Sydney in ostaggio
Che cosa ci dice Man Haron Monis sul jihad fai da te
17 ore di assedio in un bar, poi il blitz (tre morti). Il profilo dell’attentatore.
Milano. Cinquant’anni, iraniano, residente a Sydney dopo aver ottenuto asilo politico alla fine degli anni Novanta, santone-curatore, accusato di molestie sessuali, condannato per aver scritto lettere offensive ai familiari dei soldati australiani uccisi in guerra tra il 2007 e il 2009, indagato per l’assassinio della ex moglie, nato sciita, rivendutosi come ayatollah, ma ora ostentatamente sunnita (forse da non più di una settimana), grande estimatore di Julian Assange, la mente di Wikileaks. Questo è Man Haron Monis, l’uomo che poco prima delle dieci del mattino di Sydney, ieri, ha preso in ostaggio i clienti e lo staff del Lindt café di Marin Place, nel centro della città e che 17 ore dopo è rimasto ucciso nel blitz delle forze speciali australiane che ha messo fine all’assedio (ci sono state altre due vittime, un uomo di 34 anni e una donna di 38). A crisi appena iniziata, Man Haron Monis si è fatto consegnare una bandiera nera dalla polizia e l’ha esposta sulla vetrina del locale, mettendo gli ostaggi a rotazione a tenerla su, in bella mostra, con la scritta bianca in arabo: è la shahada, la testimonianza di fede dei musulmani, con cui si aderisce al monoteismo islamico e si riconosce la missione profetica di Maometto. Già questo primo dettaglio ha fatto pensare che si trattasse di un’operazione portata avanti da una persona sola e non organizzata piuttosto che da un gruppo islamista (quest’interpretazione non è in alcun modo rassicurante: i “lupi solitari” che assaltano gente inerme in giro per il mondo uniscono al fanatismo religioso proprie campagne personali e il risultato è di una pericolosità assoluta).
Durante le prime ore della crisi, il centro di Sydney è stato chiuso ed evacuato, i militari hanno circondato la zona e cinque persone a un certo punto sono corse fuori dal locale, non si sa se siano scappate o se siano state rilasciate. Si è pensato che si fosse a un punto di svolta, ma l’assedio è continuato, mentre molte fonti interpellate dai media australiani avevano fatto capire di conoscere l’identità dell’attentatore – la polizia sapeva così come gli esponenti della comunità musulmana che si sono diretti subito sul posto per condannare l’attentato – ma le trattative erano in corso e soprattutto, come ha detto un esperto di negoziazione alla Bbc, era chiaro che l’uomo stesse cercando gran visibilità sui media. E’ stato visto aggirarsi nella caffetteria con un iPad e poco dopo sono comparsi video e richieste su Twitter e su YouTube poi rimossi dalle autorità. Mentre si muovevano mezzi e uomini attorno alla piazza e il ministero degli Esteri australiano faceva sapere che il paese era pronto – lo stato d’allerta è “alto” da quando l’Australia è entrata nella coalizione internazionale che combatte lo Stato islamico in Iraq e Siria, c’era stata una grossa retata il 12 di settembre, dopo che il premier, Tony Abbott, ha conferito maggiori poteri alla polizia all’interno di norme antiterrorismo – ha iniziato a circolare il profilo di Man Haron Monis, noto anche come sceicco Haron (sono stati i media di News Corp. a far uscire il nome, quando ancora la polizia non confermava: Rupert Murdoch è a Sydney, era necessario far bella figura con il capo).
[**Video_box_2**]Secondo i dati, ci sono circa 70 persone di nazionalità australiana che combattono con lo Stato islamico tra Iraq e Siria e, ieri mattina, dopo aver visto la bandiera affissa sulla vetrina della caffetteria, sembrava che questa filiera fosse determinante per comprendere le motivazioni della presa degli ostaggi. In realtà il profilo dello sceicco Haron – la comunità musulmana di Sydney dice di conoscerlo bene e precisa che non ha alcun titolo in curriculum – mescola la fede a una visione curativa dell’islam, con molte peripezie personali che hanno portato l’uomo a rinnegare lo sciismo in nome del sunnismo. Un professore esperto di terrorismo sentito dal New York Times ha detto che è difficile capire se si tratti di “un lupo solitario solidale con lo Stato islamico e il jihad in generale” o di “un caso di psicopatologia in cerca di uno scopo”. Probabilmente è un mix dei due elementi, ma l’Fbi ieri faceva sapere che i fenomeni di emulazione di gesti estremi di matrice islamica sono in aumento. Soprattutto da quando, a settembre, il portavoce di al Baghdadi, Abu Muhammad al Adnani, ha tenuto un discorso per chiedere ai musulmani di tutto il mondo, compresi quelli in Australia, di usare ogni mezzo per uccidere il nemico, ovunque si trovi.
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