Le aquile d'occidente hanno sbagliato tutto con la Russia. Ecco perché
Russia, America ed Europa dovrebbero parlarsi più seriamente e impostare un’inclusione di Mosca, pur graduale, nell’occidente in cambio di un sostegno.
Il mercato globale, pur mantenendo una forte interdipendenza tra le sue parti, si sta frammentando in blocchi o fatti dalle sfere di influenza di nazioni con progetto di potenza (America, Cina e Russia) o da alleanze regionali (Unione europea) oppure da meganazioni (India, Brasile). La prima categoria tenta di creare aree di libero scambio centrate sulla nazione dominante allo scopo di ottenere un vantaggio di “signoraggio geoeconomico”, tipo quello conquistato dalla Germania dopo aver vassallato l’Eurozona e, in parte, la Ue. Tale scenario, anticipato da molti e dalla rubrica qui una decina di anni fa, è stato finora trattato dagli analisti assumendo una forte stabilità dei centri aggregatori, così favorendo una previsione rassicurante. Alla frammentazione geopolitica non seguirà quella economica perché tali nazioni-centro avranno più interesse a mantenere aperto il mercato globale che a chiuderlo. Ma recentemente sono aumentati i segnali di instabilità interna in certe nazioni-centro e/o nella loro sfera di influenza.
In Cina Xi Jinping ha dovuto sospendere la regola di sostituzione pacifica delle élite per difendere la propria leadership, restaurando una procedura di violenza (totale) che è precorritrice di futuri rischi di guerra civile più si avvicina il prossimo evento di sostituzione delle stesse, nel 2022-’23. Inoltre, la frizione di Pechino con molte nazioni confinanti destinate all’inclusione nell’area di influenza (Greater China), pur recentemente attutita sul piano formale, in realtà sta crescendo non solo per l’azione americana di contenimento, ma anche per rigetto autonomo. L’America mostra simili difficoltà a riconfigurare il proprio impero da globale a regionale diventando centro di due aree di libero scambio, pacifica e atlantica. La Russia appare superstabile per il consenso diffuso al progetto imperiale di Putin e meno contrastata nel consolidamento della sua sfera di influenza esterna (Csi). Ma è l’area russa quella più a rischio di destabilizzazione rapida. La mancata evoluzione del modello economico verso l’industria leggera combinata con una riduzione dei proventi petroliferi, situazione peggiorata dalle sanzioni, sta creando una divergenza tra eccitazione nazionalista di massa e sopravvivenza quotidiana. Nuove élite se ne sono accorte e stanno organizzando ambizioni sostitutive. La debolezza di Putin è percepita anche dagli autocrati della Csi come motivo per agganciarsi ad altri, particolarmente nell’Asia centrale. In un secolo la Russia ha già avuto due instabilità totali (1917, 1991) ambedue esportate. Nel caso di una terza, le guerre interne ed esterne (particolarmente nel Caucaso) nonché i riverberi economici avrebbero elevata probabilità: a) di generare una megacrisi finanziaria globale con conseguenze depressive tali da incentivare i governi, Cina in particolare, a “chiudere” i mercati della loro area per i vantaggi di breve termine sul piano del consenso forniti dal protezionismo; b) l’Asia centrale diverrebbe zona di conquista dando a Pechino, in una situazione che favorirebbe la presa di potere dei militari sui civili, la possibilità di conquistarla.
Sono solo ipotesi, ma cominciano a prendere probabilità nei simulatori così come la conseguenza di crisi finale dell’occidente. Il punto: Russia, America ed Europa dovrebbero parlarsi più seriamente e impostare un’inclusione di Mosca, pur graduale, nell’occidente in cambio di un sostegno. La rubrica ritiene che il Vaticano abbia capito il pericolo e spera che la professionalità della sua geopolitica compensi il dilettantismo delle tre aquile d’occidente.
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