Il giochetto dello straw man mi ha veramente stancato

Costanza Miriano

E’ vecchio. Trito e ritrito. Esempio classico: io ti dico che si deve abolire la caccia. Tu mi rispondi cominciando a gridare che i bambini hanno bisogno di mangiare la carne. Io adesso devo perdere gran parte delle mie energie a difendermi, e non posso parlare di quello che mi stava a cuore.

Sinceramente il giochetto mi ha veramente stancato. E’ vecchio. Trito e ritrito. Esempio classico: io ti dico che si deve abolire la caccia. Tu mi rispondi cominciando a gridare che i bambini hanno bisogno di mangiare la carne. Io adesso devo perdere gran parte delle mie energie a difendermi, e non posso parlare di quello che mi stava a cuore. Gli americani gli hanno anche dato un nome: è la tecnica dello straw man, una delle più usate per fare disinformazione, e non mi stupisce che la usi Rep. Più o meno è la stessa arma che adoperano i miei bambini quando a metà litigio rimangono a corto di argomenti e urlano “tu puzzi”. Secondo me però utilizzarla sopra i sei anni di età è segno di non grandissima vitalità intellettuale.

 

Io non voglio parlare di omosessuali. Non ne so niente. Io voglio parlare della famiglia, che è l’unica cosa di cui so qualcosa, e invece mi si accusa di voler  far curare i gay. Trovo che sia questa la grande vittoria degli attivisti lgbt: riuscire a mettersi sempre in cima all’agenda, pur rappresentando un numero infinitamente piccolo di persone rispetto al totale. Punto. Chiuso l’argomento. Chi vuole può leggere i miei libri, articoli, ascoltare gli interventi e cortesemente segnalarmi i passaggi da “omofoba”, perché così Rep. definisce il convegno che faremo a Milano io e i miei tre amici. Se uno poi fosse colto da un grave attacco di onestà intellettuale potrebbe addirittura ascoltare su YouTube l’incontro, perché è un format che abbiamo già ripetuto più volte a Roma. Nessuno di noi ha mai detto che i gay vanno curati. E già mille battute se ne sono andate, porca miseria.

 

Il punto è che lo straw man si rende necessario a chi non la pensa come noi, diventa l’unico loro baluardo contro la pervicace, ostinata, ottusa, oscurantista realtà, che vuole che i bambini vengano da un maschio e da una femmina. Sul tema è l’unica cosa che abbiamo detto e che diremo sempre anche se dovesse costarci il carcere, come avrebbe voluto la legge Scalfarotto: i bambini hanno bisogno di un padre e di una madre. Prima per essere messi al mondo, poi per essere allevati. Lo sanno tutti, è talmente vero che per coprire la forza della verità bisogna urlarci contro delle bugie. Io capisco, davvero, sinceramente, il desiderio di paternità e di maternità delle persone omosessuali, ma purtroppo bisogna gridare dai tetti cosa c’è dietro la realizzazione di questo desiderio: persone vendute o affittate, donne sfruttate (femministe, dove siete?), embrioni  congelati, figli che non conosceranno mai la storia del loro patrimonio genetico (come si chiamerà mio padre? Hy698?), una cryogeneration da incubo, bambini che vogliono la mamma e piangono per anni.

 

Se questa è omofobia, sono contenta che gli attivisti lgbt siano usciti allo scoperto. Se parlare di famiglia è omofobia, non ci posso fare niente (anche se dalle reazioni scomposte ho dei dubbi su chi abbia paura di chi: io me ne frego dei gay pride e dei convegni umoristici tipo “L’invenzione dell’eterosessualità”: è vero, non è uno scherzo, lo hanno fatto davvero). Se dire che è necessario rapportarsi a una figura maschile e a una femminile è omofobia, non ci posso fare niente. E’ la vita che è omofoba. Se è omofobia paragonare l’ideologia del gender ai totalitarismi nazista e comunista, allora anche Papa Francesco è omofobo. “Occorre ribadire il diritto dei bambini a crescere in una famiglia, con un papà e una mamma… Vorrei manifestare il mio rifiuto per ogni tipo di sperimentazione educativa con i bambini. Con i bambini e i giovani non si può sperimentare. Non sono cavie da laboratorio! Gli orrori della manipolazione educativa che abbiamo vissuto nelle grandi dittature genocide del secolo XX non sono spariti; conservano la loro attualità sotto vesti diverse e proposte che, con pretesa di modernità, spingono i bambini e i giovani a camminare sulla strada dittatoriale del ‘pensiero unico’… A volte, non si sa se si mandi un bambino a scuola o in un campo di rieducazione“ (11 aprile 2014).

