It's the politics, stupid!
L'Eurozona, di nuovo litigiosa e indecifrabile, mette paura alle Borse
La Troika inflessibile avvicina un voto incerto ad Atene. Parigi richiama Berlino al bon-ton. Draghi medita.
Roma. Ci si abitua alle agenzie di rating che declassano i debiti sovrani, perfino i debiti monstre come quello italiano. Si crede per mesi alle parole dei banchieri centrali, anche quando non sono seguite immediatamente da decisioni concrete. Tuttavia non si può esigere che i mercati, cioè gli investitori, si sentano perfettamente a loro agio a districarsi in tutti i meandri e gli anfratti della politica. Soprattutto se la politica – è il caso dell’Eurozona – invia segnali confusi e discordanti. Uniti nuovamente, come nei momenti più bui di questa crisi settennale, da un solo tratto comune: la sfiducia reciproca come sottostante di una moneta unica.
Quasi per convenzione, oramai, si fa partire tutto dalla Grecia. La Borsa di Atene, non a caso, ieri ha perso 12,8 punti percentuali, non accadeva dal 1987. Le Borse europee le sono andate dietro: Milano ha perso 2,8 punti, Parigi 2,5, Francoforte 2,2. Il Parlamento greco, domenica scorsa, ha approvato una legge finanziaria che non convince la Troika (composta da Unione europea, Banca centrale europea e Fondo monetario internazionale) che sovrintende agli aiuti internazionali. Inoltre il primo ministro greco, il conservatore Antonis Samaras, ha anticipato al 17 dicembre il voto del Parlamento sul prossimo presidente della Repubblica e ha presentato il suo candidato, l’ex ministro ed ex commissario Ue Stavros Dimas. Il problema è che la coalizione che sostiene Samaras non può raggiungere i 200 voti (su 300) necessari a eleggere il presidente nei primi due scrutini; dopodiché potrà eleggere il presidente al terzo e ultimo scrutinio con una maggioranza qualificata di 180 voti, ancora troppi per la coalizione tra Nuova democrazia e socialisti. Per questo Alexis Tsipras, del partito di sinistra radicale Syriza, dall’alto dei sondaggi che lo vedono in testa, già pregusta le elezioni anticipate. Il programma di Syriza però, pur levigato in mesi di incontri internazionali, prevede ancora elementi critici agli occhi dei creditori internazionali di Atene, come il ripudio degli accordi con la Troika e la riassunzione dei dipendenti pubblici licenziati. Si potrebbe obiettare che anche Samaras, prima di diventare premier nel 2012 (battendo Syriza di quasi 3 punti percentuali), prometteva sfracelli contro la Troika, salvo poi diventare uno dei prediletti di Bruxelles e Berlino. Ma sono sottigliezze e ipotesi. “Anche perché il messaggio sbagliato, ora, non arriva tanto dalla Grecia, quanto dalla stessa Troika – dice al Foglio l’economista della Cattolica Marco Fortis, tra i saggi consultati da Matteo Renzi sulla politica economica – C’era già stato il segnale del voto europeo, con l’avanzata degli anti euro. Poi Samaras ha chiesto qualche margine di flessibilità sul programma di aiuti. E cosa fa un pezzo dell’establishment europeo? Risponde ‘no’ e trasforma in inferno quella che sembra un’ultima spiaggia”. Fortis salva il presidente della Banca centrale europea, Mario Draghi, ma non i leader dell’Ue che hanno ripreso ad “alimentare una crisi di fiducia nella moneta unica. Così puniscono l’euro, non i singoli paesi”. L’economista fa l’esempio della “comprensibile reazione” di Michel Sapin, ministro delle Finanze francese, che ieri ha risposto così all’uscita della cancelliera tedesca Angela Merkel sulle “riforme non sufficienti” di Roma e Parigi: “Le persone dall’esterno devono stare attente a come si esprimono sulla Francia”.
[**Video_box_2**]Instabilità in Grecia, frizioni sull’asse franco-tedesco. E l’Italia? Palazzo Chigi due giorni fa aveva fatto trapelare fastidio per le dichiarazioni merkeliane. Ieri poi il Corriere della Sera scriveva di un piano del governo che, in caso di recessione prolungata, sforerebbe il tetto del rapporto deficit/pil fissato al 3 per cento dalle regole europee, così da allargare la platea di beneficiari degli 80 euro. Palazzo Chigi ieri mattina ha smentito l’esistenza di un Piano B, di cui aveva già scritto il Foglio. Nel pomeriggio è intervenuto anche il ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, dicendo che “è profondamente sbagliato pensare che sforare possa portare più crescita”. Secondo una ricostruzione raccolta dal Foglio in ambienti finanziari, il cerchio si potrebbe chiudere così: 80 euro per autonomi e pensionati nel 2015 e innalzamento delle aliquote agevolate dell’Iva. Nessuna conferma dal governo. Più plausibile, ancora una volta, la lettura politica: l’europeismo baldanzoso di Renzi – diverso da quello ubbidiente ma inconcludente di Enrico Letta, o da quello ortodosso ma tosto di Mario Monti – offre “copertura” a Padoan, anche con un po’ di spin ben mirato.
Draghi, di nuovo, potrebbe essere l’unico a fare chiarezza agli occhi dei mercati. Nell’estate 2012, quando disse “whatever it takes”, la Grecia aveva appena votato. Oggi è plausibile che il banchiere attenda al varco l’ennesimo “cigno nero”, magari in arrivo da Atene, prima di ufficializzare la “svolta americana” della Bce.
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