Un presidente autorevole e in apparenza sbiadito è quello che ci vuole
In condizioni di normale funzionamento delle istituzioni della sovranità, tanto più con la legge elettorale verso cui ci stiamo muovendo, l’eletto deve riacquisire le sue funzioni importanti, rispettate, utili, ma non direttamente politiche, funzioni di moral suasion.
Anche il Bundestag con i rappresentanti dei Laender elegge un presidente della Repubblica in Germania, ogni cinque anni, ma nessuno se ne accorge e, malgrado la loro qualità spesso eccellente, i nomi dei presidenti si ricordano a stento. Eppure hanno i medesimi poteri del capo dello stato in Italia, i presidenti tedeschi. Nominano i cancellieri valutando il risultato elettorale e i rapporti di forza parlamentari, possono sciogliere le assemblee elettive, hanno alte funzioni di rappresentanza e di custodia della Costituzione federale (la data di entrata in vigore della carta federale è diventata la data in cui si elegge l’inquilino del Palazzo Bellevue di Berlino). Le istituzioni in quel paese sono solide, la legge elettorale mista di maggioritario e proporzionale talvolta funziona in modo chiaro, talvolta impone maggioranze di unità nazionale, ma ogni volta è indiscusso che chi ha la maggioranza relativa è alla testa del governo. Il capo dello stato tedesco è eletto a maggioranza assoluta nei primi tre scrutini, oppure passa chi ha più voti dal quarto in avanti. Semplice, senza drammi, nessuna nevrosi di sistema, nessun gusto del retroscena troppo spinto, nessuna passione per i condizionamenti o addirittura per i ricatti e gli scambi sottobanco. Il presidente presiede, il cancelliere comanda. Punto.
Ecco. Mi piacerebbe che anche nel sistema politico italiano si introduca quel benedetto rilassamento delle sensibilità patologiche tipiche della nostra vecchia tradizione parlamentare. Fin quando il gioco dei partiti, in regime proporzionalista, alimentava l’instabilità dei governi, che si alternavano nella loro guida di anno in anno, fino ad allora il ruolo del capo dello stato al Quirinale era a suo modo decisivo, il suo potere di nomina del capo dell’esecutivo valeva oro, sebbene la maschera fosse quella più o meno notarile del primo magistrato d’Italia e tutore della carta costituzionale in senso simbolico. Ora tutto questo non ha più senso. Il capo dello stato diventa importante solo in condizioni di emergenza e di anomalia del processo politico, quando come avvenne con Scalfaro (malignamente) e poi con Napolitano (benignamente) dal Quirinale si assumono decisioni direttamente politiche, che mettono sotto protezione un governo anche non eletto dal popolo. In condizioni viceversa di normale funzionamento delle istituzioni della sovranità, tanto più con la legge elettorale verso cui ci stiamo muovendo, che prevede un premio di maggioranza alla lista più votata oltre una certa soglia, l’eletto deve riacquisire le sue funzioni importanti, rispettate, utili, ma non direttamente politiche, funzioni di moral suasion previste sia pure in modo confuso dalla Costituzione e spesso confermate o smentite dalla prassi costituzionale, che è il modo a volte corretto e congruo a volte no di alterare la vera identità di ruolo dell’inquilino del Quirinale.
[**Video_box_2**]E’ noto che quando Berlusconi si dimise nel novembre del 2011 Napolitano, per sua volontà esplicitata, avrebbe sciolto le Camere se il presidente dimissionario glielo avesse esplicitamente chiesto in nome dell’autogoverno, al contrario di quanto fece Scalfaro nel 1995 (l’onorevole Brunetta prenda nota), mentre per un accordo politico discutibile ma in quel momento considerato utile a tutti fu costituito un governo del presidente a struttura tecnocratica presieduto da Mario Monti. Di fronte alla crisi di comando e di funzionamento delle istituzioni, nel bailamme finanziario che si ricorda, fu concordata una tregua costosa dal punto di vista delle procedure democratiche ma fondata sul consenso generale espresso in Parlamento dalla maggioranza cosiddetta Abc (Alfano Bersani Casini). Lo stesso avvenne con la rielezione di Napolitano per un secondo mandato e la costituzione dei governi Letta e Renzi (uno di unità nazionale, poi rotta dopo la condanna di Berlusconi, e l’altro fondato sul patto per le riforme stabilito a Largo del Nazareno, sede del Pd, tra Berlusconi e il neosegretario dei democratici Renzi). In tutte queste emergenze, da ultimo la doppia maggioranza di Camera e Senato, il presidente della Repubblica è stato obbligato ad agire politicamente.
Quella stagione dovrebbe essere definitivamente chiusa. Nei fatti. Con la forza cogente della svolta politica nella quale ci siamo inoltrati da ormai un anno. E allora un presidente in apparenza sbiadito ma autorevole e garante di funzioni non direttamente politiche, che non abbia alle spalle una storia politica troppo spinta, ambizioni legate a disegni o a memorie troppo pronunciati, sarebbe la soluzione. Con il dispiacere di legioni di retroscenisti politici, e il piacere tutto mio di vedere cadere un’altra cattiva abitudine della democrazia italiana.
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