Vita da regime
Washington accusa Pyongyang, ma cede alle sue condizioni
L’intelligence americana ha determinato che la Corea del nord è responsabile del devastante attacco cibernetico alla Sony del gruppo “Guardians of Peace”, ritorsione contro la commedia “The Interview” con Seth Rogen e James Franco.
Roma. L’intelligence americana ha determinato che la Corea del nord è responsabile del devastante attacco cibernetico alla Sony del gruppo “Guardians of Peace”, ritorsione contro la commedia “The Interview” con Seth Rogen e James Franco. Per il momento alcuni funzionari del governo hanno confermato in forma anonima la notizia al New York Times e altri media, e la Casa Bianca sta valutando un annuncio ufficiale, che potrebbe essere imminente. Un portavoce del Consiglio per la sicurezza nazionale ha detto che “il governo sta considerando una serie di opzioni in risposta” all’attacco nordcoreano. Mercoledì sera il grandioso saccheggio dei server di una compagnia privata – un mare di dati rubato e riversato in rete, con danni economici, di sicurezza e gli imbarazzi che ne conseguono – ha preso le sembianze di una crisi internazionale.
Quando dai furti gli hacker sono passati alle minacce (“il mondo sarà pieno di terrore” è comparso sugli schermi degli impiegati della Sony, assieme a inquietanti riferimenti all’11 settembre) la Sony ha cancellato l’uscita del film nelle sale americane, previsto per il giorno di Natale, e una diffusione posticipata “non è in programma”. In quel momento la Casa Bianca ha deciso di mandare un segnale, accusando il regime di Pyongyang. I coreani negano di essere i responsabili dell’attacco informatico, ma un portavoce ammette che “potrebbe essere la giusta azione di supporter e simpatizzanti della Repubblica democratica di Corea”, che aveva chiesto il ritiro del film, giudicato un “atto di guerra”. Una trama in cui due giornalisti assoldati della Cia complottano per assassinare il tiranno Kim Jong-un, che alla fine viene ucciso e la sua testa esplode in un tripudio di dittatoriali lapilli, non è esattamente la più apprezzata dai critici cinematografici nordcoreani. Le mail rubate mostrano anche che il controverso finale era stato sottoposto a diversi funzionari del dipartimento di stato, i quali non avevano sollevato particolari obiezioni. I capi della Sony in America avevano intuito il potenziale dramma diplomatico e per mesi hanno cercato di far cambiare idea a Rogen; anche il ceo della Sony in Giappone, Kazuo Hirai, è intervenuto personalmente ottenendo dal regista una piccola variazione del finale: nell’ultima versione, la testa di Kim Jong-un non esplode, limitandosi a bruciare. Non abbastanza per i minacciosi hacker che la Casa Bianca riconduce direttamente a Pyongyang. Così la Sony ha deciso di cedere.
[**Video_box_2**]La decisione ha suscitato reazioni furibonde a Washington. Il senatore John McCain dice che la decisione di Sony “nasce dall’incapacità della Casa Bianca di affrontare adeguatamente le armi cibernetiche usate dai nostri nemici” e per l’ex speaker della Camera Newt Gingrich è “la prima guerra cibernetica che l’America perde”. L’intellettuale neoconservatore Bill Kristol dice che “la resa alla Corea del nord è un momento storico, molto più significativo dell’annuncio di Obama su Cuba”. Nel 1940, ricorda Kristol, milioni di americani sono andati al cinema a vedere “Il grande dittatore” di Charlie Chaplin, film che sbeffeggiava il più potente dittatore del mondo. “Nel 2014 una casa di produzione cancella la diffusione di un film per le minacce terroristiche di un piccolo dittatore, benché totalitario e malvagio, che governa una nazione debole e decrepita”. Il giurista Alan Dershowitz ha usato un’analogia storica se possibile ancora più dura: “E’ la Pearl Harbor del Primo emendamento”. Le manovre – per ora ufficiose – della Casa Bianca sembrano aggravare lo scenario. Accusare direttamente la Corea del nord dell’attacco carica la decisione di Sony di un significato politico: non è soltanto un’azienda che decide di non commercializzare un prodotto per cautelarsi dopo una pesante serie di minacce, è la più grande democrazia del mondo, edificata sulla libertà di espressione, che accetta le condizioni imposte dal tiranno più paranoico del mondo. Il tutto nello stesso giorno in cui Obama ha teso la mano a Cuba, normalizzando le relazioni diplomatiche con uno scambio di prigionieri ma senza incassare alcun impegno di riforma da parte del regime castrista. I repubblicani erano già furiosi per il “pericoloso precedente” quando è arrivata la notizia del ritiro di “The Interview”, che certo la Sony non avrà preso senza consultare l’Amministrazione. Il New York Post, tabloid conservatore, ha avuto gioco facile a mettere in copertina il parallelo: sopra un Obama in versione Fidel, con cappello e sigaro; sotto il sorriso raggelante del dittatore nordcoreano. Titolo: Kim Jong Won. Per molti americani la commedia ritirata dal commercio è un pericoloso caso di autocensura, una concessione alla paura, una capitolazione della libertà.
Il Foglio sportivo - in corpore sano