Un combattente della milizia Dwekh Naswha prepara l'arma all'interno di un monastero vicino Mosul (foto AP)

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La grande battaglia del 2015 contro lo Stato islamico sarà a Mosul

Paola Peduzzi

Gli americani non brancolano più nel buio: uccisi in poche settimane negli strike i “governatori” jihadisti della città.

Milano. La guerra contro lo Stato islamico è fatta di numeri – due tra tutti: 830 attacchi aerei contro obiettivi in Iraq e 590 contro obiettivi in Siria da agosto a oggi, non molti rispetto ad altre campagne militari, e finora non molto efficaci, se gli stessi americani dichiaravano, fino a poco tempo fa, di non avere più obiettivi – e di simboli, alcuni che cambiano nelle diverse fasi della guerra e altri permanenti. Tra questi ultimi c’è Mosul, la seconda città dell’Iraq, circa due milioni di abitanti di diverse confessioni, la cui sorte da anni scandisce i tempi del conflitto tra occidente e jihadisti. Ed è proprio a Mosul che qualcosa, negli ultimi mesi, è cambiato: gli strike della coalizione iniziano a essere efficaci, sul campo le informazioni sono diventate più precise, ed è attorno a questa città che si concentrano gli sforzi di intelligence e militari più significativi di questa fase della guerra. Mosul, la città in cui prese forma il modello di counterinsurgency del generale David Petraeus nel 2004, è caduta a giugno nelle mani dello Stato islamico diventandone “la capitale irachena”, e da quel momento la percezione della minaccia jihadista nelle cancellerie occidentali è cambiata; a Mosul è comparso a inizio luglio Abu Bakr al Baghdadi, inaugurando ufficialmente il Califfato con il discorso alla moschea centrale della città; a Mosul a novembre è stato colpito un obiettivo importante: per giorni si disse che nel raid era morto al Baghdadi, notizia poi smentita, ma fu ucciso Abu Suja, che si occupava della sicurezza del califfo; a Mosul giovedì è stato ucciso, in un bombardamento della coalizione internazionale, il “governatore” dello Stato islamico, Hassan Saeed al Jabouri (noto come Abu Taluut), che era in carica da 25 giorni soltanto: aveva preso il posto di Radwan Taleb al Hamdouni, anche lui ucciso dagli aerei degli americani.

 

Decapitare la leadership dello Stato islamico a Mosul ha un significato strategico rilevante: nel 2010, al Qaida in Iraq (dalle cui semi ceneri è nato il gruppo di al Baghdadi) era stata decimata proprio a Mosul, con omicidi mirati dei suoi membri più importanti.

 

E’ anche per questo che a Mosul si prepara l’offensiva del governo iracheno del premier Haider al Abbadi, che ha aperto tre nuove basi nella regione con l’obiettivo di formare militari (circa 20 mila effettivi) in grado di affrontare gli uomini dello Stato islamico senza essere sterminati come è accaduto fino ad adesso. Anche il governo italiano partecipa a questo addestramento, con l’invio, come ha detto il ministro della Difesa, Roberta Pinotti, in un’audizione di fronte alle commissioni Esteri e Difesa,di uomini dell’unità d’élite della Task Force 45, rientrati dal fronte afghano.

 

L’offensiva è già iniziata con l’apertura di due corridoi per gli aiuti umanitari (hanno portato molte arance, in segno di pace), pochi giorni prima di Natale, da parte dei peshmerga curdi di Sinjar e Tal Afar, le cittadine a nord della montagna su cui l’estate scorsa migliaia di yazidi si erano rifugiati scappando dalla ferocia dello Stato islamico – fu la paura del genocidio degli yazidi che accelerò l’intervento americano in Iraq e poi in Siria.

 

[**Video_box_2**]A gennaio le operazioni militari dell’esercito iracheno saranno più pesanti, mentre sui media internazionali inizia a circolare la convinzione che lo Stato islamico inizi ad avere problemi di consenso e di gestione del potere: i sunniti che si erano arruolati tra gli uomini di al Baghdadi dopo esser stati per anni isolati (se non uccisi) dal governo dell’ex premier iracheno Nouri al Maliki non sono più così convinti dell’alleanza con i jihadisti, mentre si parla di divisioni interne nel merito della sorte del pilota giordano caduto nelle mani dello Stato islamico alla vigilia di Natale (il suo aereo non è stato abbattuto dagli uomini di al Baghdadi, come sostengono loro e come sostengono molti analisti russi che dicono che lo Stato islamico ha la tecnologia per abbattere aerei: secondo il Pentagono, l’aereo giordano ha avuto un incidente). Alcuni vogliono usare il pilota per la propaganda (uccidendolo) mentre altri vogliono negoziare con il re giordano Abdullah per il rilascio dei propri uomini nelle carceri di Amman. Ma se, come scrive Liz Sly sul Washington Post, lo Stato islamico si sta rivelando meno efficace nella gestione dei suoi territori di quanto molti, anche i locali, si aspettavano, con l’elettricità sempre assente e l’acqua ormai non più potabile da nessuna parte, pare abbastanza prematuro – se non folle – pensare che al Baghdadi possa cadere, o indebolirsi, a causa di un’implosione interna.

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  • Paola Peduzzi
  • Scrive di politica estera, in particolare di politica europea, inglese e americana. Tiene sul Foglio una rubrica, “Cosmopolitics”, che è un esperimento: raccontare la geopolitica come se fosse una storia d'amore - corteggiamenti e separazioni, confessioni e segreti, guerra e pace. Di recente la storia d'amore di cui si è occupata con cadenza settimanale è quella con l'Europa, con la newsletter e la rubrica “EuPorn – Il lato sexy dell'Europa”. Sposata, ha due figli, Anita e Ferrante. @paolapeduzzi