Vladimir Putin

Il nuovo potere di Mosca non reggerà senza riforme economiche

Edoardo Narduzzi

L’incoronazione definitiva è arrivata per mano dell’americanissima rivista Forbes. Vladimir Putin è l’umano più potente del pianeta, più dello stesso Barack Obama premio Nobel, primo presidente di colore della storia ed eletto due volte alla Casa Bianca.

L’incoronazione definitiva è arrivata per mano dell’americanissima rivista Forbes. Vladimir Putin è l’umano più potente del pianeta, più dello stesso Barack Obama premio Nobel, primo presidente di colore della storia ed eletto due volte alla Casa Bianca. Lo Zar, già colonnello del Kgb, dopo aver risollevato la Russia dall’inferno dove l’aveva condotta Boris Eltsin, fino all’umiliazione del default nel 1998, è ora pronto a lanciare la “fase 3” della sua lunga stagione al potere. Forse la più difficile, perché deve offrire al paese un modello di sviluppo che separi la sua economia dall’andamento del prezzo delle materie prime. Affrancare la Russia dai pericoli di una malattia olandese, quella che spinge i paesi ricchi di petrolio e gas ad accrescere lo sfruttamento delle loro risorse naturali lasciando declinare il settore manifatturiero, è la sfida che oggi ha davanti il presidente russo. Una partita perfino più difficile di quella giocata nell’immediato dopo Eltsin nei confronti dello strapotere degli oligarchi spuntati come funghi in quello strano terreno formatosi con il crollo dell’Unione sovietica e l’avvio delle prime riforme economiche. E una sfida non meno facile di quella che, passo dopo passo, ha permesso a Putin di rifondare lo stato federale mettendolo al riparo dalle spinte centrifughe dei suoi vari territori. Si tratta piuttosto di fare della Russia un Bric a tutto tondo, provando a imitare quanto la Cina riesce a fare da oltre 20 anni.

 

Negli ambienti moscoviti da mesi si attende il cambio di passo di Putin, il suo là al cambiamento finalizzato a riequilibrare la composizione stessa del pil russo. Oggi solo il 21 per cento della ricchezza annua è prodotta dalle piccole e medie imprese, meno del quasi 25 per cento generato dal settore energetico (che pesa per il 65 per cento sulle esportazioni annue). Ma è proprio questo strapotere delle materie prime il gene che non permette all’economia russa di liberare gli spiriti animali e di incamminarsi su una traiettoria di crescita “alla cinese”. Nell’ultimo decennio il pil di Mosca è cresciuto in media solo dell’1,05 per cento, un’inezia rispetto a Pechino e un valore che mostrerebbe una decrescita del comparto dei beni non esportabili e del manifatturiero se analizzato al netto del contributo del petrolio e del gas. Nei primi due trimestri del 2013, poi, il pil russo è stato negativo, e la statistica parla di un misero più 1,2 di crescita nell’ultimo anno.

 

Insomma, se Putin ha una visione di lungo periodo per l’economia russa, i tempi sono più che maturi per metterla in atto. Soprattutto ora che la tenuta dell’euro non è più in discussione e la germanizzazione della moneta unica è un dato acquisito. La Germania infatti è il partner tecnologico con il quale Mosca può costruire una strategia che prolunghi l’Europa verso la Cina e l’Asia. Inoltre, la recente approvazione di una sorta di Unione europea tra le ex repubbliche sovietiche (solo Ucraina e Moldova non hanno firmato) offre a Putin una zona di libero scambio che racchiude tutte le riserve energetiche e minerarie dell’ex Urss e uno strumento negoziale forte verso Pechino.

 

A questo punto serve un passaggio politico che sancisca l’avvio della fase delle riforme economiche. Aiuta sicuramente l’arrivo al vertice del governo di un personaggio del calibro di Alexei Kudrin, ministro delle Finanze per undici anni, tornato a insegnare Economia a San Pietroburgo ma sempre in stretti rapporti con Putin. E’ il tecnocrate che piace ai mercati internazionali e che può giocarsi senza timore la partita riformista, conoscendo bene la macchina statale. In squadra troverebbe già Sergei Glazyev, consigliere economico di Putin dal 2012 e già suo sfidante alle presidenziali del 2004, pronto a sostenere le sue riforme da economista di sinistra, visto che è stato un deputato alla Duma del Partito comunista. Terza pedina chiave della squadra riformista è la neo governatrice della Banca di Russia, Elvira Nabiullina.

 

Giocare da protagonisti la partita in Siria o in Asia comporta anche questo per Putin: garantire una ricchezza da fonti diversificate alla potenza militare russa.

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