In Siria c'è una lotta ideologica tra jihadisti anche sugli ostaggi
Lo Stato islamico e Jabhat al Nusra (che è al Qaida) si confrontano a colpi di teologia sui sequestrati. Quando il gruppo di Baghdadi ha cominciato a pubblicare i video delle esecuzioni, al Qaida ha preso per reazione una posizione molto più comprensiva.
Roma. Il Guardian ha pubblicato due settimane fa un pezzo importante sui negoziati per liberare l’ostaggio americano Peter Kassig. Quell’articolo va inquadrato nella guerra ideologica che si combatte da una parte dallo Stato islamico, che è il gruppo comandato da Abu Bakr al Baghdadi che sta battagliando su più fronti in Siria e Iraq, e dall’altra da Jabhat al Nusra, che è un gruppo di ex guerriglieri di al Baghdadi che ha dichiarato fedeltà ad al Qaida. Questa guerra che si combatte in campo aperto dall’inizio del 2014 (e prima era quasi clandestina) a tratti lascia il mondo delle idee e diventa una guerra vera, con scontri, imboscate ed esecuzioni di massa.
Quando il gruppo comandato da Baghdadi ha cominciato a mettere su internet i video delle uccisioni degli ostaggi americani e inglesi, al Qaida ha preso per reazione una posizione molto più comprensiva verso i prigionieri nelle celle dello Stato islamico. Un comandante di Jabhat al Nusra ha dichiarato di essere stato curato da Kassig, che era un volontario che si occupava di soccorsi medici e aveva aperto un ambulatorio in Siria. Altri, vicini ad al Qaida, hanno fatto notare che i prigionieri occidentali uccisi godevano della protezione dei siriani locali, e che quindi c’era un patto di sicurezza che dovrebbe valere davanti a tutti i musulmani. A questo proposito si cita un precedente in cui Abu Musab al Zarqawi, temuto capo di al Qaida in Iraq, risparmiò la vita a un ostaggio americano a Falluja perché godeva di quella protezione. In generale, Jabhat al Nusra e al Qaida hanno assunto una linea che suona molto morbida se paragonata a quella di Al Baghdadi: in Yemen hanno lasciato andare una donna ostaggio senza un riscatto, ed erano sul punto di liberare il marito in cambio di poche centinaia di migliaia di dollari, prima dell’intervento di una squadra speciale americana. A dicembre, dopo dell’ostaggio Luke Somers, hanno pubblicato un comunicato in cui danno la colpa dell’acaduto alla decisione dell’Amministrazione Obama di non negoziare e di agire con la forza militare. Non perdono occasione di parlare dei rivali dello Stato islamico come di “ghulat” e “Khawarij”, ovvero di “estremisti” e di “devianti” che travisano i principi base dell’islam. In poche parole: anche sulla questione ostaggi lo Stato islamico è accusato da al Qaida (che in Siria si chiama Jabhat al Nusra) di eccessivo fanatismo.
Il negoziato informale e molto urgente – considerato che gli ostaggi americani e inglesi sono stati assassinati a due-tre settimane di distanza l’uno dall’altro – raccontato sul Guardian è stato guidato da un avvocato di New York, Stanley Cohen. Il legale è conosciuto perché in passato ha difeso in aula imputati per reati collegati al terrorismo islamista e grazie a questi processi precedenti ha un piccolo capitale di credibilità e di contatti che ha deciso di sfruttare per tentare di salvare Kassig. Tra le altre potenziali complicazioni, tempo fa l’avvocato ha riconosciuto di essere colpevole di reati fiscali e da allora sa che a gennaio andrà in carcere per 18 mesi.
Cohen ha trovato una sponda nell’Fbi americano, che ha acconsentito a dare un minimo di garanzie alla questa missione che implicava contatti ravvicinati con al Qaida e ha anche coperto le spese di una trasferta in Giordania di Cohen, con un traduttore, per 17 giorni (ventiquattromila dollari). L’avvocato spiega che non tutti al dipartimento di stato americano e alla Giustizia erano contenti che un avvocato ebreo con fama di cane sciolto liberal fosse delegato a guidare una trattativa così delicata, ma anche che non c’erano altre alternative.
In Giordania, Cohen ha preso contatto con quello che lui definisce “il gruppo Cibo”, un collettivo di contatti e finanziatori di al Qaida che parla di sé come fosse un’entità unica e ben coordinata (“Noi facciamo, noi diciamo”) e che affronta le discussioni tra interminabili portate di cibo, da cui il nomignolo.
Il gruppo Cibo mette in contatto l’avvocato di New York con le due stelle della teologia jihadista: Abu Mohammed al Maqdisi, ex mentore di Zarqawi, e Abu Qatada, considerato l’ambasciatore di al Qaida in Europa prima di essere estradato da Londra in Giordania.
[**Video_box_2**]Sia al Maqdisi sia Abu Qatada sono al centro della sfida teologica con lo Stato islamico, combattuta settimana dopo settimana a colpi di delucidazioni, argomentazioni e pareri religiosi che fanno il giro degli adepti e sono quasi subito tradotte in inglese, per fare sì che anche le potenziali reclute occidentali poco a loro agio con l’arabo capiscano le sottigliezze del duello. Il pezzo del Guardian, di tutta questa supremazia intellettuale, regala un’immagine comica: Maqdisi arriva a prendere Cohen su una Kia scassata e dopo cinque minuti si ferma per aggiustare la cinghia del motore. Tuttavia, è d’accordo con il tentativo di salvare la vita di Kassig.
Nel giro di pochi giorni, Maqdisi si mette in contatto con Turki al Binali, che è un religioso del Bahrein emigrato in Siria ed è ora considerato una delle massime autorità dello Stato islamico (che dal lato delle legittimità religiosa si sente scoperto e soffre molto il complesso di avere pochi riconoscimenti).
Maqdisi e al Binali chattano via Whatsapp – che è molto usato tra i jihadisti in Iraq e Siria – e si avvicinano a un accordo: l’americano Peter Kassig sarà liberato, come primo passo di una graduale riconciliazione tra lo Stato islamico e Jabhat al Nusra. Sarebbe insieme un caso particolare insolito – un ostaggio americano liberato – e una svolta generale: i due gruppi più pericolosi del jihad di nuovo assieme. “Penso che lasceranno andare Kassig”, confida il religioso giordano a Cohen.
Pochi giorni dopo, però, quando i negoziati sono già a buon punto, l’intelligence giordana arresta al Maqdisi, con l’accusa di essere in contatto con estremisti (e di avere violato i termini della sua libertà), anche se in precedenza aveva garantito che non ci sarebbero state interferenze. La trattativa s’interrompe subito. Cohen torna a New York, in attesa di scontare la pena.
L’ostaggio americano è stato ucciso, e la morte è confermata da un video efferato che il gruppo di Baghdadi ha messo su internet domenica 16 novembre.
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