Click, Ave, gloria
Il Rosario con un click, perché no. D’altronde, basta scaricarsi una bella app – di regola gratuita – sul proprio smartphone, e la coroncina la si può lasciare nel cassetto del comodino della nonna. L’app, in qualche caso, tiene pure il conto delle avemaria e dei paternoster.
Il Rosario con un click, perché no. D’altronde, basta scaricarsi una bella app – di regola gratuita – sul proprio smartphone, e la coroncina la si può lasciare nel cassetto del comodino della nonna. L’app, in qualche caso, tiene pure il conto delle avemaria e dei paternoster, rinfrescando la sbiadita memoria sui misteri – gaudiosi, luminosi, dolorosi e gloriosi – del giorno. C’è persino un sito che t’aiuta a “imparare e recitare il Santo Rosario”. Talmente avanzato, il sistema, che si può scegliere perfino “fra tre tipi di Rosario online”. In tempo reale, poi, si sa quanti sono quelli che stanno pregando con te, lì collegati sul sito. Beata è la modernità, direbbe qualcuno, che ti permette di lodare il Signore standotene comodamente seduto in poltrona, senza uscire di casa ed entrare in qualche chiesa magari con il riscaldamento spento e – almeno nel caso delle grandi città – invasa da orde di turisti in calzoncini corti e macchine fotografiche e bandierine multicolor che usano i banchi lignei per riposarsi dopo le stressanti camminate impietosamente imposte dalle guide. Ne sa qualcosa lo storico custode della chiesa del Gesù a Roma, la cui occupazione più frequente è ormai quella di richiamare all’ordine e al rispetto della sacralità del luogo professoresse con microfono che descrivono in ogni più superfluo dettaglio il “Trionfo” del Baciccio e pellegrini che ridacchiano davanti all’altare cubico, mentre qualcuno desidererebbe raccogliersi in preghiera nella Cappella del Sacro Cuore. Ecco allora che la casa, la propria, diventa il rifugio ultimo, dove pregare in solitudine per qualche minuto. Altre soluzioni, a meno di vagare con la mente verso eremi lontani, non ce ne sono, specie se si pensa che la chiesa delle chiese, la Basilica vaticana, quella costruita sulla tomba di Pietro sormontata dal baldacchino del Bernini, è la dimostrazione perfetta di quanto difficile sia oggi sostare silenziosamente in preghiera in un edificio sacro, grande o piccolo che sia.
A San Pietro (ma anche in quel gran museo che è ormai la cattedrale parigina di Notre Dame, tanto per fare un nome a caso, piena di teche con souvenir a prezzo ben poco modico, opuscoli plurilingue e articoli simil religiosi) è costante quel mormorio concitato di chi resta stupefatto alzando lo sguardo al Cupolone, alle volte, alla Confessione e a ogni bellezza lì presente. E poi la gente che cammina e che fotografa, i cellulari non spenti che trillano tra suonerie classiche e originali che spesso imbarazzano perfino il proprietario del telefono. Pregare, insomma, non si può. Certo, basterebbe andare alla scoperta di quanto accade nella basilica di buonora, ogni mattina alle sette, ai rintocchi dell’Ave Maria, ora in cui le candele si accendono l’una dopo l’altra nella miriade di cappelle che costellano le navate e i sacerdoti escono dalla sacrestia, ognuno con il chierichetto del Seminario San Pio X fondato da Papa Pacelli, pronti per celebrare la prima messa del giorno nuovo, come da obbligo stabilito nel 1542 dal vescovo veronese Gian Matteo Giberti, che così decise “per favorire maggiormanete la devozione della gente comune e perché quelli che son ferventi crescano di virtù in virtù”. Norma poi estesa a tutta la chiesa dal Concilio di Trento, come ha ben raccontato ne “La tomba e la sua memoria” (Libreria Editrice Vaticana) monsignor Marco Agostini, officiale della segreteria di stato e cerimoniere pontificio. La basilica a quell’ora è ancora vuota, non ci sono i pellegrini e il silenzio domina sovrano. E’ quello l’unico momento in cui la gigantesca chiesa torna alla sua primaria funzione, essere casa di Dio e tempio per l’orazione. E’ quasi un incantesimo, che essendo tale, dura poco. Basta un’ora, forse due, e già il vociare riempie il monumentale invaso dell’edificio cinquecentesco. E se non è possibile trovare riparo neppure nelle chiese, allora tanti si danno al fai-da-te. Internet è la manna, offre di tutto e di più sul tema. Basta saper navigare tra le offerte più disparate.
