Congiura a Damasco
Il Wsj scrive che Assad ha ucciso con un finto “attentato dei ribelli” metà del suo consiglio di guerra: era il 18 luglio 2012 e una bomba scoppiava dentro una stanza dell’ufficio di sicurezza nazionale.
Roma. Sabato il Wall Street Journal ha pubblicato un pezzo sorprendente, che getta una luce nuova su un attentato ai vertici del potere di Damasco nel luglio 2012. Lo scrive Sam Dagher, corrispondente del giornale in medio oriente che ha passato più tempo degli altri reporter nella capitale siriana in guerra, che da agosto però è tenuto fuori dal paese (senza visto) e ora si può concedere più libertà d’inchiesta sul regime di quanto non potesse fare prima.
Dagher ha messo assieme fonti diverse su un’esplosione nell’estate del 2012 che uccise in un colpo solo una metà del consiglio di guerra che si raccoglie attorno al presidente Bashar el Assad e che fu un punto di svolta nella storia della guerra civile. Prima un po’ di contesto: il 18 luglio, al sedicesimo mese di violenze, una bomba forse nascosta in una valigia scoppia dentro una stanza dell’ufficio di sicurezza nazionale durante una riunione tra alcuni degli uomini più importanti della Siria. Muoiono Assef Shawkat, cognato di Bashar e vicecapo delle Forze armate (e uomo forte dei servizi da decenni), il suo consigliere e il ministro della Difesa Dawoud Rajiha. Il ministro degli Interni, Mohammad Shaar, e un altro capo dei servizi (che in Siria sono multipli), Hisham Bekhtyar, devono essere portati in ospedale. A Damasco le voci impazziscono: si dice che anche il presidente è stato ferito ed è stato trasferito d’urgenza a Latakia sulla costa, che la moglie Asma è fuggita in Russia, che le truppe stanno ricevendo maschere antigas perché l’uso di armi chimiche è imminente (arriverà un anno dopo). La televisione accusa “terroristi stranieri”.
Come in ogni capitale araba fioriscono teorie del complotto, ma circolano anche testimonianze che ora tornano a essere interessanti. Gli abitanti attorno al palazzo non sentono alcuna esplosione e non vedono danni. Scrive il Guardian quel giorno: “Fonti siriane suggeriscono – senza offrire prove – che i tre capi della sicurezza potrebbero essere stati uccisi dal regime per impedire un golpe o eliminare potenziali sostituti di Assad”.
Quel giorno, a Washington, l’Amministrazione Obama ordina a una task force formata da uomini del Pentagono, del dipartimento di stato e del Tesoro di buttare giù la bozza di un possibile piano per il dopo Assad, dice Robert Ford, all’epoca ambasciatore americano in Siria.
[**Video_box_2**]Più di due anni dopo, Dagher scrive che quello non fu il momento di maggior debolezza del regime, come si crede, ma il momento in cui il regime decise di rafforzarsi ed eliminò quei capi che erano più inclini alla trattativa con i ribelli e che consigliavano al presidente Assad di assumere una linea morbida e aperta al negoziato. Due dozzine di fonti, “inclusi funzionari del regime disertori o ancora in carica, e politici di paesi confinanti che hanno legami diretti con Assad”, dicono al Wall Street Journal che l’attentato fu il risultato di un conflitto tra la famiglia di Bashar e i suoi “hard-line allies” da una parte, e i gerarchi che cercavano una trattativa con l’opposizione dall’altra.
Una delle fonti è l’ex generale Manaf Tlass, amico intimo del presidente che disertò due settimane prima della strage dopo che le sue guardie del corpo avevano trovato sei bombe già piazzate fuori dal suo ufficio all’interno di una base militare a Damasco.
L’articolo non spiega chi sono i possibili mandanti, ma è interessante vedere chi è ancora oggi al comando attorno al presidente. C’è il generale Ali Mamlouk, capo dei servizi segreti, che compare anche nei dispacci messi online da Wikileaks – dove spiega agli americani che loro non bombardano i gruppi terroristi, ma li infiltrano con propri agenti perché è più utile. Mamluk ha rifiutato di commentare il pezzo del Wsj. Un’altra figura sospetta è Maher el Assad, fratello minore di Bashar, capo della Guardia repubblicana e considerato il più irriducibile del clan famigliare.
L’establishment assadista offre in pubblico un’immagine di compattezza senza cedimenti, ma in questi quattro anni ha sofferto defezioni e faide interne. L’ultima ha costretto Hafez Makhlouf, un comandante dei servizi, a fuggire in Bielorussia con la famiglia dopo uno scontro con Maher.
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