Il report “politicizzato”
C'è una guerra dentro alla Cia e Obama offre (come sempre) due verità
Gli orrori non si discutono, ma l’efficacia è un’altra storia. I documenti del dissenso e l’equilibrismo del presidente. Che succede ora a Brennan?
New York. Nessuna delle parti in causa nella grande guerra su interrogatori e torture scatenata dall’inchiesta della commissione Intelligence del Senato nega che siano stati commessi degli errori. Le minacce con il trapano, il “rectal feeding”, la privazione del sonno, il waterboarding usato con più frequenza di quanto ammesso in precedenza, le finte esecuzioni, corpi e menti denudati e disumanizzati con efferatezza fin qui ignota (o parzialmente nota) nel teatro degli orrori della guerra vengono direttamente dai database della Cia, dragati per cinque anni dallo staff del Senato. L’oggetto della discussione riguarda i risultati di queste pratiche dure d’interrogatorio, quasi sempre borderline e spesso molto oltre il confine. Non si tratta di sostenere la liceità di un male intrinseco come la tortura nel nome di mali assai maggiori sventati grazie alle informazioni cavate con la violenza e l’umiliazione, ma un’inchiesta che ambisce a illuminare la leggenda nera della Cia di Bush nel post 11 settembre deve mettere le mani in una pasta ambigua. Nessuno sfugge all’ambiguità, nemmeno John Brennan, il direttore della Cia fortissimamente voluto da Barack Obama già nel 2009, quando la nomina però era troppo rischiosa, ché il funzionario era invischiato proprio nel programma di interrogatori sotto l’Amministrazione Bush.
I suoi sostenitori dicono che era una coraggiosa voce antagonista in un ingranaggio molto più grande di lui, e quando finalmente è arrivata la nomina, nel 2013, davanti ai senatori che lo dovevano confermare ha giurato di avere cambiato idea: il programma di interrogatori “enhanced” non ha dato informazioni utili a smantellare i network terroristici e salvare vite. Aveva letto l’inchiesta del Senato allora secretata, concludendo che sollevava “seri dubbi sulle informazioni che mi erano state date”. Insomma, aveva approvato gli interrogatori duri soltanto perché qualcuno sopra di lui aveva mentito sulla natura e l’entità di quello che accadeva davvero nei “black site” della Cia. Avevano mentito a Bush – uno degli altri punti contestati dell’inchiesta – figurarsi se non potevano mentire a Brennan. Nella risposta ufficiale della Cia al report, firmata da Brennan soltanto qualche mese dopo la testimonianza, le versione è completamente diversa. Gli interrogatori in questione “hanno prodotto informazioni che ci hanno aiutato a sventare attacchi, catturare terroristi e salvare vite”. Ancora: “L’intelligence ricavata dal programma è stata fondamentale per la nostra comprensione di al Qaida e continua a informare anche oggi le nostre attività di antiterrorismo”. Un’inaccettabile giravolta? Forse un più comune caso di ambiguità dettato dalle leggi della politica. La stessa che si vede nel doppio registro tenuto da Obama alla pubblicazione del report: gli uomini dell’intelligence sono “professionisti e patrioti, e siamo più sicuri per il loro eroico servizio e il loro sacrificio”, ma i metodi impiegati sono “incompatibili con i nostri valori e non hanno servito gli interessi della sicurezza nazionale”. Sembra quasi che ci sia una Cia buona che raccoglie informazioni legittimamente e porta risultati, e una Cia cattiva fatta di aguzzini che torturano i prigionieri senza motivo. Obama elogia la prima e depreca la seconda, come se fra le due esistesse un confine impermeabile; il direttore Brennan è il prodotto ibrido dei due mondi.
L’attuale leadership della Cia ha smentito puntualmente le accuse di inefficacia del programma. I leader sotto l’egida di Bush fanno altrettanto, certificando un rapporto diretto fra l’uccisione di Bin Laden e le informazioni cavate a forza dai detenuti, vicenda messa in discussione dal report. In più, ripetono, era tutto legale, persino il dipartimento di Giustizia di Eric Holder e il procuratore speciale John Durham non hanno trovato crimini nella condotta della Cia.
[**Video_box_2**]La selezione delle fonti
I critici del Senato vedono in tutte queste contraddizioni sui fatti e sui rapporti di causalità fra le vicende il segno della “politicizzazione” dell’inchiesta. La scelta delle fonti non depone a favore di un report che ambisce a diventare l’operazione verità definitiva per i posteri sugli anni della guerra al terrore. La commissione fatta di democratici non ha interpellato Bush e Cheney, non ha sentito la versione dei tre direttori della Cia e dei loro vice – i responsabili del programma – non ha avuto accesso ai documenti della Casa Bianca, non ha nemmeno citato il libro di memorie in cui Bush dice di sapere alcuni dettagli sugli interrogatori dei quali, secondo la commissione, il presidente era stato tenuto all’oscuro.
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