 

[**Video_box_2**]La famiglia, a cui è affidata la sopravvivenza della vita, in occidente rischia la pelle. Parlare invece degli lgbt è come mettersi a fare la manicure a uno in coma profondo. La famiglia non è sostenuta da nessun punto di vista, né fiscale né legislativo, l’aborto uccide milioni di bambini in Europa, e quasi tutti quelli malati, la pillola ha illuso le donne di avere finalmente il potere, quando invece glielo ha tolto. Io nei miei incontri parlo di queste cose, parlo di famiglie, imperfette, difettosissime, potenziale culla di nevrosi e ogni sorta di problemi, ma comunque l’unica possibile forma di unione stabile delle due persone che hanno generato quella nuova vita. Chiunque sia stato bambino sa quanto sia importante vedere che quelle due persone che si sono volute bene così tanto da farmi nascere stiano insieme ancora oggi: quell’unione è per il bambino il permesso di continuare a esistere, e la garanzia che valga la pena vivere. La famiglia non è mai a tinte pastello. E’ fatta di carne e sudore e a volte lacrime, non profuma sempre di crostata sfornata e bucato immacolato. A volte puzza di bugie e fatica e disordine. A volte sembra qualcosa che ci impedisce di spiccare il volo, ma poi scopriamo che era proprio quello che ci custodiva da noi stessi, da quel mistero che è nel cuore di ogni uomo, così come il padre protegge i figli dall’onnipotenza materna, e la madre difende i figli dall’egoismo paterno. Infine nei miei incontri parlo spesso anche del linguaggio maschile aderente ai fatti  e di quello femminile, un linguaggio tonale dove le parole non significano mai solo quello che dicono (come ho letto da qualche parte, se a chiamare dall’Apollo 13 la torre di controllo fosse stata una donna la conversazione sarebbe stata più o meno: – Houston abbiamo un problema. – Dicci pure. – No, non importa… – Dai, ti ascolto – No.. Va be’ non importa… se non ci arrivi da solo…).

 

Per finire, quanto all’accusa che campeggiava ieri in prima pagina su questo giornale e dalla quale so già che non mi libererò facilmente, innanzitutto voglio dire che credo che la responsabilità individuale sia uno dei tesori della cultura giudaico cristiana, quindi io parlerei o scriverei ovunque mi facessero dire quello che penso. Poi vorrei chiarire che né io né i miei compagni di strada abbiamo mai detto che i gay vanno curati. Infine dico che non mi turba il fatto che tra i promotori dell’incontro (per il quale, detto per inciso, noi non prendiamo un euro) ci sia Obiettivo Chaire, un’associazione che accoglie e rispetta le persone che vivono con sofferenza la propria identità sessuale e non si propone affatto  di curarle ma di sostenerle nella ricerca di sé. Io conosco e stimo molto due che ci lavorano, so quanto pagano di persona per questo loro impegno, e siccome non sono solita scaricare gli amici non lo farò neppure questa volta. Credo che se una persona viva con disagio la propria identità sessuale, non per la condanna sociale (l’ingiusta discriminazione va punita, e le leggi ci sono già) ma per la propria sofferenza interiore, abbia il diritto di chiedere aiuto a chi vuole, se è lui che lo vuole, a patto che lo faccia liberamente, e non venga indotto o spinto in nessun modo. Non ci trovo niente di scandaloso o offensivo per nessuno. E adesso sparate pure.

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