Il presidente della Bce Mario Draghi (foto LaPresse)

Una via d'uscita

Ernesto Felli

Rinegoziare a livello europeo le regole di bilancio, emettere bond, allentare i vincoli dei paesi.

Al momento in cui scriviamo non sappiamo ancora se la Bce lancerà il Quantitative easing con massicci acquisti anche di titoli di stato, come promesso o minacciato – a seconda delle diverse sensibilità e percezioni di chi attende le decisioni. Tuttavia, vi sono seri dubbi, sollevati esplicitamente dallo stesso governatore Draghi, sulla possibile efficacia di queste ulteriori azioni da parte dell’Autorità monetaria. La presenza simultanea di alta disoccupazione e bassa inflazione, con inizi di deflazione in vari paesi, indica che vi è una mancanza di domanda. La mancanza di domanda è generata dalla politica di consolidamento fiscale imposta dalle regole europee e dall’idea che per questa strada si possa ottenere in tempi brevi una svalutazione interna, cioè una riduzione dei prezzi e dei costi (salari) nei paesi con deficit commerciali e con bassa crescita. L’esistenza di un deficit delle partite correnti indica che nel paese si spende troppo e si risparmia troppo poco, come a ogni surplus corrisponde un paese dove si risparmia troppo e si spende troppo poco. Il consolidamento fiscale spinge a comprimere la spesa pubblica, (prima di tutto la spesa per investimenti). La riduzione del deficit di bilancio riduce l’assorbimento di risparmio da parte dello stato.

 

Tuttavia, alla correzione attuata dai paesi in deficit dovrebbe corrispondere una correzione attuata dai paesi in surplus delle partite correnti, e cioè un aumento della loro spesa e una riduzione del loro risparmio. In altri termini, in questi paesi si dovrebbe investire di più oppure ridurre il risparmio aumentando i consumi, così come, simmetricamente, i paesi in deficit devono aumentare il risparmio, riducendo i consumi oppure investendo di meno. Altrimenti si ha una caduta globale della domanda. E questo è quello che è accaduto in Europa. Il problema è che il mix di bassa inflazione e bassa crescita implica una trappola difficile da superare nell’ambito dei vincoli di bilancio correnti, perché questo richiederebbe una ripresa degli investimenti privati tale da compensare la riduzione di assorbimento di risparmio da parte del settore pubblico. Ciò è difficile cha accada, anche con un’azione di espansione monetaria più forte, perché le spinte deflazionistiche, e in ogni caso la bassa inflazione, producono un aumento dei tassi d’interesse reali che sopravanza o compensa la discesa dei tassi nominali. E, soprattutto, non vi sono incentivi che provengano dalle aspettative di crescita. Il circolo vizioso sta nel fatto che senza investimenti anche la competitività globale europea decade, e certamente non c’è recupero per i paesi, tra i quali l’Italia, che già accusano un forte ritardo. Per rispondere sia al primo problema – come stimolare la domanda – sia e ancor più al secondo problema – come aumentare la produttività e la competitività – è opinione ormai prevalente che si debba operare dalla parte degli investimenti pubblici. Anche perché la spesa per investimenti pubblici non determinerebbe un effetto di spiazzamento (crowding out) degli investimenti privati, che si ha quando il maggior assorbimento di risparmio nazionale da parte del pubblico fa aumentare i tassi d’interesse, ma al contrario si avrebbe un fenomeno di crowding in, cioè di incentivo agli investimenti privati dovuto all’aumento della produttività e del loro rendimento. Ma quali spazi di bilancio abbiamo in Italia per un programma incisivo di investimenti pubblici sul piano nazionale? Le prospettive non sono per nulla rosee.

 

Il Piano Juncker da solo non risolve

 

[**Video_box_2**]La buona notizia è che lo spread tra Btp e Bund è sceso ai minimi e il rendimento dei Btp è sceso al di sotto del 2 per cento. Tuttavia, alla riduzione del tasso nominale non corrisponde una riduzione del tasso reale. Negli ultimi dodici mesi il tasso d’inflazione medio (prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati) è stato dello 0,1 per cento mentre nei dodici mesi precedenti è stato dello 0,7 e nel 2011 del 2,7 per cento. Quindi anche se la discesa del tasso di rendimento dei Btp e altri titoli del Tesoro, soprattutto nell’ultimo anno, consente un risparmio nominale sui titoli di nuova emissione, con vantaggio indubbio per il deficit pubblico che è calcolato in termini nominali, non cambia molto il rapporto deficit/pil e si aggrava l’onere in termini reali del costo dello stock complessivo del debito. Il cui rendimento medio scende più lentamente, e rischia di peggiorare la dinamica del rapporto debito/pil, con un peggioramento della sua sostenibilità. Non crediamo, quindi, che vi sia altra via d’uscita se non la revisione a livello europeo delle regole di bilancio, sia aumentando il bilancio comunitario per alimentare piani di investimento pubblico nei vari paesi, con possibile emissione di bond europei, sia allentando i vincoli ai bilanci nazionali. In caso, limitando il maggior deficit permesso al finanziamento degli investimenti. Da quel che si sa, il Piano Juncker non si prospetta risolutivo e la Bce può solo aiutare.

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