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Libero taxi in libero stato. Parte la eurocontroffensiva di Uber

David Carretta

Parigi legifera per bloccare l’app americana. I documenti del primo ricorso all’Ue da parte del gruppo.

Bruxelles. Una controffensiva totale sul piano legale e politico di fronte a governi e tribunali che in mezza Europa stanno proteggendo “la corporazione dei tassisti” a “danno di consumatori e nuovi concorrenti”. Ad annunciarla al Foglio è Mark MacGann, capo della Public Policy per l’Europa, il medio oriente e l’Africa di Uber,  dopo una settimana da incubo per l’azienda americana che fornisce tramite un’app un servizio di trasporto automobilistico privato.

 

Lunedì 8 dicembre un tribunale in Olanda aveva dato ragione al governo che vuole multare gli autisti di Uber per esercizio illegale di trasporto di persone. Martedì 9 dicembre un giudice di Madrid ha ingiunto a Uber di sospendere le operazioni, in attesa di un ricorso dei taxi per pratiche anti concorrenziali. Venerdì 12 dicembre, la regione di Bruxelles ha chiesto all’amministrazione fiscale di controllare se gli autisti di Uber pagano le tasse. “C’è la sensazione che queste sentenze siano legate tra loro. Ma per ora sono casi isolati” e tutti legalmente discutibili, spiega MacGann, promettendo una escalation di ricorsi davanti ai tribunali fino ai più alti livelli. Secondo Uber, “la fine dei giochi” sulle sentenze nazionali sarà determinata dalla Corte di giustizia dell’Unione europea.

 

Adesso tuttavia, in Europa, Uber ha portato la controffensiva a un livello molto più alto. Come anticipato due sere fa dal Foglio.it, Uber ha presentato un ricorso davanti alla Commissione Ue contro la Francia che, con una legge sui taxi e i veicoli con conducente (la Loi Thénevoud), vuole bandire “UberPop” dal 1° gennaio prossimo. “Il compito della Commissione è di proteggere il trattato e le libertà fondamentali”, tra cui la libera circolazione dei servizi e la libertà di stabilirsi negli stati membri, dice MacGann. Ma la scommessa di un “complaint” europeo comporta anche dei rischi. Quando prenderà la sua decisione – secondo fonti europee serviranno “un paio di mesi” – la Commissione stabilirà anche la natura stessa di cosa è Uber in Europa, determinando i suoi destini: un servizio di taxi sotto falso nome oppure un fornitore di servizi innovativi?

 

La Commissione presieduta dal lussemburghese Jean-Claude Juncker ha fatto un passo indietro rispetto a quella di José Manuel Barroso, che aveva trovato nella commissaria Neelie Kroes lo sponsor di Uber nell’Ue. Un portavoce di Juncker ha definito Uber un “operatore di taxi” che deve essere “regolamentato dalle autorità nazionali”. Ma “Uber non è una società di trasporti”, risponde MacGann: “E’ una società di tecnologia che fornisce un software e intermedia domanda e offerta tra autisti e persone che vogliono muoversi in una città”. Uber vuole “essere regolata come una società di tecnologia” alla stessa stregua di Airbnb, che fa da intermediario su internet per semplici camere o ville di lusso, in barba alle rigide regolamentazioni sui servizi alberghieri. E’ la “sharing economy”: l’economia della connessione e della condivisione, su cui i legislatori non sono ancora riusciti a intervenire. Ed è il cavillo che ha trovato Uber per contestare la Loi Thénevoud in Francia.

 

Il governo di Parigi – come mostra la corrispondenza tra Uber e Commissione pubblicata sul Foglio.it – avrebbe dovuto notificare all’Ue la volontà di adottare norme che rischiano di intralciare la libertà di movimento dei servizi nel settore della tecnologia dell’informazione. Se la Commissione deciderà che Uber è un “online service provider”, e non una società di trasporti, allora i giudici francesi dovranno disapplicare la Loi ThPnevoud.

 

Quello contro la Francia probabilmente è solo il primo di una serie di ricorsi alla Commissione. Ma l’offensiva nei prossimi mesi si sposterà anche sul piano più politico. “Se ci sedessimo ad aspettare che i legislatori regolino il settore, ucciderebbero il mercato, perché non c’è alcun incentivo ad aprire”, dice MacGann.

 

[**Video_box_2**]Uber confida nei commissari meno e-reazionari, come il vicepresidente Andrus Ansip, che a maggio presenterà un piano di azione per il mercato unico digitale. Ma dovrà fronteggiare anche il tedesco Günther Oettinger, che non ha quasi mai usato un iPhone prima di vedersi affidare il portafoglio dell’Economia digitale. L’intenzione di Uber è di “educare”. Il “modello” legislativo è quello che si sta affermando negli Stati Uniti, dove quattro anni fa “la lobby dei taxi era estremamente potente”, ma vista la “popolarità di Uber” 40 città o stati hanno deciso di classificare la app in una categoria a sé, “Transport Network Company”, aprendo in questo modo alla concorrenza.

 

“Le prove empiriche dimostrano che Uber non ha sottratto quote di mercato ai taxi, ma sta aumentando le dimensioni del mercato per il trasporto passeggeri, in particolare per le persone che normalmente non spenderebbero soldi per un taxi perché troppo caro”, conclude MacGann, arrivato all’appuntamento con il Foglio con mezz’ora di ritardo. Sotto una pioggia battente a Bruxelles non c’erano taxi, racconta, e le auto Uber erano tutte prese.

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