Il leader nordcoreano Kim Jong-un (foto Ap)

Il caro leader

Giulia Pompili

Un prim’attore che se la cava con poco sulla scena del mondo. Ora è il presidente che dialoga. Come è possibile che il più pericoloso dittatore della contemporaneità asiatica si sia trasformato improvvisamente in un conciliante mediatore? Difficile dirlo, e difficile fidarsi.

Esterno giorno. Immagine fissa su un palazzo del governo non identificato. In alto sventola la bandiera rossa. Partono quindici secondi di applausi registrati. Poi la scena cambia, siamo all’interno, una parete di legno, un palco. Il simbolo del Partito dei lavoratori di Corea (falce, martello e pennello) è ben visibile su tre punti dell’inquadratura. Kim Jong-un entra con passo deciso in sala. Indossa il tradizionale completo nero, la spilletta del partito sul cuore, ha una cartella nera sotto al braccio sinistro. Guarda dritto davanti a sé. Sale sul pulpito, scruta la platea (che possiamo solo immaginare abbia davanti, infatti non viene mai inquadrato nessun altro oltre a lui). Sistema la cartella, fa una pausa, poi inizia a parlare ai cittadini. Il discorso durerà mezz’ora, e sarà uno dei più importanti della sua “carriera”. Poco dopo, infatti, quasi tutti i giornali occidentali titoleranno: “Kim Jong-un apre al dialogo con il sud”, “è disposto a tenere quest’anno dei colloqui con il presidente sudcoreano Park Geun-hye con l’obiettivo di fare un ‘grande cambiamento’ nei rapporti tra le Coree”.

 

 

Ma come è possibile che il più pericoloso dittatore della contemporaneità asiatica si sia trasformato improvvisamente in un conciliante mediatore? Difficile dirlo, e difficile fidarsi, visto che di annunci simili ne sono stati fatti spesso. Kim Jong-un sarà giovane e inesperto, ma una delle migliori capacità che ha sviluppato è quella di essere in grado di attirare l’attenzione dell’occidente, pur senza fare granché. Per tutti resta  l’uomo che ha fatto sbranare da cento cani il suo zio preferito, e anche se la notizia è una delle bufale più ridicole dell’anno passato che importa? Le purghe nel Partito dei lavoratori di Corea sono in atto, messaggio ricevuto. E c’era sempre la sua faccia sulla macchina mediatica che si è innescata intorno al film “The Interview”, anche se non sarà mai provato un reale coinvolgimento della Corea del nord nell’hackeraggio della Sony Picture. Ma la capacità di Kim Jong-un di essere primo attore senza far nulla l’abbiamo vista a settembre: la sua sparizione dalle cronache nordcoreane quotidiane era diventata un tormentone sul web. L’intelligence internazionale non si spiegava dove diavolo fosse finito il dittatore che possiede l’atomica. Analisi, commenti, paginate di speculazioni. Poi, dopo un mese, Kim Jong-un è riapparso sorridente, anche se appoggiato a un bastone. Si è operato alle caviglie? forse alle ginocchia? alle anche? Mentre lui era sotto i ferri, chi teneva in mano il bottone dei missili? Dopo qualche settimana il bastone è sparito, e ieri Jong-un nemmeno zoppicava. Ogni tanto, durante il discorso, si appoggiava sulla gamba sinistra, e buttava il peso da una parte e poi dall’altra, ma niente di più.

 

[**Video_box_2**]Quello di ieri è stato il terzo discorso di inizio anno per Kim Jong-un, che guida il paese più isolato del mondo dal 17 dicembre del 2011, giorno in cui è scomparso suo padre, Kim Jong-il. E’ il terzo messaggio alla nazione ma è di sicuro quello più eloquente. In tre anni il Grande successore, come viene chiamato Jong-un, è riuscito a ricostruirsi un profilo a immagine e somiglianza di suo nonno, il presidente eterno Kim Il-sung. L’estetica prima di tutto. Secondo alcune speculazioni il giovane Jong-un, infatti, non era proprio il predestinato della famiglia. Dei tre figli maschi di Jong-il era quello più piccolo, un po’ più sfigato. Studi in Svizzera, una passione smodata per il basket, per il formaggio e per le nuove tecnologie. Mentre i suoi due fratelli più grandi studiavano per fare i dittatori, lui veniva chiamato “stella del mattino” dalla mamma, che è un nomignolo tutto sommato affettuoso, ma se riferito a uno dei più pericolosi nemici dell’America si rivela inquietante. Dopo tre anni al potere, Kim Jong-un ha subito una trasformazione notevole. Anche lo scorso anno, infatti, aveva parlato della Corea come un’unica nazione, che avrebbe dovuto superare i problemi del passato, e del suo auspicio a riunificare il paese. Ma dodici mesi fa aveva un aspetto meno autoritario, meno deciso, meno credibile. Il discorso di ieri era da leader.

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  • Giulia Pompili
  • È nata il 4 luglio. Giornalista del Foglio da più di un decennio, scrive soprattutto di Asia orientale, di Giappone e Coree, di Cina e dei suoi rapporti con il resto del mondo, ma anche di sicurezza, Difesa e politica internazionale. È autrice della newsletter settimanale Katane, la prima in italiano sull’area dell’Indo-Pacifico, e ha scritto tre libri: "Sotto lo stesso cielo. Giappone, Taiwan e Corea, i rivali di Pechino che stanno facendo grande l'Asia", “Al cuore dell’Italia. Come Russia e Cina stanno cercando di conquistare il paese” con Valerio Valentini (entrambi per Mondadori), e “Belli da morire. Il lato oscuro del K-pop” (Rizzoli Lizard). È terzo dan di kendo.