Un manifestante viene fatto allontanare dalla polizia russa per aver tentato di accedere alla sala conferenze per porre domande a Putin durante il suo discorso di fine anno(foto AP)

Vita da regime

In due anni la ripresa, dice Putin. La metafora dei porcellini

Anna Zafesova

Il portavoce del Cremlino Dmitri Peskov afferma che Vladimir Putin ha tagliato la sua conferenza stampa annuale perché le domande erano “troppo prevedibili”.

Milano. Il portavoce del Cremlino Dmitri Peskov afferma che Vladimir Putin ha tagliato la sua conferenza stampa annuale – poco più di tre ore invece delle solite quattro abbondanti – perché le domande erano “troppo prevedibili”. Alla decima edizione dell’evento mediatico ormai tradizionale i giornalisti, anche dei media leali al Cremlino, sono stati cattivi come mai prima. Hanno interrogato il presidente sugli stipendi troppo alti dei suoi amici-manager, sul “prezzo della Crimea”, sulle sue responsabilità nella crisi economica, sulle sue accuse alla “quinta colonna” dell’opposizione, su quanti soldati russi ha mandato in Ucraina, su Mikhail Khodorkovsky e sulle violazioni dei diritti umani in Cecenia. Prevedibili semmai le risposte: l’azione del governo nel fronteggiare la crisi del rublo è stata “corretta”, la Russia tornerà a crescere insieme al prezzo del petrolio “inevitabilmente”, i problemi economici sono generati da “tendenze globali” e l’occidente resta un nemico che “ci critica per qualunque cosa facciamo”.

 

Alla Russia in preda al panico da rublo,  il presidente comunica che “la ripresa arriverà, nel peggiore dei casi, in due anni” e sarà frutto della ripresa mondiale che tornerà a domandare energia, “dove volete che vadano a comprarla”. La speranza resta il barile, anche se Putin afferma che “il prezzo per noi è indifferente” e promette una “diversificazione dell’economia” grazie al fatto che investire nel petrolio sarà meno conveniente. Le riserve della Banca centrale “non saranno bruciate” e gli speculatori “russi ed esteri” messi sotto controllo, come l’ignoto manager di una società russa al quale il presidente racconta di aver telefonato per fargli tirare fuori dalle riserve 3 miliardi di dollari.

 

E’ come sempre sulla politica estera che i toni di Putin acquistano passione e le metafore colore, dopo l’introduzione sull’economia recitata senza troppa convinzione e interrotta da troppi colpi di tosse. Mentre l’ex presidente del Consiglio italiano, Romano Prodi, era ieri a Mosca a pranzo con il ministro degli Esteri, Sergei Lavrov, e poi incontrava Putin, rigorosamente a porte chiuse, all’interno del nuovo slancio diplomatico seguìto alle gravi incertezze economiche di questi giorni (molte telefonate con francesi e tedeschi, il premier Renzi esclude nuove sanzioni), il capo del Cremlino ribadiva la sua linea. La Russia “non è aggressiva, sta solo difendendo i suoi interessi”, è “un orso che non verrà mai lasciato in pace, nemmeno se smettesse di cacciare i porcellini per la taiga”. Senza precisare chi sono i “porcellini”, Putin sviluppa la teoria zoologica: l’occidente vuole “mettere l’orsetto alla catena, strappargli i denti e gli artigli e poi impagliarlo”, ma la deterrenza nucleare lo impedisce. Tra le mire dei nemici esterni, la Siberia paragonata al “Texas tolto al Messico”, e l’Ucraina dove l’ingerenza occidentale ha prodotto “un golpe”, mentre gli Stati Uniti espandono la loro presenza militare in tutto il mondo: “Noi abbiamo solo due basi all’estero, chi sono gli aggressivi?”. Alla domanda del giornalista ucraino che indossa una t-shirt con scritte ironiche sui pregiudizi anti Kiev dei russi Putin replica che in Ucraina non ci sono militari russi, “solo volontari che  sono andati per un richiamo del cuore”, ma auspica anche il rispetto della tregua di Minsk e apre al presidente ucraino, Petro Poroshenko: “Vorrebbe un accordo, ma non decide da solo”.

 

[**Video_box_2**]Il presidente nega l’ipotesi di un colpo di palazzo da parte di un’élite scontenta: “Non abbiamo palazzi, l’élite russa sono i lavoratori, i contadini, siamo tutti uguali”. Ma i segnali di uno scontro tra i “liberali” e i “falchi” sono numerosi. La major petrolifera statale Rosneft, guidata da Igor Sechin, uno degli uomini più vicini al presidente, è sospettata di aver diffuso un documento che inneggia all’autarchia e alle ritorsioni economiche contro gli occidentali. Putin scansa la domanda sul superstipendio di Sechin: “Non so nemmeno quanto guadagno io, mi portano lo stipendio e io lo metto via”. Il ministro dello Sviluppo economico Alexey Ulyukaev intanto si fa intervistare da Vedomosti ed è esplicito come un dimissionario: “La crisi è una tempesta perfetta che abbiamo preparato con le nostre mani”. Anzi, le crisi sono tre: le mancate riforme, la caduta della domanda del petrolio e lo scontro con l’occidente: “Le sanzioni possono durare decenni, non abbiamo un piano strategico, senza cambiare la posizione sulla scacchiera non faremo che scivolare giù”, ed è la prima volta che un alto funzionario ammette esplicitamente che le radici della crisi sono politiche. E a chi dal Cremlino critica il ministero per aver prodotto “un’accozzaglia di numeri” il ministro replica: “Fino a che le vostre leggi saranno un’accozzaglia di lettere non avrò altri numeri”.

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