di reinserirsi nella società. Gente che non troverebbe altri posti di lavoro. Perché non li vuole nessuno. Adesso io spero che il consorzio continui a vivere, malgrado questa vicenda. La chiusura sarebbe un enorme dramma sociale. Vede, in quegli sms si parla di emendamenti. Buzzi era sempre alla ricerca di lavori, perché c’erano sempre meno risorse e si trovava in sempre maggiore difficoltà con i suoi dipendenti. Chiedeva di trovargli spazi, spazi riservati alle cooperative sociali, alla sua, ma anche a tutte le altre”.

 

Allora chiedo ad Alemanno di quella fotografia, a cena, in cui lui compare di spalle, ma che ritrae anche, a un tavolo defilato, un membro del clan dei Casamonica, la banda di gangster romani. Quella famosa fotografia che hanno pubblicato tutti i giornali. “Se è per questo, quella sera di pregiudicati ce n’erano a chili. Lo erano quasi tutti. Infatti era una cena per festeggiare l’anniversario della fondazione del consorzio 29 giugno, quello di Buzzi. Sono cooperative composte da ex detenuti. Quel signore che disgraziatamente si chiama Casamonica non è un boss, è un parente, un disgraziato. Ma quella sera c’erano anche Giuliano Poletti, l’attuale ministro del Lavoro, Angiolo Marroni, il Garante dei detenuti, c’era anche mezzo centrosinistra romano. E c’erano pure decine di giornalisti. L’uso che si è fatto di quella foto è stato specioso”.

 

Se non è mafia, sono cravattari. “Questa non è tangentopoli. Qui non c’è un sistema. E non lo dico per minimizzare. Ma che la grande connection di tangenti in Italia riguardi il Mose e non la Metro C di Roma va a onore della città. Quelle sono storie di miliardi di euro. Nel corso degli anni, da amministratore, ho gestito somme per centinaia di milioni. Mentre questa di oggi è una storia più piccola di quello che può apparire. E’ una storia di territorio, di cooperazione sociale, di piccoli lavori. A Roma non c’è traccia di indagini sui grandi cespiti della corruzione politica: l’urbanistica e le opere pubbliche. Le cose importanti, dove girano i quattrini veri, sono quelle”.

 

Ci sono degli uomini politici a libro paga, lo dice Buzzi nelle intercettazioni. “Mi sorprende aver letto i nomi di Giovanni Quarzo, Luca Gramazio, Daniele Ozzimo e Mirko Coratti. Sono strabiliato. Le ho sempre conosciute come persone oneste. Voglio sperare che nulla di ciò che abbiamo letto dalle intercettazioni sia vero. Guardi, che Buzzi avesse rapporti con tutti è ovvio. Ma qui si ipotizza ben altro. Le intercettazioni sono davvero strabilianti. Mi ha colpito il linguaggio. Mi colpisce lo slang romano con il quale si esprime Buzzi nelle sue telefonate a Carminati. C’è quell’aria da millantatore, un po’ smargiasso, che dice: ‘Ci guadagnamo più che con la droga’. Ma Buzzi non ha mai avuto a che fare con la droga. Dice così perché si esprime come un bullo, un coatto de Roma. Poteva dire: ‘Ci guadagnamo moltissimo’. E invece parla come nei film di Michele Placido, nei romanzi di De Cataldo, nelle fiction televisive. E la cosa mi colpisce particolarmente perché nei miei confronti Buzzi si è invece sempre espresso, al contrario, con un linguaggio controllato, attento, istituzionale. Lo conoscevo come uomo spiritoso, goliarda. Sì. Ma quel codice non glielo conoscevo affatto. Penso che Roma sia, e rimanga, la città di Alberto Sordi, dei personaggi vanagloriosi e un po’ spacconi”.

