Ombre rosse sul 2015
Il primo lunedì dell’anno è stato tutto un minimo: euro, petrolio, inflazione tedesca, Borse. E la solita Grecia che dal 2009 porta l’Ue al suo minimo. Cosa è andato storto? Le ragioni dei pessimisti e quelle degli ottimisti.
Milano. Ieri è stato il giorno dei minimi – euro al minimo rispetto al dollaro, petrolio al minimo a 50 dollari il barile, inflazione tedesca al minimo – e a pagare è stata soprattutto la Borsa di Milano, che è arrivata a perdere fino al 5 per cento del suo valore, un altro minimo (Eni ha subito i danni maggiori, con una perdita dell’8 per cento). Sullo sfondo la solita Grecia, con quell’instabilità cronica che da anni determina il destino verso il minimo dell’Unione europea – e questa volta, all’inizio di un 2015 che non sappiamo se sarà l’anno della svolta o del fallimento definitivo del progetto europeo, le immagini di Alexis Tsipras, con l’aria sorniona, scandiscono le preoccupazioni di Bruxelles (e di tutti noi).
Il primo lunedì nero dell’anno è partito con la prospettiva di un Quantitative easing della Bce, che Mario Draghi dovrebbe annunciare il 22 gennaio: il Financial Times ha interpellato una trentina di economisti e ha stabilito che il progetto di Francoforte non sarà salvifico. Un po’ di pessimismo è calato dopo i festeggiamenti – sarà un anno ottimo, siate ottimisti, hanno scritto molti giornali anglosassoni la settimana scorsa, e ne hanno motivo: Regno Unito e Stati Uniti hanno di che gioire – ma il meccanismo al ribasso è stato ancora una volta innescato dalla campagna elettorale greca, in vista del voto del 25 gennaio, dal ritorno, nel lessico corrente, del concetto “ristrutturazione del debito” e dalla richiesta, da parte di Tsipras, di una conferenza sulla cancellazione del debito (che in Grecia è il 190 per cento del pil). L’euro è sceso a 1,18 dollari, il valore più basso degli ultimi nove anni, e se gli esportatori esultano, ricomincia, scrive il Wall Street Journal, quella crisi di identità che sembrava ormai roba del passato: resisterà l’euro? Soprattutto: farà bene all’Europa la resistenza dell’euro a ogni costo? La “Grexit” nel frattempo non è più un tabù: il contagio fa meno paura, al punto che sia francesi sia tedeschi non escludono più a priori una spaccatura dell’euro. La linea ufficiale a Bruxelles resta naturalmente quella dell’unità, l’euro è qui per restare e non è contemplata l’uscita da parte di nessuno, ma tra indiscrezioni e dichiarazioni esplicite, nemmeno il terrore di una ricaduta è più così compatto nell’Unione europea.
Cosa è andato storto? Il 2014 era l’anno della ripresa solida, della fine della crisi del debito che ha indebolito l’Ue fin quasi a spaccarla, delle lezioni imparate e delle cautele per il futuro. Invece no, perché? La domanda l’ha posta, con il suo inconfondibile tratto polemico, Simon Nixon sul Wall Street Journal, in uno degli articoli più pessimisti – e forse lucidi – pubblicati in questi giorni. “Pure se l’economia si è ripresa dalla ricaduta nella recessione, la crescita attesa dello 0,8 per cento è ben più fragile dell’1,2 previsto a inizio anno – scrive Nixon, che è il capo dei commentatori del quotidiano economico sui temi europei – Mentre l’inflazione è crollata attorno a un allarmante zero per cento, facendo crescere i dubbi sulla sostenibilità del debito. Alcuni paesi in crisi, inclusi Spagna e Irlanda, hanno ottenuto più risultati di quanto ci si aspettasse, ma le economie più grandi, la Germania, la Francia, l’Italia, ne hanno ottenuti di meno. Le speranze legate a un imminente programma di acquisto di bond da parte della Banca centrale europea ha contribuito ad abbassare i costi dell’indebitamento in molte nazioni, creando un’illusione di calma. Ma – e questa è la diagnosi di Nixon – l’Eurozona corre oggi il più grave pericolo di rottura di sempre.
