Alle prese con le suore americane che vanno “oltre Cristo”
Martedì il giudizio dopo la visita apostolica. Clima bonariao ma con forti problemi. La fede in discussione.
Martedì sarà il giorno del giudizio per le suore americane, messe sotto inchiesta nel 2008 dalla congregazione per gli Istituti di vita consacrata e le società di vita apostolica. Il cardinale prefetto della congregazione per gli Istituti di vita consacrata, il focolarino brasiliano João Braz de Aviz, il segretario francescano José Rodríguez Carballo e la responsabile della visita apostolica, suor Clare Millea, presenteranno i risultati dell’indagine voluta dall’allora responsabile del dicastero per i religiosi, il cardinale Franc Rodé. Alla conferenza stampa parteciperanno anche due rappresentanti delle suore americane, compresa la presidente della Leadership conference of women religious (Lcwr), l’associazione che riunisce la maggior parte delle religiose statunitensi e che è tuttora sottoposta a un’altra indagine dell’ex Sant’Uffizio. “E’ un fatto evidente che il numero delle religiose americane è calato moltissimo” e si tratta di capire “dove sono le cause di questa diminuzione”, diceva sei anni fa il cardinale Rodé spiegando le motivazioni della visita apostolica. “In un certo senso, si può dire di una certa mentalità secolarista che si è propagata in queste famiglie religiose, forse anche un certo spirito femminista”. Il fatto è che, precisava il porporato, “sotto l’influsso del Concilio Vaticano II, i religiosi hanno rifiutato la penitenza e l’ascetismo come cose del passato, si sono sentiti a disagio nel vestire l’abito e hanno fatto della agitazione sociale e politica l’acme della loro azione apostolica”. La reazione non fu delle più soft, tanto che dalla celebre scuola teologica gesuita di Berkeley, suor Sandra Schneiders si disse convinta che in quella decisione romana non vi fosse “nulla di amichevole, trasparente e finalizzato ad aiutarci”. Quella visita, aggiungeva, è nient’altro che “un atto ostile”. Nel frattempo, il prefetto Rodé veniva pensionato per raggiunti limiti d’età, e al suo posto Benedetto XVI designava il ben più flessibile Braz de Aviz, che fin dal principio si mostrava assai più tollerante verso le sorelle americane sotto inchiesta, tant’è che oltretevere si dà per certo un giudizio tutto sommato positivo della visita apostolica. Pochi mesi dopo l’elezione di Francesco al Soglio pontificio, il porporato brasiliano – intervenendo all’incontro delle Superiori generali – si disse convinto della possibilità “di tornare a un dialogo che non è stato fatto prima”.
Ma il punto dolente nei rapporti tra Roma e le religiose americane è ancora rappresentato dal caso della Lcwr, la più grande associazione di suore americane che una valutazione dottrinale avviata dall’allora capo del Sant’Uffizio, il cardinale William J. Levada, accusava di “voler andare al di là della chiesa e al di là di Gesù”. Durissime le accuse specifiche nei confronti delle suore che raggruppano circa l’ottanta per cento delle religiose locali (ma con vocazioni in sensibile calo): Cristo non sarebbe stato il Messia, ma solo uno dei tanti maestri, lo spirito del Sacro vivrebbe in “tutta la creazione”. E poi posizioni ben poco ortodosse su aborto, contraccezione, ordinazione delle donne, omosessualità. A chi faceva loro notare che Giovanni Paolo II aveva chiuso il discorso sulla possibilità di far celebrare la messa alle donne – orientamento confermato da Francesco in più d’una occasione, l’ex leader della Lcwr, suor Theresa Kane rispondeva che “Giovanni Paolo II è morto”. Perfino sulla riforma sanitaria promossa da Barack Obama, le suore si mostravano pubblicamente in disaccordo con la posizione ufficiale della conferenza episcopale locale, contraria a ogni compromesso con il governo federale. Lo scorso 30 aprile, il cardinale Gerhard Ludwig Müller, incontrando i vertici dell’associazione, li accusò di ammiccare al movimento filosofico della “Evoluzione cosciente”, le cui tesi sono “opposte alla rivelazione cristiana”, visto che Dio viene sostituito con la materia cosmica in evoluzione. Quando poi tali tesi sono prese senza rifletterci, aggiungeva il porporato tedesco, “conducono inevitabilmente a errori fondamentali circa l’onnipotenza di Dio, l’incarnazione di Cristo, la realtà del peccato originale, la necessità della salvezza e la natura definitiva dell’azione salvifica di Cristo nel mistero pasquale”. Davanti a questo quadro, spiegava Müller, non è possibile usare “un linguaggio fiorito”.
Punto di non ritorno era stata la decisione della Lcwr di assegnare il premio annuale dell’associazione a Elizabeth Johnson, consorella e teologa celebre per il libro “Alla ricerca del Dio vivente” messo all’indice nel 2007 dalla commissione dottrinale dei vescovi statunitensi. Suor Elizabeth, infatti, faceva trapelare dubbi sul dogma della Trinità, sostenendo che non è poi così certo che sia giusto parlare di Gesù unico salvatore del mondo, dal momento che la Verità è conoscibile solo sommando il meglio dei vari credo, dal buddismo al cristianesimo, dall’islam all’induismo. E poi, neanche nel racconto della Genesi biblica, osservava la teologa alla Fordham University di New York, tutto quadra come dovrebbe. “La mia preoccupazione è se una così intensa attenzione sulle nuove idee come quella dell’evoluzione cosciente abbia allontanato le religiose dalla capacità di sentire veramente cum ecclesia”, si chiedeva Müller. Interrogativi che si è fatto anche Papa Francesco, che poche settimane dopo l’elezione confermava con tutti i crismi dell’ufficialità le conclusioni della valutazione dottrinale istruita a suo tempo dal cardinale Levada. Tanto che i vertici della Lcwr, prima di chiudersi in un prudente silenzio in attesa degli sviluppi dell’indagine affidata al vescovo di Seattle, mons. James Sartain, accusavano Francesco di “essere come Benedetto XVI”. L’ex presidente, suor Florence Deacon, si mostrava perplessa: “Dubito che Bergoglio ci abbia seguito molto da vicino quand’era in Argentina”.
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