Disco rotto
In quindici anni il settore allargato della musica ha perso circa il 50 per cento del suo valore. Lo streaming ammazza le vendite di CD, contromisure dei big spiegate da Wired. E il vinile? Bruscolini.
Questi sono i giorni in cui giornali e siti, specializzati e non, si divertono a fare i listoni del meglio (o i più venduti) dell’anno in campo musicale. Per non parlare delle nostre bacheche dei vari socialini, dove è tutto un pullulare di classifiche e best of di canzoni che, con l’ausilio dei vari servizi di streaming, si possono direttamente ascoltare sulla propria pagina senza scomodarsi troppo nella ricerca. Ecco, questo è stato, anche in Italia, l’anno in cui i vari Spotify e Deezer hanno fatta la differenza. Nel bene e nel male. Nel bene, perché gli appassionati di musica hanno avuto la possibilità di ascoltare legalmente tutte le nuove uscite in modo rapido e spesso gratuito (o con spese irrisorie rispetto al passato), e nel male, perché tutto ciò ha affossato le entrate di quello che un tempo si chiamava mercato discografico, quello cioè basato sulla vendita dei dischi. L’ultima notizia, invero piuttosto sconcertante, è che Pandora, uno dei servizi di streaming più usati in Usa e Australia, avrebbe corrisposto solo 2.700 dollari a Pharrell Williams per 43 milioni di streaming del tormentone “Happy”, ovvero 0,0006 dollari a stream.
In quindici anni il settore allargato della musica ha perso circa il 50 per cento del suo valore. Nel 2000 il ricavato da dischi, cd, biglietti dei concerti e merchandising ufficiale valeva 30 miliardi di dollari. Oggi vale 15 miliardi e, di questi, il 39 per cento arriva dal digitale, quindi download, streaming e il revenue sharing dei video su YouTube e diritti vari.
Negli States il 2014 è stato il primo anno in cui solo un artista è riuscito a superare il milione di copie (fisiche) vendute. Il record è di Taylor Swift, ex stella del country da classifica, oggi consacrata reginetta del pop globale: il suo “1989” è diventato in una settimana il disco più venduto del 2014.
Guarda caso, il disco non è né su Spotify né in nessun altro servizio di streaming, ma si può solo comprare in forma fisica o digitale. In più la Swift ha rimosso tutta la sua discografia dai servizi di streaming, dichiarando ufficialmente guerra. Sono in molti, in realtà a seguire questa scelta: Coldplay, Vasco Rossi, Ligabue e Beyoncé non hanno pubblicato i loro lavori nei siti di streaming, quanto meno nei primi mesi del lancio del disco (il tempo di vita di un prodotto discografico, come di un film, anno dopo anno diventa sempre più ristretto). E’ una scelta che viene intrapresa soprattutto da artisti di grande successo e che se lo possono permettere, ragionevolmente certi di riuscire a vendere in modo tradizionale e avere comunque una visibilità.
Dall’altra parte Daniel Ek, fondatore di Spotify, dichiara che sono stati pagati ben due miliardi di dollari alle case discografiche in sei anni (pari a circa il 70 per cento dei profitti di Spotify) grazie agli stream di 50 milioni di persone, delle quali 12,5 milioni pagano 120 dollari l’anno.
[**Video_box_2**]Comunque sia, la musica non è più un prodotto, ma un complicato processo: il disco è solo un biglietto da visita, ma poi il resto del business viene fatto con il ricavato da concerti, beni immateriali e servizi in continua evoluzione. Quindi oggi artisti e manager sono alla ricerca di modi sempre nuovi e innovativi di monetizzare, cioè trasformare l’ingegno e il lavoro artistico in valore economico. Il giornalista e docente di Teoria e tecnica dei nuovi media all’Università Cattolica di Milano Gianni Sibilla ha provato a sintetizzare su Wired quali sono e saranno i modi più originali ed efficaci: dalla vendita non solo della musica ma anche del supporto fisico dove ascoltarla (il collettivo hip-hop Wu-Tang Clan ha messo la copia digitale del loro disco in uno speaker bluetooth da 80 dollari) alla creazione di nuove esperienze legate al concerto (come il biglietto super vip con incontro con gli artisti, lo fanno gli Stones, i One Direction e gli italiani Dear Jack).
Ma la vera tendenza sarà quella denominata “Il cliente è il marchio” ovvero vendere copie digitali a un’azienda del mondo delle tlc che poi li regala ai propri clienti, come ha fatto Jay-Z con Samsung e recentemente gli U2, mettendosi in tasca 100 milioni di dollari per l’esclusiva di un mese del loro “Songs of Innocence” a Apple.
Ah, e i vinili? Non si era detto che le vendite stavano incredibilmente crescendo? Sì, crescono, ma trattasi di bruscolini.
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