L’euro è sceso al suo livello più basso in nove anni rispetto al dollaro ieri in seguito alle speculazioni sul fatto che la Bce espanderà presto i suoi programmi di stimolo rivolti a un contenimento della deflazione”. Cioè oggi l’Ue è più fragile di quanto non fosse nel 2009/2010, l’anno del riscatto si è trasformato nell’anno dell’illusione, e il 2015 sarà l’anno del (brusco) risveglio.
Nixon cerca di indagare il perché di questa fragilità e individua tre ragioni. Le prime due sono collegate ad andamenti internazionali: “La prima è l’impatto della decelerazione della crescita in Cina e negli altri mercati emergenti, determinata anche dalla prospettiva di una minore liquidità a causa della fine del programma di Quantitative easing della Federal reserve”. La seconda è ancora più ad ampio raggio, e riguarda “la crisi ucraina, le sanzioni imposte alla Russia con le sue conseguenze in particolare sull’economia tedesca”. Insomma, si tratta di faccende su cui l’Europa non aveva né avrà grande controllo. Ma il rallentamento dei mercati emergenti può in qualche modo essere compensato dal basso prezzo del petrolio: a livello macro, qualche segnale positivo, per quanto temporaneo, esiste anche se la bonanza da petrolio a 50 dollari il barile droga mercati e aspettative, creando nuove illusioni.
Ma c’è un terzo fattore “homegrown”, che è come il terrorismo che cresce in casa: incomprensibile e per questo imbattibile. Secondo Nixon, “ostacoli strutturali continuano a impedire un ribilanciamento di molte economie, soprattutto nel sud dell’Europa, cosicché il capitale e il lavoro non sono riallocati laddove potrebbero essere utilizzati in modo più competitivo. Mercati del lavoro e dei prodotti rigidi hanno reso difficile per le aziende l’adattamento al nuovo contesto economico e hanno fatto da deterrente per gli investimenti”. Il punto è sempre lo stesso: la struttura è debole. Il debito del settore privato non è stato ristrutturato, le banche non si sono ripulite, le tasse non sono state abbassate, la corruzione, la burocrazia e la protezione di interessi particolari “scoraggiano l’offerta di nuovo capitale, nonostante l’Eurozona ne abbia un bisogno disperato per finanziare un nuovo ciclo di crescita”.
[**Video_box_2**]Il pessimismo di Nixon è quasi senza appello: dice che le riforme, in paesi come l’Italia, non riescono a essere completate per via dei veti delle opposizioni; spiega che ormai lo scontro tra austerità e anti austerità (ribadito ieri dal presidente francese François Hollande alle prese con un’improbabile “charme offensive” sui media: l’Europa non deve essere identificata con l’austerità, ha detto, come se questa fosse una risposta ai problemi della Francia) è diventato un dibattito sterile, che non porta da nessuna parte, certo non verso la crescita. Si bada a prender tempo, in attesa di riforme che non arriveranno mai: “L’Eurozona – conclude Nixon – non ha la capacità di forzare i suoi stati membri a incamminarsi sul sentiero virtuso delle riforme, nemmeno quando è in gioco la sua stessa sopravvivenza. Questa rimane la sua debolezza essenziale”.
Con questa prospettiva, già gennaio sarà difficile da superare. Ma non tutti sono tanto pessimisti, a differenza di quanto accadeva nel 2009, quando il clima da apocalisse era condiviso da tutti. Il Financial Times ha dedicato un intero editoriale all’ottimismo. Inizia così: “Nel 2014, il pil per persona a livello globale è cresciuto del 2 per cento, a parità di potere d’acquisto. Alla fine dell’anno, gli esseri umani stavano, in media, meglio di quanto non fossero mai stati. Questo continuerà a essere vero, con tutta probabilità, anche nel 2015. L’ottimismo è sensato”. Il prezzo del petrolio che cala, la solidità della ripresa in Inghilterra e negli Stati Uniti, Cina, India e Giappone che potrebbero uscire dall’incertezza economica fanno sì che il rischio complessivo previsto per il 2015 sia più contenuto. Bisogna essere cauti, certo, ci sono incognite come Vladimir Putin o le guerre mediorientali che non sono calcolabili, ma la povertà diminuisce, la prosperità aumenta, e non si deve guardare soltanto alla possibilità che le riforme non si faranno mai. Ci sono state le crisi, ci sono state le convalescenze, ora c’è il 2015, happy new year.
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