L'avatar di Marino è desnudo come Salvini. Il Cav. pigia il tasto reset su Roma
Fregati dallo scatto. In anticipo e imprudente quello di Roberto Saviano su Repubblica che giovedì 4 dicembre sale sul palchetto per fare la morale a Giuliano Poletti. Tu, ministrone emiliano, che ci facevi a cena con Buzzi, eh? Poletti, speravi forse di farla franca?
Fregati dallo scatto. In anticipo e imprudente quello di Roberto Saviano su Repubblica che giovedì 4 dicembre sale sul palchetto per fare la morale a Giuliano Poletti. Tu, ministrone emiliano, che ci facevi a cena con Buzzi, eh? Poletti, speravi forse di farla franca? La buoncostume culinaria vigila. Saviano è ancora in trance agonistica quando venerdì 5 dicembre arriva il secondo scatto. E’ quello che lancia in orbita Ignazio Marino nell’iperspazio: eccolo, il sindaco di Roma, in compagnia di Buzzi. Sorridente. La sera prima il pandista aveva detto a Lilli Gruber: mai parlato con Buzzi. Chiaro, quello nella foto è l’avatar di Marino. Così, nel ridicolo in pixel, va a monte l’operazione di scaricare tutto il camion di letame sulla destra uncinata e burina. Non sono soli. E il passaggio dalla supercazzola alla supercaccola è totale. Il magna magna è bipartisan. E mentre tutti a tavola si aspettano tarallucci e vino, alle 13 e 35, da Palazzo Grazioli, a poche centinaia di metri dal Campidoglio, Silvio Berlusconi lancia un bengala: “Sono convinto che l’unica soluzione accettabile sia quella di uno scioglimento immediato del Consiglio comunale procedendo all’immediata convocazione di nuove elezioni per la città di Roma”. E ora? La palla passa a Matteo Renzi che con il Cav. condivide un’idea: la politica capitolina è radioattiva. A Berlusconi non piaceva Alemanno e la sua compagnia di giro, a Renzi non è mai piaciuto il bosco e il sottobosco del Pd romano. Pigiate il tasto reset, vi prego.
La settimana offre ancora un paio di scatti, istantanee di un finale d’anno tra gioia e affanno. Il presidente del Consiglio spara gli ultimi petardi prima del cenone. Renzi giovedì 4 dicembre pubblica su Twitter la foto della firma sul Jobs acts (“ora è realtà”), poi mercoledì 3 dicembre fa entrare nella sua war room uno con il nome giusto, Andrea Guerra, uno che ci ha visto benissimo finché Del Vecchio, il padrone di Luxottica, gli ha lasciato gli occhiali, mentre lunedì 1° dicembre apre e chiude la discussione nel partito (ri)fissando il congresso del Pd nel 2017. Flash. Scorrono i titoli di coda sul 2014, altri scatti indimenticabili restano impressi sul mio taccuino. Il 29 novembre imperversa la crisi del vaccino anti influenzale. E’ aria fritta, ma di qualcosa bisogna pur parlare, l’importante è che sia sempre una bella, rassicurante, italica emergenza. Che non c’è. E infatti Bruno Vespa il 1° dicembre esibisce il braccio e si vaccina a “Porta a Porta”. Zac! Signori, siamo in Europa, così Berlusconi il 30 novembre batte moneta (doppio euro), mentre alla Camera passa la legge di stabilità di un paese permanentemente instabile. Senza dimenticare le periferie, sia chiaro, rivolte comprese. La banlieue italiana affiora sulle labbra di Renzi alle 10 e 17 del 1° dicembre: “Bisogna pensare interventi mirati per le periferie, costruire strutture sportive o asili nido, e non lasciare spazio alla propaganda xenofoba”. Certo, ma vallo a spiegare a Matteo Salvini che assicura: “Marine Le Pen sarebbe un grande presidente”. Ormai il segretario leghista è (es)orbitante, internazionalizzato e rotativizzato dal settimanale Oggi come mamma l’ha fatto. S’apre un grande dibattito sul pelo e la depilazione maschile.
Sto per chiudere il pezzo per il Foglio, ma no, non è finita. Sbircio la timeline di Twitter e vedo il profilo Einaudi: “Ma che c’entra #Suburra con #MafiaCapitale? Severino Cesari ne sa qualcosa”. Marketing editoriale. E’ il reale che lancia la fiction, il poliziesco che aggancia il grottesco. La mala che si disfa e soddisfa la trama. E’ un venerdì umido, Roma è tagliuzzata da pioggia finissima. Scrivo un’ultima nota sul taccuino: raccolgo scatti e scarti d’Italia.
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