Matteo Renzi, ieri, durante la cerimonia per lo scambio di auguri con le alte cariche dello Stato (foto LaPresse)

Le allegre trame di Matteo

Claudio Cerasa

Fonti governative ci spiegano i segreti tattici del garbuglio tra legge elettorale e tentazioni elettorali.

Roma. Nella partita a scacchi che nelle prossime settimane Matteo Renzi giocherà in vista della ormai prossima successione a Giorgio Napolitano, la mossa che più delle altre viene tenuta in considerazione dagli alleati e dagli avversari del presidente del Consiglio è una mossa invisibile, negata dal diretto interessato, che pure, nonostante le smentite, è diventata il cuore pulsante della partita del Quirinale: il voto anticipato. La galassia dei nemici di Renzi – minoranza del Pd, minoranza di Forza Italia, Movimento 5 stelle, Lega nord e persino qualche renziano della prima ora, deluso dal renzismo della seconda ora – sostiene con sicurezza che il presidente del Consiglio voglia andare a votare a maggio e che le dinamiche parlamentari di questi giorni siano finalizzate solo e unicamente al raggiungimento di quell’obiettivo. Generalmente, gli avversari del Rottamatore utilizzano questa lettura in chiave propagandistica, come a voler dire che la politica del segretario del Pd è fatta solo di annunci e fuffa, spin e tweet, chiacchiere e distintivo, e nulla di più. Renzi, sdegnato, dice che non è vero nulla, che tornare al voto non avrebbe senso, che la sua prospettiva sono i mille giorni, che governare gli piace assai e che la sua intenzione è così genuina e cristallina (Angelino, i love you) da essere disposto a far entrare in vigore la nuova legge elettorale a partire dal gennaio non del 2015 bensì del 2016 (la famosa clausola di salvaguardia promessa dal premier due settimane fa). Qual è la verità?

 

Il Foglio ha conversato informalmente nelle ultime settimane con alcuni esponenti di primo piano del governo e mettendo insieme i vari tasselli del mosaico renziano la questione potrebbe essere riassumibile così: è sbagliato dire che Renzi voglia votare a tutti i costi, è invece giusto dire che Renzi vuole avere, a tutti i costi, la possibilità di poter votare il prossimo anno. Ieri Giorgio Napolitano – che durante il discorso di fine anno alle alte cariche dello stato non ha fatto alcun riferimento esplicito alla fine del suo mandato ma ha utilizzato per tre volte un’espressione utile a inquadrare quale dovrebbe essere l’identikit del suo successore (“Occorre continuità istituzionale”) – ha invitato i cronisti a non perdere troppo tempo a parlare di sconclusionate ipotesi di scissioni o di noiose questioni legate alle elezioni anticipate. Ma in cuor suo anche il presidente della Repubblica sa che la partita legata alla sua successione ha una relazione diretta con la possibilità che il prossimo anno si possa tornare a votare (o anche solo con il sospetto che questo possa accadere). E da questo punto di vista si può dire che sono almeno un paio gli indizi che possono confermare che nella testa di Renzi il pensiero di tornare a votare già il prossimo anno esiste davvero. La legge elettorale, naturalmente, è l’elemento centrale di questo processo. E la ragione per cui a Renzi verrà resa impossibile l’approvazione dell’Italicum prima della scelta del prossimo presidente della Repubblica è proprio questa. Da un lato, il ritardo a cui puntano le minoranze di Pd e Forza Italia ha un obiettivo preciso: costringere il capo del governo a concedere qualcosa, a loro, anche in chiave quirinalizia. Dall’altra parte, questione se possibile ancora più importante, ritardare il voto sulla legge elettorale il più possibile è il modo migliore per far sì che la finestra del voto in primavera sia resa sostanzialmente inutilizzabile. Renzi, dunque, vuole la legge elettorale subito anche per avere a disposizione l’opzione del voto in primavera. E questa sua tentazione, che accresce le preoccupazioni degli avversari del Rottamatore, è testimoniata da altri utili indizi. Uno di questi, piccolo ma significativo, è la richiesta di spostare da aprile a maggio lo slot del voto delle regionali, con l’idea di poter legare le elezioni nazionali con quelle locali (Roma compresa, nel caso). Il secondo, sempre piccolo ma altrettanto significativo, è invece legato a un articolo particolare della legge di stabilità, che come ammettono apertamente alcuni esponenti del governo “dà alla legge una connotazione palesemente elettorale”. L’articolo in questione è il numero diciassette, ed è un lungo elenco di spese autorizzate dal governo per l’anno 2015: 50 milioni per il Terzo settore, 250 milioni per interventi in favore del settore dell’autotrasporto, 10 milioni per le imprese agricole, 100 milioni per le opere di accesso agli impianti portuali, 100 milioni alle agenzie dell’entrate, 300 milioni al fondo delle politiche sociali, e così via. I più maligni dicono che l’indizio vero e unico per capire quando Renzi si prepara alle elezioni è andare a controllare se l’ex sindaco di Firenze ha o no un libro in canna – e in effetti, negli ultimi anni, non c’è campagna elettorale organizzata dal Rottamatore che non sia stata preceduta dall’uscita di un suo libro manifesto: nel 2012, prima delle primarie con Bersani, uscì “Stil Novo”, nel 2013, prima delle primarie con Cuperlo e Civati, uscì “Oltre la Rottamazione”, nel 2011, annusando la possibilità di voto anticipato, uscì “Fuori!”, le ultime europee hanno fatto eccezione, ma è stato solo un caso, perché in realtà, già ad aprile, Renzi stava preparando con Mondadori un libro intervista con Aldo Cazzullo – e a quanto pare, casualità, il presidente del Consiglio ha già preso accordi di massima per un prossimo libro a metà del prossimo anno. Piccoli indizi, molti dei quali riportati da importanti esponenti del governo, che però si tengono tra loro solo con un unico collante, che ovviamente è quello della legge elettorale. Quando i renziani dicono che in caso di pasticci o scherzi sull’Italicum il governo è pronto ad approvare una legge alternativa come il Mattarellum (collegi uninominali, odiati da Berlusconi e in generale dal centrodestra) il gioco è lo stesso che è stato fatto nelle ultime ore con la scelta di far circolare il nome di Romano Prodi per il Quirinale: si cerca di far ingelosire il fidanzato (Forza Italia) lasciando intendere di essere pronti a fare accordi con l’amante (il Movimento 5 stelle) e il gioco regge fino a che fa leva sulle allusioni e le provocazioni, e fino a quando cioè basta una piccola minaccia a rafforzare il legame (ché l’amante, in fondo, ha voglia di far saltare il fidanzamento ma non ha alcuna voglia di impegnarsi in una relazione stabile).

