Tra le difficoltà per petrolio e sanzioni, in Russia rinasce il senso dello stato
Fare la guerra convenzionale appare impossibile, e all’occidente non resta che la Uw (unconventional warfare), come la definisce il Pentagono, vale a dire la guerra non convenzionale. Ne fanno parte certe misure economiche, che costituiscono una delle premesse principali per rovesciare Vladimir Putin.
Secondo gli osservatori russi, persino le menti più pigre capiscono ormai che la Russia non cambierà la sua politica estera tanto invisa alle capitali nordamericane ed europee. Fare la guerra convenzionale appare impossibile, e all’occidente non resta che la Uw (unconventional warfare), come la definisce il Pentagono, vale a dire la guerra non convenzionale. Ne fanno parte certe misure economiche, che costituiscono una delle premesse principali per rovesciare Vladimir Putin. Le sanzioni indubbiamente recano danno alla Russia. Danneggiano anche chi le ha introdotte. Ai russi sembra stravagante il modo di agire dei politici occidentali: alcune loro dichiarazioni assomigliano a un giuramento per privare i loro cittadini di posti di lavoro fino a che gli Stati Uniti e l’Europa non avranno rovinato l’economia russa. L’occidente ce la farà? In Russia almeno per il momento pochi ci credono. Anzi, si parla continuamente della svolta economica richiesta da anni, mai fatta e finalmente resa inevitabile grazie a Dio e alle sanzioni occidentali. Economisti e analisti non si stancano di ripetere il vecchio proverbio russo: “Il mugik non fa il segno della croce finché non tuona”. Il tuono delle sanzioni è assordante, ma gli uni dicono “ben vengano!”, gli altri – sono in maggioranza – preferirebbero farne a meno, e tutti in coro gridano “sveglia!”. Anche perché c’è da affrontare un pericolo più grave delle sanzioni, vale a dire le insidie della perdita del valore della valuta nazionale – il rublo – nei confronti del dollaro e dell’euro.
Circa la metà del budget russo proviene dalla vendita di idrocarburi, e il prezzo del petrolio è in discesa rapida. Non è che gli introiti dello stato siano particolarmente minacciati. Il ricavato della massiccia esportazione di petrolio, venduto in carodollari, riempie il budget nazionale che si forma in rubli. Per giunta il debito pubblico russo è minimo, le riserve monetarie ammontano a 416 miliardi di dollari, e anche le imprese statali e private, attesta il presidente dell’Unione degli imprenditori Aleksandr Shokhin, hanno mezzi per coprire i loro debiti esteri. Più che altro l’imprenditoria russa appare preoccupata per l’estrema insicurezza del cambio rublo-dollaro, rublo-euro. Il rublo, evidentemente sottovalutato, ha raggiunto il fondo e comincerà a risalire o si deve aspettare un tonfo di turno? In assenza di stabilità monetaria, l’attività imprenditoriale s’indebolisce e ristagna. Il pil nel 2014 si aggira intorno al +0,5 per cento. Per la prima volta dal 2000 la crescita media dell’Eurozona, pur debole (0,8 per cento), lascia la Russia dietro le spalle. Peggio ancora: la svalutazione genera un effetto particolarmente negativo sfociando nell’inflazione e allarmando gli strati meno abbienti. Secondo le previsioni del ministero dell’Economia, l’inflazione alla fine del 2014 raggiungerà il 9 per cento e proseguirà a crescere nella prima metà dell’anno a venire. L’opposizione filo occidentale dichiara ad alta voce che si assiste all’inizio della fine dell’epoca putiniana. Il rating di Putin alle stelle? Boris Nadezhdin, uno dei leader dei liberali, ricorda nel corso di un talk-show politico quanto spesso i cambiamenti più radicali avvengano in Russia quando meno erano attesi. I sostenitori di Putin ribattono che la recessione non ha portato a una tensione sociale, e il governo intende aumentare regolarmente le pensioni, gli stipendi e i salari, come ha fatto finora.
[**Video_box_2**]Nel frattempo si assiste a un fenomeno destinato, secondo non pochi analisti, a giocare un ruolo di primo piano. Si tratta della rinascita del senso dello stato, che è da sempre una caratteristica del popolo russo affievolita ai tempi dello sfascio dell’Urss e del caos eltsiniano, ma mai scomparsa del tutto. La grande maggioranza dei russi è convinta che la politica attuale nei confronti dell’Ucraina sia giusta. I controargomenti sono ben noti in Russia: a parte i liberali di Mosca, li espongono rappresentanti occidentali nei canali tv russi più importanti. Ma quando il direttore dell’Ufficio della Nato a Mosca, Robert Pszczel, ospite frequente del primo canale tv Rossia Uno, fa appello ai telespettatori perché prendano in considerazione l’isolamento del loro paese, pochi gli credono: l’occidente non è tutto il mondo, e anche nei paesi occidentali è evidente una forte presenza di chi considera sbagliata la politica di Washington e Bruxelles nei confronti di Mosca. Ai russi l’argomentazione occidentale pare poco persuasiva, anzi cinica. Il più grave fatto molto discusso nei dibattiti di Mosca: il quasi completo silenzio del mainstream occidentale sullo sterminio con colpi di artiglieria di Kiev di 4.634 civili nel Donbass. A cui vanno aggiunti più di 10 mila feriti per non parlare di centinaia di migliaia di profughi trasferitisi per lo più in Russia. E’ assai eloquente che i moscoviti fossero per anni i meno putiniani del paese, ma dopo il recente scontro attorno all’Ucraina Putin raccoglie nella capitale più consenso che altrove. Gli abitanti di Mosca hanno un maggiore contatto con l’occidente e lo conoscono forse meglio degli altri. Bisogna constatare che gli Stati Uniti, la Nato e l’Ue hanno in Russia quasi perso l’autorevolezza. Ciò non toglie le difficoltà economiche attuali e poca chiarezza sulle vie di uscita. In linea di massima tutti riconoscono l’inevitabilità di puntare sul mercato interno, incoraggiare piccole e medie industrie e, senza arrivare allo strappo con i paesi occidentali, accentuare la direzione asiatica. La Russia, dicono gli ottimisti, dispone del 20 per cento delle risorse naturali del mondo, di intellighenzia tecnica ben preparata e operai qualificati. Dovrà cavarsela. Il problema tuttavia è serio: l’apparato di stato sarà in grado di garantire la realizzazione della nuova politica economica? E come renderlo più adatto al difficile compito di favorire o almeno non ostacolare l’imprenditoria russa?
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