C’è perfino la pagina facebook di chi vuole pregare. Si chiama Mayfeelings, dove May sta per maggio, il mese mariano dedicato al Rosario. Nato inizialmente come semplice esperimento nel 2012, il social network ha avuto un successo forse insperato, tant’è che poi è stato perfino rinnovato nella grafica per renderlo più appetibile al distratto cultore della rete. Il funzionamento è semplice: si crea il proprio profilo, si aggiungono gli amici e si prega insieme. C’è lo spazio per depositare nero su bianco le proprie intenzioni, si chiede l’intercessione di Dio per qualcuno che ha condiviso su Mayfeelings il momento difficile che, per qualche motivo, sta passando. Il tutto in duecentocinquantanove caratteri, qualcosa di più rispetto a quelli disponibili su Twitter. Per recuperare le preghiere a suo tempo inviate, c’è un comodo campo ricerca: nulla viene dimenticato. Presupposto fondamentale all’origine dell’invenzione è la necessità di condividere qualcosa, di porre rimedio al paradosso d’un mondo sempre più interconnesso ma in cui tanta gente, troppa, si sente sola e isolata, sconnessa dal mondo reale. Dopo quindici giorni dal lancio del portale, gli iscritti erano già quindicimila. Per gli sbadati c’è il link “pregare”, che ricorda la funzione principale del social, casomai qualcuno capitasse lì per cercare altro. Si sente, insomma, l’esigenza di elevare suppliche all’Altissimo, meglio se in compagnia. In Italia, dal 2008 è attivo il gruppo Anima Christi: prima organizzava incontri di preghiera su Skype, dopo ha trasformato il forum in blog e si serve di un programma ad hoc che consente di pregare in collegamento audio simultaneo. Nobile è lo scopo: “Questo tipo di iniziativa ha permesso e permette a chi ha, per motivi di salute, limiti di movimento, di pregare in una comunità nella quale si creano rapporti di vera amicizia fraterna”. Una necessità, quella di pregare, che oggi, per la frenesia dei ritmi di vita e lavoro quotidiani, per le più varie distrazioni che si hanno sotto gli occhi, spesso viene inserita nella virtuale lista delle cose da fare appena possibile e che poi diventano riti da celebrare stancamente un paio di volte all’anno, come la messa della notte di Natale post cenone o come quella di Pasqua prima di accomodarsi a tavola a gustare l’agnello.
Il Papa Francesco l’ha capito subito, lui che callejero per decenni ha girato la grande Buenos Aires a piedi o in metropolitana, in compagnia del suo breviario e dell’immancabile mate. Guardava le folle che s’accalcavano sulle banchine, aspettando il treno per tornare a casa o andare in ufficio. Notava chi buttava l’occhio sui portali delle chiese, magari tentato d’entrarvi per un attimo, ma che poi subito proseguiva dritto, spedito verso la meta. Così all’Angelus, di tanto in tanto, Bergoglio oggi che è Papa, regala “sorprese” ai pellegrini lì convenuti. Fa apparecchiare tavoli in piazza su cui sono accatastate scatole di misericordina e pile di libretti rigorosamente tascabili: dai Vangeli alla Bibbia, fino alla raccolta di preghiere “per i vari momenti della giornata e per le diverse situazioni della vita” consegnata nella terza domenica d’Avvento, la “Gaudete”, quella che la chiesa dedica alla gioia. “Portatelo sempre con voi – ha detto affacciato dalla finestra dello studio nel Palazzo apostolico domenica scorsa – come aiuto a vivere tutta la giornata uniti a Dio”. Quando ad aprile consegnò il Vangelo raccomandò di leggerlo ogni giorno, magari solo una pagina sul bus o in pausa pranzo, meglio se con tutta la famiglia. E’ facile e non costa nulla, aggiunse, tanto che “oggi si può leggere il Vangelo anche con gli strumenti tecnologici. Si può portare con sé la Bibbia intera in un telefonino, in un tablet”.
Dopotutto, “l’importante è leggere la Parola di Dio, con tutti i mezzi, e accoglierla con cuore aperto”. Così facendo, “il buon seme porta frutto”. Da quel dì, è stato boom di vendite non solo di Bibbie e Vangeli in piccolo formato nelle librerie, ma anche di applicazioni da smartphone, tablet, computer. I gesuiti, d’altra parte, di cose del genere se ne intendono, al punto da fondare e curare Spazio sacro, portale web dove “dedicare dieci minuti alla preghiera qui e ora, mentre stai al computer, con l’aiuto della guida online e i brani della scrittura scelti appositamente ogni giorno”. E sempre loro, i soldati d’Ignazio in prima linea nell’evangelizzazione a ogni latitudine del globo, sono stati i primi a dare visibilità e risalto alla nuova piattaforma digitale Click to pray, clicca per pregare. Predisposta per dispositivi diversi e in diversi formati (applicazioni mobili, consultazione online o in e-mail), offre una “proposta di preghiera quotidiana” disponibile in tre diversi momenti della giornata. A lanciarla è stato lo scorso novembre l’Apostolato della preghiera, facendo seguito all’intenzione mensile di Papa Francesco. L’iniziativa, hanno spiegato gli ideatori, “renderà più consapevoli del ponte tra due modi diversi di preghiera, quello tipico della vita di un ordine religioso chiuso in spazi che favoriscono molto la preghiera e il silenzio, e quello che si svolge all’aperto con i ritmi della vita quotidiana”. Dando un’occhiata ai numeri e alla mappa su cui sono appuntate tutte le comunità sorte, pare funzionare, espandendosi a macchia d’olio sul vecchio e secolarizzato continente europeo che arriva, si pensi alla Vandea, a vietare l’allestimento dei presepi negli spazi pubblici, perché colpevoli – con le statuine e il muschio, magari sintetico – di rappresentare un simbolo religioso dove di simboli religiosi non dovrebbe esserci traccia.
