Tutto quello che c'è da sapere sullo scontro tra Corea del nord e Sony
Mentre l’America era impegnata a spulciare la mole di email private dei funzionari di Sony Picture diffuse su internet dagli hacker che si fanno chiamare Guardiani della Pace (stipendi, insulti, gossip, un bengodi per gli amanti del genere “buco della serratura”), nel mondo stava succedendo qualcosa di grosso. Molto grosso. Venirne a capo, però, non sarà facile.
Mentre l’America era impegnata a spulciare la mole di email private dei funzionari di Sony Picture diffuse su internet dagli hacker che si fanno chiamare Guardiani della Pace (stipendi, insulti, gossip, un bengodi per gli amanti del genere “buco della serratura”), nel mondo stava succedendo qualcosa di grosso. Molto grosso. Venirne a capo, però, non sarà facile.
Luglio 2014. Viene diffuso il primo trailer del film di Seth Rogen e James Franco, “The Interview”, accompagnato da titoli sensazionalistici tipo: la Corea del nord dichiara guerra all’America.
Il film è una commedia in cui i due protagonisti, due giornalisti, vengono reclutati dalla Cia per fingere di fare un’intervista al leader nordcoreano, Kim Jong-un, e poi assassinarlo. La Sony Pictures Enterteinment, una società americana che fa parte del colosso Sony corp. giapponese, in quell’occasione annuncia l’uscita del film per ottobre 2014. I titoli dei giornali americani fanno gioco alla pubblicizzazione del film: in realtà il ministero degli Esteri nordcoreano diffonde un comunicato in cui condanna un film in cui l’America tenta di sovvertire il potere della Repubblica popolare di Corea con un colpo di stato. Niente di particolarmente cruento da parte di Pyongyang – chi segue le cronache nordcoreane sa che la propaganda antioccidentalista può essere anche molto minacciosa. Il 7 agosto 2014 la Sony Picture decide di rimandare la distribuzione del film “The Interview” da ottobre a Natale. Nel comunicato ufficiale si spiega che le ragioni sono di tipo editoriale (un film comico funziona alla grande durante il periodo natalizio) e qualcuno specula sul fatto che la Sony voglia fare degli “aggiustamenti” al film.
In questi due mesi (ottobre-dicembre) succedono delle cose molto interessanti dal punto di vista della diplomazia tra America e Corea del nord. Il 31 ottobre Jeffrey Fowle, cittadino americano detenuto in Corea del nord per aver lasciato una Bibbia in un locale, viene improvvisamente messo su un aereo dell’Air force americana, atterrato a Pyongyang, e rilasciato. Dopo una settimana, in gran segreto, James Clapper, direttore della U. S. National Intelligence, vola nella capitale nordcoreana a liberare gli altri due cittadini americani detenuti dalle autorità di Kim Jong-un, Kenneth Bae e Matthew Todd Miller. Grande successo diplomatico. Dopo una settimana (e siamo a metà novembre) il capo delle spie americane parla a "Face the Nation" sulla Cbs e racconta il suo viaggio nel paese più isolato del mondo e più ostile agli americani. Clapper spiega di aver pensato, a un certo punto, che la sua missione di andare a liberare i suoi connazionali sarebbe potuta fallire perché i funzionari nordcoreani volevano una concessione diplomatica in cambio, e lui non ne aveva da offrire. “Credo fossero un tantino delusi”, dice Clapper, “Il messaggio principale da parte loro era la delusione che non ci fosse stata una qualche offerta da parte di Washington o una svolta consistente”. E’ il 16 novembre quando Clapper spiega all’America dei nordcoreani delusi, del capo delle spie che non ha niente da offrire in cambio del rilascio dei prigionieri, condotto nottetempo a Pyongyang con una lettera di Barack Obama che ringrazia molto per “il gesto positivo”.
[**Video_box_2**]Il 24 novembre, più o meno una settimana dopo, un gruppo di hacker svuota gli hard disk di tutti i computer della Sony Picture e mette in rete le email e i documenti della società. E’ il più grande attacco informatico punitivo a una società privata della storia. Qualche giorno prima, però, il gruppo di hacker manda un’email ai funzionari Sony in cui chiede quattrini e minaccia ritorsioni, ma non fa menzione del film “The Interview”. Dopo l’attacco informatico, i Guardiani della Pace cominciano a riferirsi esplicitamente alla pellicola incriminata. Dai leak diffusi si viene a sapere che Kazuo Hirai, ceo della Sony giapponese, durante l’estate chiede ai produttori del film di evitare di mostrare la testa rotolante di Kim Jong-un nel film. Kaz è giapponese, e conosce la necessità di proteggere la dignità del leader ma soprattutto la vendicatività della Corea del nord. Secondo altri leak Michael Lynton, ceo di Sony Entertainment, durante la produzione si scambia qualche email con l’assistente del segretario di stato per l’Asia e Pacifico, Daniel Russel. Lynton è preoccupato “per la sicurezza degli americani” dopo la distribuzione del film, e Russel lo tranquillizza: tanto i nordcoreani fanno come gli pare, sempre. Che il film si faccia o che non si faccia. Un bel pasticcio.
Ieri in rete compare un altro messaggio dei Guardiani della Pace: ovunque venga proiettato il film, noi colpiremo. Ricordatevi l’11 settembre. A questo punto la Sony lascia decidere le catene di distribuzione, i singoli cinema se proiettare o meno il film. L’Fbi prima dice che non c’è una minaccia reale esistente, ma poi le pressioni si fanno sostenute e la Sony decide di ritirare definitivamente “The Interview” (alcuni cinema proiettano “Team America” al posto del film di James Franco). Un’altra produzione sulla Corea del nord basata sulla graphic-novel “Pyongyang” viene annullata.
Il repubblicano Newt Gingrich dice: l’America ha appena perso la sua prima cyberguerra. Il ministro nordcoreano della Cultura dice: gli studios reazionari di Giappone e Usa ci rispettino, o affronteranno la distruzione.
Culture and Film Minister Roh Nam-Hon warns reactionary film studios of Japan and U.S. to increase respect for DPRK, or face obliteration.
— DPRK News Service (@DPRK_News) 18 Dicembre 2014
Nella notte Washington parla con il New York Times e fa sapere al mondo: sappiamo che c’è la Corea del nord dietro l’attacco informatico alla Sony. Eppure gli elementi per affermarlo con certezza sono ancora troppo pochi, e anzi, alcuni dettagli dimostrerebbero il contrario. Fino a prova contraria, qui Mashable spiega bene cosa c’è che non va nelle accuse di Washington.
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