I leak di Sony imbarazzano Dowd e la schiena dritta del NYT
Gli hacker di Guardians of Peace che hanno violato i database della Sony chiedono di bloccare l’uscita del film “The Interview” ma nell’attacco hanno fatto parecchi danni collaterali.
New York. Gli hacker di Guardians of Peace che hanno violato i database della Sony chiedono di bloccare l’uscita del film “The Interview” – commedia in cui Seth Rogen e James Franco complottano per uccidere Kim Jong-un – ma nell’attacco hanno fatto parecchi danni collaterali. E non si parla soltanto dei dati sugli stipendi o dei commenti a porte chiuse sull’assenza di talento di Angelina Jolie. Una vittima improbabile di questa breccia cibernetica è Maureen Dowd, columnist dalla penna tagliente che con cadenza settimanale fa prediche liberal molto argute sulle pagine del New York Times.
Nelle email pubblicate dagli hacker e, in questo caso, scandagliate da BuzzFeed, compare anche il nome di Dowd, che a ridosso della notte degli Oscar ha scritto un editoriale classico sulla disuguaglianza di genere che regna anche a Hollywood: “Gli elettori degli Oscar e i pezzi grossi dell’industria sono ancora per la stragrande maggioranza bianchi, maschi e di mezza età”, denunciava lei. Amy Pascal, condirettrice di Sony, era la testimone chiave della tesi di Dowd: le donne a Hollywood ricevono stipendi “miseri” rispetto agli uomini. A parte il fatto che Pascal, si scopre ora, guadagna quanto il ceo di Sony, Michael Lynton, cioè 3 milioni di dollari l’anno, l’aspetto imbarazzante è che Dowd offre una bozza dell’articolo per approvazione a Bernard Weinraub, ex giornalista del Times e marito di Pascal. L’articolo, naturalmente, presenta Pascal come la guerriera solitaria in un mondo patriarcale e discriminatorio. A lei attribuisce il merito di aver fatto passare capolavori diretti da donne che altrimenti non avrebbero mai raggiunto le sale, ed è appena ironico – e forse anche politicamente scorretto – che Rogen alla prima dell’hackerato “The Interview” l’abbia omaggiata con questa formula: “Vogliamo ringraziare Amy Pascal per aver avuto le palle di fare questa cosa”. Le palle, appunto.
[**Video_box_2**]Ci sono fitti scambi di mail fra Dowd e Pascal prima di quell’intervista. Il tono è da amiche se non del cuore quasi: si parla di vacanze, ristoranti, del regalo per tuo figlio che ho portato dal mio ultimo viaggio, carissima. Due giorni prima della pubblicazione dell’articolo Dowd scrive: “Mi assicurerò che tu venga fuori alla grande e controlleremo che tutto sia fatto in modo appropriato”. Per controllare che tutto vada liscio Dowd invia il testo dell’articolo tramite il marito di Pascal, il quale le spiega un concetto semplice: “Non puoi dire a nessuno che ho visto la column prima che vada in stampa, non è mai successo. Niente gente delle pr, o Lynton o nessun altro deve sapere”. Ricapitolando: una delle opinioniste più influenti del mondo, con premio Pulitzer in bacheca, fa dire a una manager e amica fra le più influenti del mondo cose che confermano la tesi preconfezionata dell’editoriale; per evitare incidenti, l’opinionista invia il testo dell’articolo per approvazione non direttamente all’intervistata – sarebbe stato eccessivo – ma al marito di lei, a sua volta amico e pure ex collega. Una bastonata sulla schiena dritta del New York Times, che tempo fa era incappato in un caso simile: un leak aveva svelato che Mark Mazzetti, reporter che si occupa d’intelligence, aveva preventivamente inviato alla portavoce della Cia un pezzo di Dowd sul film “Zero Dark Thirty”. Il Times aveva censurato la pratica, ma senza altre conseguenze.
Alla pubblicazione dell’articolo di Dowd nel dipartimento di comunicazione della Sony è tutto un brulicare di commenti soddisfatti ed emozionati. Pascal ringrazia direttamente l’autrice: “Penso la storia sia grandiosa, spero tu sia contenta”. Dowd: “Spero tu sia contenta! Grazie per l’aiuto. Facciamone un’altra”. Pascal: “Sei la mia persona preferita, quindi sì”. Dowd: “No tu sei la mia preferita! Sei fantastica”.
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