 

[**Video_box_2**] I fatti, e i numeri, ci dicono però che Renzi, al momento, non ha altre strade che possa percorrere se non quelle che portano al patto del Nazareno (né per il Mattarellum né per Prodi ci sono i numeri in Parlamento e andare a votare con la legge elettorale attuale, il Consultellum, permetterebbe a Renzi di rottamare molte minoranze ma costringerebbe il segretario del Pd a una nuova e soffocante grande coalizione). E proprio l’esigenza di rispettare il patto con Berlusconi costringerà il presidente del Consiglio a cedere sulla tempistica della legge elettorale. Salvo sorprese, l’idea è dunque questa: prendere atto dell’impossibilità di approvare l’Italicum entro la fine del mandato di Napolitano, trasformare questa impossibilità in una concessione alla minoranza, ottenere un credito con i propri avversari da spendere nella partita del Quirinale, approvare l’Italicum dopo la nomina del presidente della Repubblica e provare così a tenere aperto lo slot del voto anticipato nella prossima primavera.
“Difficile dire se tutte le caselle andranno al loro posto – dice un renziano che ha buona consuetudine con il presidente del Consiglio – più facile fare un ragionamento di questo tipo: con l’attuale legge elettorale Matteo non andrà a votare tanto facilmente, una volta che avrà la nuova legge elettorale la tentazione di fare in Italia quello che ha fatto Abe in Giappone potrebbe essere qualcosa in più di una semplice tentazione”.

 

Tutto dunque si tiene e tutto dunque si regge. E sotto questa prospettiva, ovviamente, si capisce meglio come una legge elettorale come l’Italicum venga osservata con diffidenza dal partito degli avversari di Renzi. L’Italicum (premio di maggioranza, premio alla lista, ballottaggio, vincitore certo, zero potere al capo dello stato nella nomina del nuovo presidente del Consiglio) rende la nostra Repubblica sostanzialmente a-presidenziale, come racconta in questa pagina Lanfranco Pace, e dare pieni poteri al presidente del Consiglio, per i nemici giurati di Renzi, in questa fase, potrebbe non essere, come dire, un’idea esattamente geniale.

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  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.