 

[**Video_box_2**]E c’è una cosa che sembra Alemanno ci tenga molto a dire, la ripete due volte: “A un certo punto della mia sindacatura a Roma cominciarono fenomeni inquietanti di criminalità. Ci furono sparatorie e gambizzazioni. E io mi preoccupai. Avevo il timore, e la sensazione, che ci potesse essere un’organizzazione criminale che si muoveva sul territorio. Non pensavo assolutamente a dei collegamenti con l’amministrazione pubblica o con la politica. Ma temevo ci fossero delle bande criminali organizzate. Cominciai allora una sorta di pellegrinaggio istituzionale. Dal questore, dalle forze di polizia, fino alla procura. Volevo sapere. Ma le reazioni che ebbi furono persino irridenti. Mi dicevano: “Ci sono piccole bande criminali in guerra tra loro, mentre l’infiltrazione mafiosa è soltanto economica”. Quando il dottor Pignatone divenne procuratore capo a Roma, andai subito anche da lui. Gli sottoposi gli stessi dubbi. E lui mi disse: ‘Non so. Dobbiamo vedere’. E a quanto pare ha visto. Stavano indagando, sospettavano, intercettavano… C’è una cosa che mi dispiace e che francamente non capisco. Come è possibile che in tutti questi anni, nessuno, tra i diversi responsabili istituzionali, abbia anche solo provato ad avvertirci? Nessuno che ti dica: guarda che stanno succedendo cose brutte intorno a te. Ma in quel periodo, proprio perché io avevo l’impressione di una anomala crescita dei fatti criminali in città, cercai in tutti i modi di rafforzare le nostre strutture dedicate alla sicurezza urbana. Chiamai a lavorare da noi il generale Mario Mori, e anche un ex ufficiale dei servizi, Alfredo Mantici. Volevo dotarmi di un servizio informativo”. Evidentemente non è servito. “La politica è debole ed esposta. I sindaci sono soli. E fare politica è diventato complicato e pericoloso. Con paradossi. Per esempio è stato tolto il finanziamento pubblico, ma quello privato è guardato con sospetto”.

 

Carminati ha un passato nell’estrema destra, dico ad Alemanno. E secondo le indagini della procura, Buzzi lo aveva cercato per “coprirsi” negli ambienti della destra che erano al governo della città. La destra romana e la crimininalità locale sono state collegate. Per molto tempo. “E’ archeologia”, dice Alemanno. “Io Carminati non l’ho mai visto né conosciuto, neanche nei tempi antichi della militanza giovanile nel Movimento sociale. Pensavo fosse un residuato bellico del romanzo criminale, per un certo periodo di tempo ho anche pensato che fosse morto. Certamente ero sicuro che fosse in pensione. Negli anni Settanta, con gli scontri di piazza, a Roma era molto cresciuta l’illegalità e anche la violenza. Sia a destra, sia a sinistra. A sinistra c’era un progetto, come quello delle Br. A sinistra c’era lo spontaneismo armato. Dopodiché ci fu la strage di Bologna. E tutto quel mondo venne smantellato. Dal 1982 in poi a Roma non c’è stato più nulla… Questa vicenda di adesso mi preoccupa e mi addolora. Qui sono in gioco la storia della mia amministrazione e della destra romana. Ma anche la storia della città. Per questo lo dico, sommessamente: bisogna riflettere tutti se non sia opportuno che il comune di Roma e la consiliatura si sciolgano da soli, per decisione politica, prima che intervenga il prefetto con un commissariamento per infiltrazione mafiosa. Ne va forse, un po’, della dignità della politica”.

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  • Salvatore Merlo
  • Milano 1982, vicedirettore del Foglio. Cresciuto a Catania, liceo classico “Galileo” a Firenze, tre lauree a Siena e una parentesi universitaria in Inghilterra. Ho vinto alcuni dei principali premi giornalistici italiani, tra cui il Premiolino (2023) e il premio Biagio Agnes (2024) per la carta stampata. Giornalista parlamentare, responsabile del servizio politico e del sito web, lavoro al Foglio dal 2007. Ho scritto per Mondadori "Fummo giovani soltanto allora", la vita spericolata del giovane Indro Montanelli.