[**Video_box_2**]Che il bisogno della condivisione sia forte lo si è appurato anche durante il recente Sinodo straordinario sulla famiglia. Il giorno prima della solenne apertura, lo scorso 4 ottobre, per la veglia di preghiera indetta dalla Cei era stato creato l’hashtag – parola o serie di parole precedute dal cosiddetto cancelletto (#) che veicolano messaggi afferenti allo stesso tema sulle piattaforme sociali – #pregaconpapafrancesco. Per chi poi non si ricordasse bene come si fa, esistono speciali corsi da scaricare in formato zip. E’ sufficiente collegarsi al sito Preghiere online e chiunque può leggere e studiare le lezioni della scuola di preghiera. Il menù è ricco, dall’orazione vocale all’orazione mentale, dalla preghiera del cuore alla contemplazione. E poi la preghiera di intercessione, quella di guarigione, di liberazione, di lode e ringraziamento. Qui c’è tutto per la più completa autogestione orante.
Ma isolarsi e ritirarsi in solitaria preghiera comporta anche rischi gravi, come il pensare che non serva andare a messa e che tutto sommato si può pure fare da soli, a casa. Anche confessarsi e, ça va sans dire, autoassolversi. C’è l’Atto di dolore, servirà pure a qualcosa, s’è sentita rispondere una suora a un corso di catechesi per adulti. E se uno ha un libretto in mano, magari sul comodino, può convincersi che non servono mediatori, che basta leggere e sottolineare la Parola di Dio per essere buoni cristiani e rispettare il decalogo. E’ il pericolo di convincersi che la chiesa è inutile e che l’uomo può instaurare un rapporto diretto con l’Altissimo, senza sacerdoti a predicare sui sacramenti e a sciorinare – più o meno superficialmente – pillole di buona e sana dottrina. Tentazioni su cui Francesco ha messo in guardia più d’una volta: “A volte capita di sentire qualcuno che sostiene di confessarsi direttamente con Dio… Sì, Dio ti ascolta sempre, ma nel sacramento della Riconciliazione manda un fratello a portarti il perdono, la sicurezza del perdono, a nome della Chiesa”. E ancora, “puoi dire ‘Dio perdonami’ e dire i tuoi peccati, ma i nostri peccati sono anche contro i fratelli, contro la Chiesa, e per questo è necessario chiedere perdono alla Chiesa e ai fratelli nella persona del sacerdote”.
Bene internet, insomma, ma non fino al punto da pensare che si possa trasformare la confessione da sacramento a fredda conversazione tramite posta elettronica: “Alcuni – diceva ancora il Papa – dicono ‘io mi confesso con Dio. Ma è facile, è come confessarti per e-mail, no? Dio è là lontano, io dico le cose e non c’è un faccia a faccia. Paolo confessa la sua debolezza ai fratelli faccia a faccia. Altri dicono ‘io vado a confessarmi’ ma confessano cose eteree, nell’aria, che non hanno nessuna concretezza. E quello è lo stesso che non farlo. Confessare i nostri peccati non è andare a una seduta di psichiatria, neppure andare in una sala di tortura: è dire al Signore ‘sono peccatore’, ma dirlo tramite il fratello” e anche avere ‘una sincera capacità di vergognarsi dei propri sbagli’”.
Che il confine tra rete e realtà sia sottile, confermando tutte le paure espresse a più riprese dal Pontefice, lo dimostra il caso che tempo fa coinvolse il servizio Preti online, nato alla fine degli anni Novanta “per dare a chiunque la possibilità di mettersi in contatto con un prete”, visto che “forse molti hanno il desiderio di parlare con un sacerdote, per i motivi più diversi, ma non sempre ne hanno la disponibilità”. Qualcuno, iniziando a chattare con questi sacerdoti, pensava di essersi confessato ed essere stato assolto, tanto da rallegrarsi pubblicamente: mai stato così facile, un click ed è fatta. E’ stato necessario, sempre online, che i preti rettificassero: “Il penitente deve accusare i peccati, in presenza fisica, davanti al sacerdote, perché innanzitutto dà lode a Dio per la sua misericordia e il sacerdote, rappresentando la comunità cristiana, sancisce sacramentalmente la riconciliazione con Dio e con la Chiesa. E’ impossibile usufruire per il sacramento di qualsiasi mezzo di comunicazione: posta, telefono, radio, e-mail, messaggistica istantanea”. Insomma, la fila davanti al confessionale bisogna farla, così come sarebbe opportuno andare a messa la domenica non come “un momento di festa, una tradizione consolidata, un’occasione per ritrovarsi o per sentirsi a posto”, diceva qualche tempo fa il Papa durante un’udienza generale in piazza San Pietro, bensì come “incontro con Gesù che fa sentire fratelli quanti partecipano alla celebrazione, fa sentirsi perdonati e pronti a perdonare e fa coerenza tra liturgia e vita”.
Il Foglio sportivo - in corpore sano